Nell’agenda dei principali osservatori del settore bancario italiano, dei politici e di tutti gli addetti ai lavori c’è una data che da alcune settimane è evidenziata con un circoletto rosso: è il 29 aprile. Venerdì l’assemblea degli azionisti di Intesa Sanpaolo dovrà nominare il consiglio di amministrazione del gruppo per il prossimo triennio e la conferma di Carlo Messina è stata già blindata da mesi. Del resto, il numero uno di Ca’ de Sass ha tutti i numeri dalla sua parte, tra ricavi, utili e dividendi miliardari distribuiti ai soci. Non solo. Soprattutto, Messina ha costruito, nei suoi primi tre mandati da chief executive officer, un gruppo che non solo è solido e profittevole, ma è anche un punto di riferimento strutturale per il sistema economico italiano. Lo stesso giorno si gioca anche la partita su Generali. Sempre venerdì 29 aprile, infatti, gli azionisti del Leone di Trieste decideranno se la compagnia, che ha in pancia 400 miliardi di euro di risparmi degli italiani, continuerà a essere gestita da Mediobanca e Philippe Donnet oppure se ci sarà il ribaltone, con il pallino che passerà in mano al board indicato Francesco Gaetano Caltagirone.
Quella di Generali, tuttavia, non è la sola partita finanziaria su cui sono puntati i riflettori del mercato e della politica. Lo scorso 7 aprile, i francesi di Crédit Agricole sono entrati in Banco Bpm con una quota rilevante, pari al 9,2% del capitale. La ratio di questa mossa, che ha colto di sorpresa quasi tutti i top banker, non è ancora chiara: non si sa, insomma, se la Banque Verte voglia salire ulteriormente in Piazza Meda, per arrivare al controllo, oppure se ambisca a una partnership di lungo termine nelle polizze assicurative.
Fatto sta che la prospettiva di una salita del colosso transalpino in Banco Bpm non piace affatto ai banchieri italiani: i mal di pancia sono sempre più evidenti. Di qui, la nascita di uno scenario inedito, impensabile soltanto fino a qualche settimana fa ovvero un’alleanza tricolore a tre: Intesa, Unicredit e Bper-Unipol potrebbero attivarsi per scongiurare l’acquisto totale di Banco Bpm da parte del Crédit Agricole. Obiettivo sarebbe evitare la prospettiva di lasciare in mano ai francesi (che dal 2006 hanno già Bnl con Bnp e, con la stessa Credit Agricole, hanno conquistato a partire dal 2007, prima Cariparma, poi Friuladria, CariSpezia, sportelli ex CariVeneto e CariFirenze, poi le Casse di Risparmio di Rimini, Cesena e San Miniato e, recentemente, il Creval) un pezzo rilevante dell’industria bancaria tricolore: l’italianità del credito verrebbe quindi concretamente compromessa, temono alcuni banchieri.
Ecco perché il governo è stato interessato della questione. Il fascicolo è di quelli da priorità assoluta. Nonostante il Trattato del Quirinale, che ha rinsaldato i rapporti tra Italia e Francia, l’esecutivo – questo il senso del ragionamento recapitato a Palazzo Chigi – non può lasciare nel cassetto il golden power. Si tratta dello strumento che consente al governo di stoppare scalate straniere su industrie e gruppi italiani operanti in settori considerati strategici come difesa, telecomunicazioni e, appunto, banche. I rapporti tra Roma e Parigi sono eccellenti; gli interessi nazionali, però, sostengono i banchieri italiani, devono prevalere su tutto il resto. La partita, insomma, non è affatto chiara, anzi: sia sul piano finanziario sia sul versante politico, si muovono gli sherpa con trattative che non possono essere giudicate pienamente trasparenti.
C’è un aspetto che potrebbe rappresentare una svolta e mettere tutti d’accordo, almeno dentro i nostri confini. La santa alleanza a difesa dell’italianità del settore bancario italiano potrebbe offrire, al Tesoro, una via d’uscita per Monte dei paschi di Siena, di cui lo Stato è ancora azionista col 64% delle quote. Il nodo è tutto politico e chiaramente lambisce anche i rapporti internazionali, quelli tra Roma e Parigi. La soluzione, comunque, potrebbe essere sintetizzata così: Intesa, Unicredit e Bper-Unipol si potrebbero sedere al tavolo del Ministero dell’Economia e offrire una soluzione per Mps, se il governo si impegnerà a non far ammainare il tricolore da Piazza Meda. Chiudere la vicenda Montepaschi è d’altronde una priorità per lo stesso governo.
A parte i nodi societari e i salvataggi, il mercato, ovviamente, non si ferma e i gruppi bancari proseguono nell’attuazione dei rispettivi piani industriali, per raggiungere gli obiettivi strategici e di bilancio. Bper potrebbe chiudere anzitempo l’incorporazione di Carige e puntare poi alla Popolare di Sondrio: il gruppo guidato da Piero Montani procede spedito con la tabella di marcia, ma più di qualcuno comincia a lamentarsi vistosamente delle pressioni commerciali esercitate verso i dipendenti della banca per spingere la vendita di prodotti finanziari e assicurativi. Una nota dettagliata sarebbe stata inviata alla Commissione parlamentare sulle d’inchiesta banche per far luce sulla vicenda. Nel mirino ci sarebbe il responsabile commerciale Stefano Rossetti verso il quale i molti mal di pancia all’interno della banca non giovano certamente alla salute e serenità del gruppo e quello che trapela da fonti interne alla banca che non esiste alcun collegamento diretto fra Carlo Cimbri e Stefano Rossetti come invece qualcuno, oggi come in passato, sta cercando di alimentare.
Quanto a Bnl, a un anno esatto dalla nomina ad amministratore delegato, il percorso di Elena Goitini è giudicato positivamente dal mercato, dagli osservatori e soprattutto dai proprietari francesi. Unica questione spinosa è quella delle esternalizzazioni, che non sono piaciute né sono state digerite dai dipendenti. La responsabilità è anche del sindacato aziendale che non ha svolto fino in fondo il proprio ruolo visto che avrebbe dovuto ottenere un accordo per tutelare i 900 lavoratori ceduti coi rami d’azienda del back office e dell’information technology, per i quali resta solo il paracadute della magistratura. Proprio i sindacati interni, intanto, sono finiti nel mirino dell’azienda che ieri ha dato il via a un durissimo giro di vite. Non solo. La banca ha preso le distanze da alcuni suoi manager che negli scorsi anni avevano gestito le relazioni sindacali: è stato scoperto, tra l’altro, che quasi tutte le rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) erano scadute da anni e non erano state mai rinnovate e che alcune organizzazioni sindacali sono state avvantaggiate a discapito di altre, con più permessi e distacchi sindacali rispetto ad altre sigle, con l’obiettivo di “premiare” alcune sigle. Gira un numero davvero clamoroso: sembrerebbe che oltre 25.000 ore di permessi sindacali non siano state “pagate” dalle organizzazioni sindacali con le cedole previste dalla contrattazione nazionale. Rapporti opachi, insomma, e alcune organizzazioni privilegiate a danno di altre, al punto che più di un esposto sarebbe arrivato alla Procura di Roma per denunciare, in particolare, le buonuscite di alcuni dirigenti sindacali che hanno lasciato il gruppo per raggiunti limiti di età negli ultimi anni oltre che per la gestione della confederazione dei Circoli ricreativi e sportivi verso i quali la prossima settimana partirà una accurata ispezione della banca. Sempre ieri, è stato comunicato a tutti i sindacati e, pochi giorni prima con lettera alla Ugl, internamente rappresentata da Ennio Occhipinti, che la stessa Ugl non potrà più partecipare ad incontri e trattative interne perché non è firmataria del contratto sindacale né di accordi di gruppo.
Per restare sul fronte sindacale, va segnalato che a fine maggio il congresso nazionale Unisin dovrebbe rinnovare il mandato del segretario generale Emilio Contrasto, sostenuto dalla professionalità di Sergio Mattiacci oltre che dai dirigenti Unisin di Firenze e Milano. Pochi giorni fa, invece, è stato confermato Riccardo Colombani alla guida di First Cisl, mentre entro l’estate è il turno della Uilca, a fine anno tocca alla Fisac Cgil e il prossimo anno alla Fabi.