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Bce

Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Ubi. Ecco quanto le banche dovranno restituire alla Bce

L'articolo di Tino Oldani, firma di Italia Oggi

Sul fronte economico, le cose non vanno affatto bene. Anzi. Non c’è un solo dato congiunturale che confermi l’incauta previsione del premier, Giuseppe Conte, per il quale il 2019 «sarà un anno bellissimo».

Limitiamoci a due fattori essenziali per lo sviluppo: il petrolio e il credito. Gli ultimi dati sulle importazioni di petrolio in Europa segnalano un calo accentuato per tutti i paesi, in testa la Germania, che ha ridotto le importazioni di greggio di 302 mila barili al giorno, quasi dieci volte di più dell’Italia, dove il calo è di 38 mila barile al giorno. In forte arretramento anche la Francia (meno 124 mila), nonostante produca molta energia con il nucleare, e i Paesi Bassi (meno 85 mila). Meno petrolio significa meno energia per le industrie. E il dato tedesco dice che la locomotiva economica europea non corre più, ma decelera, trascinando i paesi fornitori, come l’Italia, verso la recessione.

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IL RAPPORTO

Quanto al credito, due giorni fa un rapporto Unimpresa, basato su dati della Banca d’Italia, ha reso noto che nel 2018 i prestiti delle banche alle imprese sono diminuiti di circa 50 miliardi di euro. Un calo vistoso, dovuto a 22 miliardi in meno di finanziamenti a breve, ad altri 24 miliardi in meno nei crediti a lungo termine, più 1,5 miliardi di minori prestiti alle famiglie. Non c’è bisogno di un master per capire che meno risorse energetiche e meno crediti, sommati insieme, producono un rallentamento industriale, con inevitabile caduta del pil.

ATTENZIONI E APPRENSIONI

Per questo, più che alle sciocchezze in libertà del premier Conte, l’attenzione dei banchieri e degli imprenditori italiani è rivolta in questi giorni a Mario Draghi e alle prossime decisioni della Bce, considerate decisive per evitare che la riduzione del credito si traduca in vero e proprio credit crunch.

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GLI AUSPICI SULLA BCE

In buona sostanza, sia i banchieri che le imprese si augurano che Draghi, terminata l’epoca del quantitative easing, metta di nuovo in campo una politica monetaria espansiva, agevolando così il credito bancario. Grazie al quantitative easing, la Bce ha acquistato, tra marzo 2015 e il 31 dicembre 2018, ben 2,6 trilioni di bond, alleggerendo le banche dell’eurozona di tale onere, con l’obiettivo di stimolare la crescita con una politica espansiva del credito. Una mossa contestata dai falchi tedeschi dell’austerità, ma rivelatasi provvidenziale per molti paesi dell’area mediterranea, Italia compresa.

IL RUOLO DELLA BCE

È ormai assodato che, senza il quantitative easing di Draghi, le banche italiane, appesantite nel 2015 da oltre 200 miliardi di crediti deteriorati (ridotti poi della metà), avrebbero stretto i cordoni del credito ben oltre i 50 miliardi lamentati ora da Unimpresa. È però altrettanto vero che le banche italiane, per quanto abbiamo migliorato i bilanci e riportato utili, non sono affatto uscite dalla crisi iniziata nel 2008. Anzi, oltre a dover smaltire i creditori deteriorati (non perfoming loans) rimasti nei loro bilanci, devono fare fronte a una scadenza molto impegnativa: restituire alla Bce, tra giugno 2020 e marzo 2021, ben 250 miliardi di euro, vale a dire i prestiti a tasso favorevole concessi da Draghi, prima del quantitative easing, con le cosiddette operazioni Tltro (Targeted longer-ter refinancing operation): finanziamenti ultra-agevolati per 750 miliardi alle banche europee perché facessero più credito alle imprese e alle famiglie, di cui le banche italiane sottoscrissero un terzo, pari a 250 miliardi.

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DOSSIER BCE PER INTESA SANPAOLO, UNICREDIT, BANCO BPM, MPS, E UBI

Sono in grado, ora, le banche italiane di restituire quei soldi alla Bce? La risposta di tutti gli analisti è un no secco, anche se una clausola piuttosto complessa da spiegare, nota come Net stable funding ratio, consente alle banche indebitate di ridurre del 50% l’importo da restituire nel 2020 mediante l’emissione di nuovi prestiti obbligazionari, purché tali operazioni siano fatte entro il giugno 2019. Ma anche qui, le banche italiane non sono messe affatto bene. Soltanto le prime sette banche italiane dovrebbero raccogliere ben 108 miliardi di euro per stare in linea con la clausola agevolatrice. Ma tra il maggio 2018 e il gennaio 2019 le banche italiane sono riuscite a collocare non più di 10 miliardi di bond. Il che rende molto difficile, per non dire impossibile, l’obiettivo dei 108 miliardi.

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TUTTI I NUMERI CHE RIGUARDANO INTESA SANPAOLO, UNICREDIT, BANCO BPM, MPS, E UBI

Secondo gli analisti di Deutsche Bank, gli importi che le maggiori banche italiane dovrebbero restituire in base alla Tltro che scade nel 2020 (ma da rifinanziare in parte prima del giugno 2019) sono i seguenti: 41 miliardi per Intesa Sanpaolo, 26 per Unicredit, 15 per Banco Bpm, 10 per Mps e Ubi, 2 per Mediobanca, 1 per Credem.

I PROSSIMI PASSI DELLA BCE

Numeri che spiegano da soli come mai i banchieri italiani, e con loro la Confindustria, attendono con ansia la riunione del board della Bce del 7 marzo prossimo, sperando che San Mario Draghi faccia l’ennesimo miracolo, salvando le banche italiane e con esse l’economia italiana. Come? Ovvio: mettendo in campo una nuova tranche di operazione Tltro, ovvero prestiti ultra-agevolati alle banche europee, con una politica di continuità con il quantitative easing. Una simile operazione sarebbe già stata discussa dal board della Bce a porte chiuse, e il francese Benoit Coeré, membro del consiglio direttivo, ha poi dichiarato che una nuova operazione Tltro «è possibile, anche se vogliamo essere sicuri che serva a uno scopo».

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IL PESO DI DRAGHI

Sul tema, Draghi finora è stato zitto. Sa bene che i falchi tedeschi non sarebbero d’accordo. Il motivo? Una ricerca dell’Ieseg School Management sostiene che il sistema bancario europeo non è privo di liquidità, ma ne dispone in eccesso per 1.250 miliardi, con un forte squilibrio tra Nord e Sud Europa. Infatti il 67% di tale «liquidità in eccesso» si trova nelle banche tedesche, seguita da quelle francesi e olandesi, mentre in quelle italiane vi sarebbe appena il 4%. E poiché le banche tedesche devono depositare la liquidità in eccesso presso la Bce, pagando un tasso negativo, i falchi politici della Germania, ostili da sempre a ogni sorta di mutualità bancaria, faranno di tutto contro un nuovo Tltro. La parola decisiva, c’è da scommettere, verrà come al solito da Angela Merkel.

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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