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Contratto Bancari

Sileoni a Mustier: “Jean Pierre leggi l’intervista e rispondi a tutte le nostre critiche sul piano di Unicredit”

Su Mf-Milano Finanza, il segretario generale della Fabi Sileoni fa le pulci ai conti di Unicredit di Mustier e scopre che i tagli del 2019 hanno fruttato un tesoretto di 700 milioni.

«Unicredit continua ad avere un atteggiamento inaccettabile: l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier si illude di poterci squadernare un piano a scatola chiusa, di fatto senza discutere i numeri, tutti già cristallizzati nella lettera di avvio di procedura sul confronto che ci è arrivata oggi. A queste condizioni, diventa difficile poter avviare un negoziato basato sul fair play». Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, non cambia linea su Unicredit. Anzi. Ieri il gruppo ha formalizzato l’avvio della procedura sul piano industriale e Sileoni alza il muro.

Segretario Sileoni, continua la battaglia con il vertice Unicredit. Come partirà il confronto, venerdì prossimo?

Partirà da dove siamo partiti. A fronte di ogni due eventuali esuberi, dovrà corrispondere almeno un’assunzione. E tutti gli argomenti del piano industriale, nessuno escluso, andranno condivisi con le organizzazioni sindacali. Senza condivisione e dialogo serio, costruttivo, non ci sarà alcun confronto.

Le autorità di vigilanza insistono con i tagli dei costi e anche del personale.

Ma è un’ossessione e i numeri, se letti a fondo, raccontano un’altra storia. A fine 2019 i costi totali del gruppo si sono attestati a 9,9 miliardi di euro, assai meno rispetto all’obiettivo prefissato a 10,6 miliardi. Vuol dire che il gruppo ha tagliato 700 milioni di troppo, di fatto senza motivo. E Il cost-income, principale indicatore di redditività, è al 52% tra i livelli migliori d’Europa. Inoltre, Unicredit vuole concentrare il 70% dei tagli al personale e alle filiali in Italia, che, però, è l’area di maggior profittabilità del gruppo, a livello europeo. Insomma, idee confuse e solito piano per fare utili sulla pelle dei lavoratori.

Ma Unicredit, in qualche modo, sembra denunciare un problema di costi fuori mercato.

Loro possono dire quello che vogliono, noi ribattiamo sempre coi numeri. Unicredit non ha un problema di costi. Il vecchio piano Transform 2019 che prevedeva forti tagli di spesa è stato centrato abbondantemente. Negli anni del piano, UniCredit ha visto uscite per 14mila dipendenti per un risparmio di costi del personale di 1,1 miliardi. Il nuovo piano Team23 prevede costi totali sotto i 10,2 miliardi di euro al 2023. Ebbene già nel 2019 quel risultato è già ottenuto con costi fermi a 9,9 miliardi.

Il costo del lavoro, in particolare, è un problema per la banca?

Per niente. I costi del personale in tutto il gruppo sono di 6,1 miliardi di euro. Pesano per il 32% del totale ricavi, quindi un dato assolutamente in linea con le migliori banche europee. Ecco perché la richiesta di esuberi non collima con il nuovo piano dato che il livello di costi oggi è già inferiore

Unicredit stima 5.500 esuberi in Italia con chiusura di 450 filiali. Vi sorprende questa scelta?

Sì, enormemente. Di fatto il 70% dei tagli attesi si concentra in Italia. Eppure, il nostro Paese è la seconda area dove UniCredit fa i maggiori utili. L’area commerciale Italia nel 2019 ha fatto 1,4 miliardi di utili. Seconda solo all’intera area europea con 1,64 miliardi di utili. Ben lontane la Germania con solo 540 milioni e l’Austria con meno di 500 milioni.

Stanno smantellando la gallina dalle uova d’oro?

La risposta la lascio a lei. Le do un altro dato. Il commercial banking Italy ha un cost/Income del 53% (sceso dal 56% del 2018), in linea, come vede, con il cost/income dell’intero gruppo. L’utile netto è aumentato del 6% in un anno a fronte di una contrazione dei ricavi dello 0,2%. Insomma, il recupero più che sui costi va fatto sui ricavi. Anche perché i nuovi clienti nel 2019 sono scesi del 3,9% sul 2018. Si tagliano costi, facendo meno clienti e meno ricavi. Non mi para una strategia lungimirante.

Se in Italia non ci sono problemi, dove sono i costi fuori linea?

In Germania e Austria. In Germania il cost/income è al 68% più alto di 15 punti percentuali che non in Italia, in Austria siamo al 62%. In Germania nell’ultimo anno gli utili sono scesi del 10% (mentre in Italia saliti del 6%) e i ricavi sono scesi del 2,2%%. Anche in Austria iricavi risultano fermi. Evidentemente sono le aree dove UniCredit guadagna meno e ha più alti costi. Se, a livello di gruppo, i costi del personale incidono per il 32% sui ricavi totali, in Italia il rapporto è ancora migliore. Su 7,14 miliardi di ricavi (commercial banking Italy) i costi del personale sono 2,17 miliardi con un rapporto del 30,3%. Dunque, ben 2 punti in meno del gruppo.

Lei ha individuato le aree “di crisi” della banca?

Ho letto i dati dell’ultimo bilancio. Pesano i risultati negativi sul gruppo del corporate center. Nel 2019 la perdita si è estesa a 468 milioni dai 55 milioni del 2018. E poi c’è l’eredità dell’area non core che ha visto nel 2019 perdita per 1,68 miliardi doppia rispetto agli 800 milioni già persi nel 2018.

Dallo scorso luglio, lei non ha fatto sconti a Jean Pierre Mustier. Che idea si è fatto del capo azienda francese?

Noi non facciamo sconti a nessuno. Un pezzo della risposta, comunque, sta proprio nella sua domanda. Il primo punto critico è il passaporto. Unicredit è una grande banca italiana, con una storia importante: ingloba due delle cosiddette ex bin, le banche di interesse nazionale: il Credito Italiano e la Banca di Roma. Purtroppo, Mustier non mostra alcun riguardo per la storia della banca né per il territorio che lo ospita. E invece dovrebbe avere maggior rispetto. È un comportamento che deriva proprio dal fatto di essere nato in Francia, Oltreconfine. Ed è all’estero che Mustier guarda per il futuro del gruppo. E pure per il suo. La verità è un’altra: il modello Mustier compiace i mercati e produce un modello di relazioni che, se non contrastato, cambierà radicalmente il settore bancario italiano. Noi faremo la nostra parte. Ora aspettiamo che intervenga la politica per tutelare gli interessi nazionali, quelli delle economie e quelli dei territori. Apprezzo molto l’intervento del ministro Catalfo e mi auguro che la politica non si faccia condizionare dagli incantatori di serpenti.

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