Gran lavorìo del gruppo Caltagirone nei palazzi romani e milanesi fra politica, finanza e diritto.
Si torna infatti a parlare di possibili movimenti nell’azionariato di Mediobanca e di Generali, complici anche gli articoli di Repubblica sui “patrioti della scalata” – Delfin e Caltagirone -, ed ecco che comincia a muoversi la politica. Del resto, già nelle scorse settimane proprio la politica aveva mandato qualche segnale a chi potrebbe decidere di insinuarsi ai vertici di Mediobanca e Generali, riprendendo il discorso interrotto ad aprile 2022 quando la holding di Leonardo Del Vecchio (deceduto poi tre mesi dopo), Francesco Gaetano Caltagirone e i Benetton avevano provato a sfilare la sedia al cda uscente, con in testa l’amministratore delegato Philippe Donnet, poi riconfermato. Ad ottobre, ricordiamo, è in programma l’assemblea per il rinnovo del board di Piazzetta Cuccia.
IL VIA LIBERA DELL’IVASS A DELFIN E L’ATTIVISMO DI CALTAGIRONE
Alla base di queste nuove attenzioni c’è il disco verde dell’Ivass a Delfin, arrivato il 30 giugno, a salire oltre il 10% del capitale in Generali. Come evidenzia lo stesso giornale diretto da Maurizio Molinari, “l’Ivass ha agito nella sua autonomia come previsto dall’art. 68 del Codice delle assicurazioni private, raccogliendo l’istanza presentata il 17 aprile scorso da Delfin che, trovandosi di fronte a un superamento di soglia del 10% dovuto al buy back effettuato da Generali, ha scelto di non vendere le azioni eccedenti e chiedere l’autorizzazione a restare oltre al 10,1%”. L’istituto di vigilanza a tal fine ha valutato sia la solidità patrimoniale sia la capacità finanziaria della holding della famiglia Del Vecchio. La prossima soglia sensibile è quella del 20% o il controllo quando servirà una nuova autorizzazione.
L’INTERROGAZIONE DI SERRACCHIANI (PD)
Ecco dunque che ieri Debora Serracchiani, deputata ed ex vice segretaria del Pd, ha presentato un’interrogazione ai ministri dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, e delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. “Il governo chiarisca – si legge nel testo – quali procedure sono state seguite dall’Ivass nell’autorizzare Delfin a detenere una partecipazione qualificata superiore al 10% del capitale di Generali. È rilevante sapere se i ministri competenti siano a conoscenza di fatti e decisioni connesse a un’operazione che, a quanto rilevato dagli osservatori, potrebbe riaprire la partita per il controllo della più grande compagnia assicurativa del Paese con oltre 500 miliardi di attività in gestione”.
L’AUDIZIONE DI GRILLI E LA BORDATA DI CALTAGIRONE CONTRO LA LISTA DEL CDA USCENTE
In seguito Vittorio Grilli, ex ministro dell’Economia e ora ai vertici del ramo europeo di JP Morgan, è stato audito dalla commissione Finanze del Senato sul ddl Capitali. In quest’occasione ha evidenziato l’inutilità – nell’ordinamento italiano – di una lista che venga presentata dal cda uscente, come accaduto, per l’appunto, proprio ad aprile 2022 in Generali. “L’Italia non ha la tradizione anglosassone dove la partecipazione alla vita societaria dell’azionista è una rarità – ha detto rispondendo a una domanda del presidente della commissione, il leghista Massimo Garavaglia -. È questo il motivo per cui nella tradizione anglosassone c’è un ruolo di surroga del cda che presenta la lista per il rinnovo del consiglio mentre in Italia la surroga non è necessaria”.
Occorre ricordare che nella stessa commissione – e nello stesso ciclo di audizioni – la settimana scorsa Caltagirone (che possiede il 9,9% di Mediobanca e quasi il 7% di Generali) aveva paventato il rischio di creare “un’autocrazia in cui i manager possono auto-perpetuarsi, anche in contrasto con scelte e visioni degli azionisti stabili” nella governance di una società quotata proprio con il meccanismo della presentazione della lista del board uscente. Anche l’imprenditore romano – al lavoro su questa materia con il suo stuolo di legali in simbiosi con il capo delle relazioni istituzionali del gruppo Fabio Corsico (nella foto del 2008 con l’attuale deputato di Fratelli d’Italia, Giulio Tremonti) aveva fatto riferimento, per contrasto con la situazione italiana, al “mondo angloamericano, dove esistono grandi società con azionariato polverizzato, e calato in una struttura di diritto completamente diversa”.
I TENTATIVI DI FDI
Solo qualche mese fa la politica si era già interessata della questione della lista del cda. Secondo quanto riportato nel comunicato stampa di Palazzo Chigi dopo il cdm che aveva approvato il decreto Omnibus, lo scorso 4 maggio, il testo avrebbe dovuto contenere anche una norma ad hoc. Milano Finanza aveva infatti rivelato che si trattava di un articolo “che sarebbe potuto diventare un gancio per riproporre un emendamento” così da cassare i vertici uscenti nel caso in cui un socio forte, con almeno il 9%, presentasse una lista di maggioranza.
L’emendamento in questione – dichiarato inammissibile perché estraneo alla materia – si voleva inserirlo nel decreto Fintech presentato da FdI in Senato ad aprile. La proposta di modifica, sottolineava Mf, comprendeva un comma per cui si considerava “non presentata” la lista del cda se uno o più soci con una quota di almeno il 9%, dunque pesanti, avessero presentato una propria lista con un numero di candidati pari a quello dei consiglieri da eleggere. Nel ddl Capitali la norma non è stata inserita, sempre secondo il quotidiano economico, per “motivi di forma”.