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Perché Trentin era contrario al salario minimo

Ecco i motivi (tuttora validi) per essere contrari al salario minimo legale come lo era Bruno Trentin. L'articolo di Giuliano Cazzola

 

Ieri in occasione della ricorrenza della scomparsa di Bruno Trenin, con il quale ho avuto l’onore di lavorare a lungo, sia nella Fiom che in Cgil, ho ricordato un episodio del Congresso confederale del 1991, durante il quale Bruno confermò una netta contrarietà all’introduzione di un salario minimo legale. Correttamente ho precisato di non avere intenzione di citare Trentin allora per ora, con riferimento al dibattito in corso sul salario minimo. Anche se, in quei tempi ormai lontani, le opinioni di Bruno sulla materia erano note e consolidate, non mi sento autorizzato a sostenere che adesso sarebbero sempre le stesse, nel nuovo contesto del mercato del lavoro e delle relazioni industriali.

Ho trovato – grazie all’aiuto di Michele Tiraboschi – una fonte che conferma ciò che ho raccontato ieri e mette in evidenza quali fossero i motivi della contrarietà di Trentin: motivi tuttora validi. Si tratta di un articolo (si veda in fondo al testo) scritto per l’Unità dal compianto Bruno Ugolini, il cantore di Trentin, il giornalista con il quale aveva un rapporto di stima e di collaborazione indissolubile. Ricordo che nel 1969, la storica vertenza dei metalmeccanici – fin dall’inizio finita al Ministero del Lavoro per la mediazione del ministro Carlo Donat Cattin – veniva seguita dalla redazione romana dell’Unità. Ma Trentin pretese che fosse incaricato Bruno Ugolini nonostante appartenesse alla redazione milanese: quel sodalizio non si interruppe mai. Ugolini divenne, insieme a Giorgio Lauzi dell’Avanti, il riferimento prima della Fiom, poi della FLM e infine della Cgil.

Tornando al tema, nell’articolo riprodotto, Ugolini commenta un’iniziativa della Terza componente della Cgil (i militanti delle varie umanità della sinistra non comunista né socialista), il cui leader era Antonio Lettieri, il quale, nella relazione introduttiva aveva avanzato una proposta intelligente, per quei tempi, anticipando di parecchi decenni ciò che succederebbe adesso se venisse adottato il salario minimo legale. In sostanza, nel quadro di una profonda revisione della struttura della contrattazione, Lettieri proponeva che una sorta di salario minimo assolvesse la funzione allora svolta dalla ‘’scala mobile’’, un istituto ormai in via di estinzione e che l’anno dopo, pur tra polemiche, venne abolita. I sindacalisti di oggi non sono ancora riusciti a capire che il salario minimo oggi non sarebbe altro che una nuova scala mobile con tutti i suoi effetti negativi sull’inflazione e sulla contrattazione. Trentin era stato invitato insieme al leader socialista Ottaviano Del Turco e al segretario della Cisl Raffaele Morese. Bruno, come era sua abitudine, fu il solo ad entrare nel merito. Dopo aver espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa di Lettieri, avanzò delle critiche sulla proposta del salario minimo che potrebbero essere compiute anche adesso senza cambiare una sola parola. Dimostrò addirittura una tagliente ironia, definendo gli eventuali percettori del salario minimo (smig) degli “smigati”, ponendo delle domande che non hanno ancora avuto risposta.

Chi obbligherà l’imprenditore a dare di più dello smig attraverso la contrattazione? Chi potrà garantire che il maggior salario rispetto al minimo sia contrattato e non diventi una benevola concessione del padrone? Insomma – concludeva Ugolini – a Trentin non sembrava un buon affare per il sindacato la contrattazione periodica del costo della vita tramite lo smig, al posto della scala mobile.

Ovviamente ci sarebbe da discutere sul ruolo che Bruno riconosceva alla scala mobile nella composizione delle retribuzioni. Ma era ed è fondata la sua preoccupazione che gli “smigati” sarebbero potuti divenire dei “salariati marginali” del mercato del lavoro. E il sindacato avrebbe finito per abdicare dal suo ruolo essenziale di “autorità salariale”.

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