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Mediobanca, cosa succede fra Poste e governo?

Fatti e interpretazioni sulla mossa di Poste Italiane (controllata da Cdp e Mef) in Mediobanca

L’incursione di Poste Vita nell’azionariato di Mediobanca fa discutere i palazzi della politica e della finanza. L’antefatto è noto: Poste ha acquistato una quota azionaria in Mediobanca, ma lo ha fatto a fari spenti e di notte, rimanendo cioè appena sotto la soglia di comunicazione del 3%. Quando la notizia è stata svelata dal quotidiano La Stampa, i vertici di Poste hanno minimizzato, spiegando che Poste non voterà alla prossima assemblea di Mediobanca.

Le azioni rastrellate da Poste Italiane sono tolte dal mercato in una fase che si preannuncia molto battagliata e all’ultimo voto per il vertice dell’istituto di Piazzetta Cuccia.

Poste, il cui amministratore delegato Matteo Del Fante è da tempo apprezzato dell’Ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, di fatto va nella direzione di Delfin e dello stesso Caltagirone nella partita in corso sul vertice della banca d’affari milanese, anche se nulla dalle comunicazioni alla stampa muove in questa direzione.

L’anno scorso l’imprenditore e finanziere romano, sulle Generali, subì una batosta, sottovalutando Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca e grande “padrino” delle Generali, nel mobilitare i grandi capitali internazionali. La vicenda è nota: Caltagirone si diede un gran daffare a reclutare gli imprenditori italiani, ma all’estero fece cilecca.

Poste, togliendo dal mercato un bel gruzzolo di azioni Mediobanca, fa oggi il gioco dell’ingegnere romano perché scongiura che queste stesse azioni finiscano in mano ad investitori stranieri.

Anche se c’è chi fa notare, come ha fatto il quotidiano La Verità, che la mossa di Poste abbassa il quorum necessario per conquistare la maggioranza  dei voti in assemblea.

Colpisce, comunque, la modalità stealth con cui Poste ha architettato l’operazione. Un colosso come le Poste, che ha nel proprio azionariato tanto il Tesoro (con il 29,26%) quanto la Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal ministero dell’Economia), con il 30%, e che si occupa della delicatissima raccolta di risparmio postale per conto di quest’ultima, non è un soggetto a caso. È di fatto – anche – un braccio armato dello Stato, ed è pressoché certo che, per muoversi su un dossier scottante come quello Mediobanca, debba ricevere apposite istruzioni dall’alto.

Tanto più che Poste, anche prima di rastrellare azioni di Mediobanca, sul dossier era già coinvolta. Come? Per il tramite di Anima, che a Poste è legata sia come assetti azionari sia come attività di investimento, e tramite Assogestioni, in cui presidia il comitato che sta predisponendo una lista di minoranza per il consiglio di amministrazione proprio di Mediobanca.

Chi sostiene che la mossa di Poste in Mediobanca non sia neutrale nella contesa in corso per il vertice dell’istituto milanese fa notare che l’operazione di Del Fante in Piazzetta Cuccia si inserisce nel solco in un atteggiamento complessivo del governo non antagonistico, anzi, con le manovre della galassia Caltagirone. Un atteggiamento di Palazzo Chigi ricambiato dai giornali del gruppo Caltagirone – in primis Il Messaggero – con una posizione filogovernativa non solo nelle cronache ma anche nella schiera di editorialisti e commentatori.

Solo qualche mese fa la maggioranza di governo si era già interessata della questione della lista del cda. Secondo quanto riportato nel comunicato stampa di Palazzo Chigi dopo il cdm che aveva approvato il decreto Omnibus, lo scorso 4 maggio, il testo avrebbe dovuto contenere anche una norma ad hoc. Milano Finanza aveva infatti rivelato che si trattava di un articolo “che sarebbe potuto diventare un gancio per riproporre un emendamento” così da cassare i vertici uscenti nel caso in cui un socio forte, con almeno il 9%, presentasse una lista di maggioranza.

L’emendamento in questione – dichiarato inammissibile perché estraneo alla materia – si voleva inserirlo nel decreto Fintech presentato da FdI in Senato ad aprile. La proposta di modifica, sottolineava Mf, comprendeva un comma per cui si considerava “non presentata” la lista del cda se uno o più soci con una quota di almeno il 9%, dunque pesanti, avessero presentato una propria lista con un numero di candidati pari a quello dei consiglieri da eleggere. Nel ddl Capitali la norma non è stata inserita, sempre secondo il quotidiano economico, per “motivi di forma”.

Ma le attenzioni per Caltagirone, alla luce dell’ultima mossa di Poste, albergano anche al ministero dell’Economia retto da Giancarlo Giorgetti (nella foto con Del Fante); il dicastero che diede l’ok (o ispirò?) l’alleanza di Poste con Caltagirone nel gruppo Anima.

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