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Unicredit-Mustier

Ecco che cosa è successo davvero fra cda Unicredit e Mustier (uscito o rottamato?)

Fatti, numeri, ricostruzioni e commenti sull'uscita anticipata di Mustier da Unicredit.

 

Silurato in quanto antipatico? E’ la domanda che qualche lettore si sarà posto oggi leggendo un articolo del Sole 24 Ore sulla decisione di Jean-Pierre Mustier di lasciare Unicredit prima della scadenza.

Si sa che i banchieri non sono dei simpaticoni, però fino a ieri almeno nei grandi giornali non abbondavano informazioni su quanto fosse ruvido, scostante e altezzoso il numero uno del gruppo Unicredit.

L’unico che finora apertamente – e molto prima dell’uscita da Unicredit annunciata ieri – rimbrottava con toni tosti Mustier era Lando Maria Sileoni, segretario della Fabi, il maggior sindacato dei bancari.

Ma è solo caratteriale il motivo dell’addio di Mustier? Il banchiere francese ha fatto capire che il cda di Unicredit non condivideva più il suo “Piano Team 23”.

Domani Start Magazine con la cronista Susanna Scotto d’Apollonia cercherà di capirne di più leggendo report e sentendo analisti.

Ma al momento i giornalisti esperti di banche e finanze sono pressocché concordi: il consiglio di amministrazione di Unicredit spingeva già ora – prim’ancora dell’insediamento come presidente dell’ex ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan (Pd), che curò la nazionalizzazione di Mps – per l’acquisto del Monte dei Paschi di Siena.

Perché comprare la banca di Siena? Si prendono due piccioni con una fava: aggregarsi e crescere (come consiglia la Bce) e risolvere un problema al governo.

Infatti il ministero dell’Economia si è impegnato con la Commissione europea a scendere nel capitale di Mps l’anno prossimo (visto che ora il Tesoro controlla Mps con il 68%) ma pochi sognano di comprare il Monte.

Il governo ha già studiato uno zuccherino: un congruo beneficio fiscale valido nel caso di aggregazioni creditizie.

Mustier, però, pare non gradisse lo zuccherino, o forse lo considerava poco zuccheroso. Chissà.

Così, con il lavorìo indefesso in particolare del debenettian-abetiano Stefano Micossi, economista, direttore generale di Assonime (l’associazione che riunisce le grandi aziende private e pubbliche) e presidente del comitato nomine di Unicredit, il lavoro ai fianchi di Mustier è andato a segno.

In sostanza, Mustier si è fatto da parte per non essere praticamente sfiduciato dal consiglio di amministrazione di Unicredit.

D’altronde da settimane alcuni osservatori di cose politiche, economiche e finanziarie si chiedevano: ma come farà Mustier a restare capo di una banca che viene sculacciata all’unanimità da tutti i gruppi parlamentari all’interno del Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica?

La domanda era per nulla maliziosa, viste le scudisciate su piani e finanche ipotesi giornalistiche attribuite a Mustier che si ritrovano nel recente rapporto finale del Copasir sugli asset bancari e finanziari.

Nello stesso rapporto c’erano pure contraddizioni, anche sul dossier Mps-Unicredit e finanche con il Tesoro, ma spiccavano critiche e rilievi ai vertici di Unicredit (specie sul progetto di scorporo delle attività estere dalla holding italiana; progetto avversato dal Tesoro) abbondantemente spiegati e illustrati alla stampa da membri del Comitato, in particolare dal dem Enrico Borghi.

Oggi Repubblica ricorda che “Mustier si è spesso mostrato pronto a vagliare ipotesi di crescita “europee” (i dossier di nozze con la francese SocGen e con Commerzbank stanno agli archivi), mai domestiche”.

Per non parlare di sbuffi e malumori per tagli e vendite (come i fondi Pioneer andati ai francesi di Amundi, per non parlare di Fineco e Bank Pekao, fino – e non certo per ultimo – l’uscita da Mediobanca) targati Mustier.

Ma davvero solo i Palazzi italiani hanno festosamente accompagnato di fatto alla porta il numero uno di Unicredit? Il ruzzolone odierno in Borsa del titolo Unicredit indurrebbe a rispondere di sì, visto che Piazza Affari non ha molto gradito l’uscita anticipata del capo azienda (titolo in calo dell’8%).

Eppure forse anche nei fondi esteri si stavano insinuando dubbi sulla bontà delle tattiche di Mustier.

Sara Bennewitz di Repubblica: “I grandi fondi, che pure hanno seguito il manager nella più grande ricapitalizzazione bancaria mai vista a Piazza Affari, hanno iniziato a perdere fiducia quando Mustier ha iniziato a parlare di buy back. Sostenere che sia opportuno investire 4 miliardi in un riacquisto di azioni (perché cancellando il 25% dei titoli, l’utile per azione sale del 30%) è una visione miope e di breve termine”.

Quindi tutto è bene quel che finisce bene?

Si trovi la quadra e Unicredit digerisca Mps, tanto il cuoco Padoan è già ai fornelli fra codicilli, sconti fiscali in cottura e bubboni legali da curare con chissà quale alchimia normativa.

Andrà davvero così? Chissà.

Di certo, con un accrocchio sistemico Unicredit-Mps il Mef diventerebbe il primo azionista di Unicredit con il 17%, stima un report.

Un bel paradosso, come quello che s’intravvede anche in uno studio di Mediobanca Securities (la banca d’affari milanese è advisor di Mps ma tanto le muraglie cinesi sono quel che sono, si sa): gli analisi di MB non si sa se auspicano o prevedono che Unicredit possa diventare preda di un’acquisizione da parte della francese Bnp Paribas: nascerebbe un istituto con un bilancio da 2.800 miliardi, presente in Germania, Francia, Italia, Polonia, Turchia, Ungheria, Russia”.

“Così – ha notato Federico Fubini sul Corriere della Sera – per salvare Siena, l’Italia avrebbe spianato la strada alla conquista dall’estero della sua banca più europea”.

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