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Kkr

Kkr: filantropi o speculatori? Dibattito a Repubblica

Che cosa ha scritto in questi giorni il quotidiano Repubblica diretto da Maurizio Molinari sul fondo americano Kkr che acquisirà il controllo della rete Tim. La lettera di Francis Walsingham

Caro direttore,

giuro che non ci capisco più nulla. I giornali italiani li sto leggendo, come da tuo consiglio, e però mi rendo conto che la lettura mi porta forse a soffermarmi meno sulle notizie e più sul modo in cui vengono date. Ti spiego.

Mi riferisco all’affare Tim-Kkr, che – come avrai notato dalle mie precedenti lettere – mi sta appassionando parecchio. Qualche giorno fa, nel raccontarti delle lodi sbrodolose al fondo statunitense e al consiglio di amministrazione di Tim, ti segnalavo un articolo di Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Repubblica. Un articolo pieno di numeri e anticipazioni, dove si rivelano i fini altruistici di Kkr (che “si farà carico del debito di Tim”) e i piani tra “cinque o sei anni” del fondo. Ma ovviamente nessuna fonte: da dove Mastrolilli abbia preso quelle informazioni, al lettore non è dato sapere. Presumo dal fondo americano ma era per nulla chiaro ciò.

Oggi però – sempre su Repubblica, peraltro – ho letto un articolo di Giovanni Pons, che già martedì aveva fatto chiarezza sugli obiettivi sia di Kkr, sia del ministero dell’Economia sulla rete di Tim. Oggi invece il giornalista esperto di finanza ricostruisce la vicenda dalle origini, cioè dall’aprile 2021, quando entrò in vigore l’accordo tra Tim, Kkr e Fastweb per la nascita di Fibercop (la società dove viene fatta confluire la rete secondaria, o di ultimo miglio, di Tim). L’obiettivo del fondo americano era accelerare il passaggio dal rame alla fibra ottica, in modo da abbassare drasticamente i costi di gestione dell’infrastruttura e incassare più soldi dagli operatori telefonici che la affittano.

Kkr non era però del tutto convinta di questa mossa, e quindi – prosegue Pons – “l’ad di Tim di allora, Luigi Gubitosi, per convincerli dovette concedere un rendimento garantito e un diritto di uscita (opzione put) i cui termini non sono mai stati resi noti”. In questi anni a Kkr è andata meglio che a Tim, che non possiede la stessa solidità finanziaria; e così la società ha iniziato a valutare la vendita integrale della rete e si è accordata nuovamente con Kkr, stavolta per 18,8 miliardi di euro.

“Di questa cifra, come ha riferito l’ad Pietro Labriola”, spiega Pons, “8,5 miliardi saranno rappresentati da debito già acceso da Kkr con le banche e che andrà a rimborsare quello di Tim esistente. Rimangono così 10,3 miliardi di capitale da versare a Tim da parte dei compratori. Per quanto riguarda Kkr una parte verrà conferita in natura in quanto già possiede quel 37,5% di Fibercop che fa parte della valutazione complessiva”.

Solo che nel frattempo il valore di Fibercop è cresciuto parecchio, quindi il 37,5 per cento di Kkr non vale più 1,8 miliardi, ma circa 3,6 miliardi. Non c’è nulla di strano o di sospetto in questo: funziona così, chi investe si assume un rischio con l’obiettivo di guadagnare; Kkr ha guadagnato da Fibercop e vorrà guadagnare anche da NewCo, la nuova società nella quale confluirà la rete di Tim.

Il punto è un altro, caro direttore: cioè che non si capisce, leggendo Repubblica, se quelli di Kkr siano dei benefattori o degli speculatori (speculatori in senso neutro, ovviamente). A leggere Pons oggi, l’impressione è che il fondo pensi al proprio profitto, e a quello soltanto, come del resto è nella sua natura. A leggere Mastrolilli di un paio di giorni fa, invece, a Kkr mancava solo l’aureola, perché si diceva che la società si sarebbe fatta carico del debito di Tim, rendendo quest’ultima “più libera di usare il ‘cash flow’ per ammodernare l’infrastruttura”, permettendo così “una svolta tecnologica fondamentale per l’Italia”.

Forse è meglio se mi concentro sulla stampa americana…

Un caro saluto,

Francis Walsingham

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