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Guerra Copasir-Tesoro su Unicredit-Mps?

Che cosa si legge a sorpresa su Unicredit ed Mps nella relazione del Copasir "sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo".

“Non va inoltre sottovalutata l’operazione che riguarda MPS, in relazione alla quale è stato recentemente emanato il decreto del Presidente del Consiglio per la cessione dei crediti deteriorati, che prelude ad una cessione delle quote detenute dal Ministero dell’economia, e a una vendita dell’istituto a soggetti privati. Tra i possibili acquirenti, figura proprio UniCredit, la cui policy, come si è detto, desta perplessità sotto il profilo del perseguimento degli interessi nazionali”.

E’ uno dei passaggi che più hanno destato scalpore e sorpresa in ambienti politici, ministeriali e finanziari della relazione del Copasir “sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo”.

Da mesi le cronache giornalistiche – non basandosi su comunicati stampa ma su rumors finanziari e politici – raccontano degli sforzi del ministero dell’Economia di dare un futuro privatistico a Mps, la banca senese ora controllata dal Tesoro con circa il 68%.

In questa prospettiva il Tesoro sta sondando la disponibilità informale anche di Unicredit, seppure proprio ieri l’amministratore delegato di Unicredit, Jean-Pierre Mustier ha detto: “Non commentiamo mai i rumor. Il nostro piano non è basato su nessuna M&A, preferiamo trasformare piuttosto che integrare e remunerare gli azionisti”.

Tra l’altro a perseguire questo scenario è anche – secondo indiscrezioni di Start Magazine – anche l’advisor finanziario di Mps, Mediobanca.

Ma mentre gli sforzi del Mef per dare un futuro a Mps proseguono oggi arriva questo passaggio a sorpresa della relazione del Copasir – peraltro scritta da due relatori di maggioranza, uno del Pd e uno del Movimento 5 Stelle – che viene letta da analisti e osservatori in chiave critica rispetto alle mosse del Tesoro e del direttore generale Alessandro Rivera.

Il Copasir allarga lo spettro delle critiche verso prospettive e scenari di Unicredit – nell’ambito dei timori per le mire in particolari francesi ma anche tedesche per il comparto bancario e assicurativo italiano – arrivando a stimmatizzare un progetto adombrato da Unicredit: “Risulta inoltre che UniCredit avrebbe in animo una profonda ristrutturazione, che prevede la costituzione di una subholding nella quale dovrebbero essere incluse tutte le attività estere della banca. Il timore è che tale iniziativa sia prodromica alla cessione delle attività estere di UniCredit, che perderebbe così la sua anima internazionale; altra ipotesi potrebbe essere un’operazione d’integrazione della banca con un altro istituto estero, che potrebbe sancire il definitivo disimpegno della Banca dall’Italia”.

Peccato che proprio ieri Mustier ha tagliato corto proprio su questo aspetto: “Abbiamo lanciato il progetto subholding per ottimizzare il costo del funding e la liquidità in ottica Mrel. Nell’attuale contesto macro, grazie ai massicci acquisti della Bce e allo spread basso, non serve realizzare questo progetto. Rimane un progetto ma oggi non è rilevante”.

Ma può un comitato parlamentare come quello per la sicurezza della Repubblica basare tesi e auspici sulla base di voci poi smentite dai diretti interessati? A cosa sono servite dunque le audizioni?

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ECCO UN ESTRATTO DELLA RELAZIONE DEL COPASIR CHE RIGUARDA IN PARTICOLARE UNICREDIT ED MPS:

UniCredit è uno dei principali attori del settore bancario nazionale, l’unico, al momento, capace di coniugare una posizione di leadership nel mercato italiano con un’anima europea, grazie a una ramificata presenza in 18 Paesi nel mondo e, in particolare, in Europa centro-orientale, in Austria (dove controlla interamente Bank Austria) e in Germania (con la partecipata HypoVereinsbank – HVB, tra le prime 5 banche tedesche per ammontare di asset e numero di dipendenti).

In Italia, UniCredit rappresenta il secondo gruppo bancario per numero di sportelli (2.700) e, secondo le elaborazioni dell’Autorità Antitrust italiana, detiene il 10-15 per cento della raccolta complessiva del sistema italiano e il 10-15 per cento dei prestiti alle famiglie, il 5-10 per cento di quelli alle PMI e una quota del 10-15 per cento delle erogazioni alle imprese di medie e grandi dimensioni. Sul territorio nazionale, l’Istituto impiega circa 37.000 dipendenti e, in termini di capitalizzazione di Borsa (pari a circa

16 miliardi di euro), è la seconda banca, dopo Intesa Sanpaolo, e tra le prime dieci imprese quotate a Piazza Affari. UniCredit, infine, rappresenta uno dei principali investitori in titoli di Stato italiani con un portafoglio che, al 30 giugno 2020, ammontava a circa 44 miliardi di euro.

Nonostante la rilevanza di UniCredit per il sistema economico e finanziario nazionale, l’istituto milanese ha assunto negli ultimi anni alcune iniziative apparentemente volte ad affrancare la banca dall’Italia. In tal senso potrebbero essere infatti inquadrate le operazioni di cessione di UniCredit di alcuni « gioielli italiani », quali Fineco e Pioneer, ovvero la riduzione del portafoglio di BTP che, dal 2016 ad oggi, è diminuito di circa 11 miliardi di euro.

Il gruppo sembra inoltre avviato verso una progressiva contrazione della propria presenza sul territorio nazionale, come attestato dal piano industriale Team23 (per il periodo 2020 – 2023), presentato ai mercati il 3 dicembre 2019, nel quale è stato previsto un taglio di circa 8.000 dipendenti, principalmente in Italia (circa 6.000) dove il personale verrà ridotto del 21 per cento, e la chiusura di 500 filiali, di cui 450 nel nostro Paese.

Risulta inoltre che UniCredit avrebbe in animo una profonda ristrutturazione, che prevede la costituzione di una subholding nella quale dovrebbero essere incluse tutte le attività estere della banca. Il timore è che tale iniziativa sia prodromica alla cessione delle attività estere di UniCredit, che perderebbe così la sua anima internazionale; altra ipotesi potrebbe essere un’operazione d’integrazione della banca con un altro istituto estero, che potrebbe sancire il definitivo disimpegno della Banca dall’Italia.

Al riguardo, negli ultimi mesi si sono susseguite preoccupanti notizie su possibili operazioni di fusione di UniCredit con altri players stranieri, tra cui: l’istituto tedesco Commerzbank (2), ovvero le banche francesi Crédit Agricole (CA) e Société Générale (SOCGEN).

A parere del Comitato, le iniziative da parte di attori esteri su entità strategiche per la sicurezza economica nazionale rappresentano un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario e del pubblico risparmio, atteso che, oltre a pregiudicarne l’indipendenza, le stesse potrebbero determinare una forte asimmetria tra l’area di raccolta delle risorse finanziarie (3) (Italia) e quella di impiego delle stesse (estero). Infatti, pur continuando a provenire dalle famiglie e dalle imprese italiane, le risorse raccolte da UniCredit potrebbero essere impiegate per finanziare territori e sistemi produttivi esteri.

In aggiunta, una sostanziale contrazione delle attività bancarie svolte da UniCredit in Italia, ovvero una progressiva riduzione degli investimenti effettuati dal gruppo in titoli di Stato italiani, potrebbero produrre un impatto negativo per il nostro Paese.

(2) Commerzbank AG è la seconda maggiore banca tedesca, quotata alla borsa di Francoforte e partecipata con una quota del 15,6 per cento dalla Repubblica Federale Tedesca.

(3) Intese come depositi, certificati bancari, pronti contro termine e obbligazioni collocate alla clientela.

(…)

In questo quadro, desta preoccupazione la strategia di UniCredit, che, mediante possibili operazioni di fusione con soggetti esteri (tra i quali Commerzbank, ovvero le francesi Crédit Agricole e Société Générale), sembrerebbe voler costituire una sub-holding, in cui confluirebbero anche le risorse acquisite tramite la raccolta di risparmio in Italia.

Non va inoltre sottovalutata l’operazione che riguarda MPS, in relazione alla quale è stato recentemente emanato il decreto del Presidente del Consiglio per la cessione dei crediti deteriorati, che prelude ad una cessione delle quote detenute dal Ministero dell’economia, e a una vendita dell’istituto a soggetti privati. Tra i possibili acquirenti, figura proprio UniCredit, la cui policy, come si è detto, desta perplessità sotto il profilo del perseguimento degli interessi nazionali.

Anche altre operazioni, sempre connesse all’attivismo del partner francese, a parere del Comitato, devono essere monitorate con attenzione. In particolare, come già si è detto nel capitolo 5.4, l’aumento di capitale di Delfin in Mediobanca potrebbe modificarne l’assetto societario, con conseguenze per il nostro principale istituto di assicurazioni, Generali, che, come è noto, detiene un considerevole pacchetto di titoli di Stato.

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