Uno stop senza conseguenze negative nella progressione di Crédit Agricole Italia nel sistema bancario nazionale. Dal Tesoro, Autorità di vigilanza delle fondazioni, arriva infatti un no a Fondazione Cariparma, azionista dell’istituto di credito, a partecipare alla ricapitalizzazione da 500 milioni di euro lanciata dall’amministratore delegato Giampiero Maioli a seguito dell’Opa sul Credito Valtellinese – lanciata un anno fa – che porterà all’acquisizione entro il 31 luglio di oltre il 95% del capitale sociale. Oltre quella data non sarà più possibile per i soci sottoscrivere i titoli del CreVal da emettere a 4,10 euro.
Se il Tesoro dovesse confermare il niet, dunque, Fondazione Cariparma si troverebbe a dover diluire la propria presenza nella controllata italiana del gruppo francese che dal 2007 ha segnato vari colpi nel nostro Paese a cominciare proprio da Cariparma per proseguire con Friuladria, Carispezia, sportelli da Cariveneto e da Carifirenze, Casse di Risparmio di Rimini, Cesena e San Miniato e, appunto, Credito Valtellinese.
GLI AZIONISTI
Ma vediamo chi sono gli azionisti di Crédit Agricole Italia. Come ricorda Il Messaggero la capogruppo di Parigi – anche attraverso Sacam International, finanziaria delle casse regionali – possiede circa 1’85%. Secondo socio è la Fondazione Cariparma con l’11,87%, seguono la Fondazione La Spezia con l’1,9% e la Fondazione Piacenza con l’1%. Da notare che gli attivi degli enti Parma e Spezia sono ben oltre il 33% della banca conferitaria fissato dal protocollo tra Acri e Mef e che quello della fondazione emiliana si avvicina al 60% in funzione dell’oscillazione dei valori.
LA RICAPITALIZZAZIONE
Per Fondazione Cariparma, dunque, secondo le norme non ci sono alternative all’autorizzazione da parte del Mef per poter prendere parte all’aumento di capitale. Secondo quanto ricostruisce il quotidiano capitolino, Via XX Settembre avrebbe espresso dubbi perché la sottoscrizione della quota parte (circa 60 milioni) della Fondazione violerebbe il limite del 33%. Se non aderisse alla ricapitalizzazione Le note dolenti riguarderebbero però anche Spezia, pur se con dimensioni minori.
Il Messaggero ricorda che fra la capogruppo francese e le tre fondazioni – Cariparma, La Spezia e Piacenza – esiste un “patto parasociale sulla governance e sulla way out a favore degli enti che hanno una opzione put per cedere le azioni”. Il patto scade a febbraio 2023 La prossima scadenza del patto è febbraio 2023 ma andrebbe disdettato sci mesi prima ossia ad agosto 2022.
L’OPERAZIONE BANCO-BPM
Dopo l’Opa sul Creval, l’ultima mossa dell’attiva Crédit Agricole Italia è stato il recente annuncio – dopo mesi di indiscrezioni – di aver comprato “sul mercato e in una transazione con una banca primaria d’affari internazionale” il 9,18% del capitale di Banco Bpm. Un’operazione, come rilevato in una nota della capogruppo, che “testimonia il forte apprezzamento di Crédit Agricole per le qualità intrinseche di Banco Bpm: una realtà solida, con un outlook positivo sul piano finanziario e un management team forte e con un comprovato track record”. Inoltre, prosegue il comunicato, il deal “consolida la relazione strategica e di lungo termine del gruppo con milanese, costituito innanzitutto dalla partnership nel credito al consumo attraverso la joint venture Agos“, che vede già ora al 61% il Crédit Agricole e per il resto è appannaggio di Banco Bpm. Da Parigi un’altra notazione: Crédit Agricole non ha “presentato istanza per ottenere l’autorizzazione a superare la soglia del 10% del capitale sociale di Banco Bpm” e prevede che l’operazione avrà ‘un impatto trascurabile” sul proprio coefficiente Cet1.
Un’operazione, queste le parole del’ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, che “non è stata preventivamente concordata con la banca” ma “la qualità e l’importanza dell’investitore rappresentano un chiaro riconoscimento del valore e delle potenzialità di Banco Bpm”.