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Distretti Industriali Intesa Sanpaolo

Ecco come si muoverà Intesa Sanpaolo tra Ubi e Rbm

Tutte le ultime novità in casa di Intesa Sanpaolo tra Ops su Ubi Banca e operazione nel settore delle assicurazioni con Rbm

L’emergenza coronavirus sembra non spaventare Intesa Sanpaolo che, dopo aver incassato la miglior trimestrale tra i gruppi bancari nazionali, prosegue la sua campagna di acquisizioni tra l’offerta pubblica di scambio su Ubi Banca e la chiusura dell’operazione che la porterà subito al controllo – e a detenere il 100% del capitale entro il 2029 – della compagnia assicurativa Rbm Salute.

Intanto, come gli altri istituti di credito nostrani, Ca’ de Sass ha messo da parte del fieno in cascina contabilizzando nel trimestre 300 milioni per i futuri impatti della pandemia come la probabile crescita dell’ammontare di crediti deteriorati.

COME PROCEDE L’AFFAIRE UBI BANCA

Dopo il via libera da parte dell’assemblea dei soci di Intesa Sanpaolo all’aumento di capitale finalizzata all’Ops e in attesa della pubblicazione del prospetto – che offre 17 azioni proprie in cambio di 10 azioni di Ubi -, c’è fermento fra gli azionisti della banca guidata da Victor Massiah. Se infatti fin dal lancio dell’offerta, il 17 febbraio scorso, i tre patti di sindacato Comitato Azionisti di Riferimento (Car) – che detiene il 18,98% del capitale -, Patto dei Mille (1,6%) e Sindacato Azionisti Ubi (8,5%) – che raccoglie intorno ai Bazoli le famiglie imprenditoriali bresciane – erano stati concordi al loro interno nel respingere l’operazione ritenendola non adeguata, ora c’è una novità.

Giuseppe Lucchini, figlio del re dell’acciaio ed ex presidente di Confindustria Luigi, scomparso nel 2013, ha deciso di uscire dal Sindacato Azionisti e ha aperto alle profferte di Carlo Messina. “Semplicemente non sono d’accordo su come il presidente del Sindacato sta gestendo questa delicata fase. Non si tratta ovviamente di un problema legato al mio ruolo di socio dell’istituto” ha spiegato Lucchini al Sole 24 Ore. E riguardo all’Ops ha evidenziato che si tratta di “un ottimo punto di partenza. Andrebbe forse valutata e discussa con gli imprenditori più interessati per farla diventare da ottimo starting point alla migliore in assoluto, tenuto conto anche del momento delicatissimo che tutti noi oggi stiamo vivendo”.

C’è da dire a onor del vero che il Sindacato Azionisti Ubi non aveva espresso formalmente una posizione ma le parole di Lucchini sembrano lanciare un messaggio inequivocabile a Messina: parliamone. Probabilmente il banchiere romano aveva messo in conto che il tempo avrebbe giocato a suo favore; non poteva sapere, invece, che forse un aiuto inatteso sarebbe arrivato da una sciagurata pandemia.

Ubi Banca intanto ha chiuso il primo trimestre con un utile netto di 93,6 milioni, in crescita del 12,1% rispetto allo stesso periodo del 2019. Si tratta di un risultato che include 50 milioni di rettifiche su Utp nei settori “maggiormente impattati dall’emergenza Covid”, scrive il gruppo nella nota che accompagna i conti, e che supera il consensus degli analisti che puntava a 56 milioni.

Peraltro nelle ultime settimane c’è stato anche un botta e risposta indiretto tra l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo e il suo omologo in Ubi. Messina si è rivolto agli azionisti del gruppo evidenziando l’importanza, in un tale scenario di crisi, di unirsi a una banca di maggiori dimensioni. Secca la replica di Massiah, in occasione della conference call con gli analisti: “Le banche che sono entrate in difficoltà sono state banche che hanno subito in maniera molto più pesante delle altre l’impatto del credito non performante” ha affermato ricordando che “nella crisi precedente, fra le maggiori banche italiane noi siamo stati quelli che hanno avuto il minore picco di crediti non performanti, come rapporto fra Npe ratio”. “Non dico che le dimensioni non siano importanti per una banca – ha proseguito -. La dimensione è importante, va sul podio delle olimpiadi di una banca, ma non è al primo posto” dove occorre collocare invece “la qualità del credito”. Seconda piazza, a suo parere, per “la tecnologia”.

LE PAROLE DEL BERGAMASCO GUSMINI

C’è chi non è dell’avviso di Lucchini, comunque. “Se dovessi parlare a un socio di Ubi Banca direi solamente: valutate bene l’offerta di Intesa” perché “il mercato è cambiato e l’ops presenta uno svantaggio” nel concambio e “risulta ancor più sproporzionata a danno degli azionisti Ubi”. E’ quanto afferma Alfredo Gusmini, vice presidente della Fondazione Ubi Banca Popolare di Bergamo a Bergamo news. Gusmini, già vice dg della Popolare di Bergamo, spiega come i piccoli azionisti “messi insieme decidono il destino della propria banca. Perché è bene dirlo: nessuno è costretto a scambiare le proprie azioni”. Gusmini rileva che “quando il 17 febbraio scorso Intesa Sanpaolo lanciò l’offerta di pubblico scambio, si disse agli azionisti di Ubi Banca che nel concambio ci sarebbe stato un premio del 28% (alle quotazioni di allora). Ma così ora non è: da qualche settimana il mercato è cambiato e l’offerta di pubblico scambio presenta uno svantaggio – tecnicamente definito sconto – del 5-6%. Mettendo invece a confronto il valore complessivo delle azioni in concambio con il patrimonio Ubi, l’offerta di Intesa risulta ancor più sproporzionata a danno degli azionisti Ubi. Infatti, quest’ultima ha un patrimonio contabile di 10 miliardi (al 31 marzo) e un patrimonio tangibile di 7,9 miliard”i. “Quindi – conclude – bisogna rileggere la proposta: 17 azioni Intesa per un valore attuale di 2,9 miliardi, se posto a confronto con il patrimonio tangibile di Ubi fa emergere una differenza di ben 5 miliardi”.

LE MIRE SU RBM

Come riporta il Sole 24 Ore per la prossima settimana è previsto il closing dell’acquisizione di Rbm da parte di Intesa Sanpaolo. La valutazione complessiva dell’operazione, che si svolgerà in più tappe, secondo indiscrezioni sarebbe attorno ai 700 milioni di euro: Ca’ de Sass acquisterà direttamente per cassa il 50% +1 azione, al prezzo di 300 milioni di euro; in seguito salirà al 100% del capitale in modo progressivo dal 2026 al 2029, ad un prezzo determinato secondo una formula mista – patrimoniale e reddituale – in base al raggiungimento di obiettivi di crescita prestabiliti.

Negli ultimi giorni intanto è arrivato l’ok delle Authority interessate ossia l’Ivass e l’Antitrust.

CHI E’ E COSA FA RBM SALUTE

Fondata nel 2007, Rbm Salute è attualmente di proprietà del Gruppo Rbhold, della famiglia Favaretto. Il Gruppo RBHold fattura oltre un miliardo di euro e gestisce, per oltre 8 milioni di italiani, attività nell’ambito della previdenza complementare, della sanità integrativa e del risparmio gestito, assicurandone, solo nel settore salute, oltre 4 milioni. Rbm Salute vanta il 17,7% del mercato assicurativo italiano ed è il terzo operatore ma l’unico player indipendente. Nel 2018 ha registrato 515 milioni di euro di premi lordi, un utile netto di circa 37 milioni di euro e quasi 5 milioni di clienti. Una performance, come sottolineava a maggio 2019 l’ad e direttore generale, Marco Vecchietti, “che va letta alla luce dell’ulteriore crescita del settore dell’Assicurazione Sanitaria che anche quest’anno fa registrare un aumento di oltre 7% rispetto all’anno precedente (con una raccolta complessiva di poco meno di 3 miliardi di euro), confermando l’importanza crescente della Sanità Integrativa per gli italiani”.

Al momento Rbm Salute ha una partnership con oltre 130 fondi sanitari integrativi e casse di assistenza in tutto il territorio nazionale ed è, come si legge sul suo sito, “la più grande Compagnia specializzata nell’assicurazione sanitaria per raccolta premi e per numero di assicurati”.  Tra i fondi sanitari clienti troviamo Unicredit, Banco Bpm, Agcm, Consob, Ivass, Anac, Fondazione Enasarco, ministero degli Affari esteri, Confindustria, Ice, Ansaldo e Leonardo.

E’ evidente dunque che Intesa Sanpaolo punti a diversificare il business, pur tenendo centrale il focus sull’erogazione del credito, e inizi a spostare l’attenzione anche sul wealth management e sul comparto assicurativo, in particolare su quello sanitario.

COM’E’ ANDATA LA TRIMESTRALE DI CA’ DE SASS

Come si diceva, Intesa Sanpaolo si è pure portata a casa un’ottima trimestrale chiudendo il periodo con un utile a 1,15 miliardi di euro, in crescita rispetto a 1,05 miliardi del primo trimestre 2019.

Da notare, elemento non da poco considerato la situazione emergenziale che vive il Paese, che nel primo trimestre dell’anno in corso Intesa Sanpaolo ha registrato una riduzione dei crediti deteriorati, al lordo delle rettifiche di valore, di circa 1,3 miliardi di euro, di circa 35 miliardi dal picco di settembre 2015 (di circa 22 miliardi escludendo la cessione dei crediti deteriorati a Intrum e Prelios) e di circa 23 miliardi dal dicembre 2017 (di circa 9 miliardi escludendo le operazioni Intrum e Prelios) realizzando già l’88% dell’obiettivo di riduzione previsto per l’intero quadriennio del Piano di Impresa 2018-2021. Lo stock di crediti deteriorati scende dunque a marzo 2020, rispetto a dicembre 2019, del 3,6% al lordo delle rettifiche di valore e dell’1,6% al netto (del 4,1% al lordo delle rettifiche e del 2,4% al netto, se si escludesse l’effetto della nuova definizione di default). L’incidenza dei crediti deteriorati sui crediti complessivi a marzo 2020 si è ridotta al 7,1% al lordo delle rettifiche di valore e al 3,5% al netto.

GLI ACCANTONAMENTI PER IL COVID-19

Il primo gruppo bancario nazionale ha pure contabilizzato coperture supplementari nel trimestre per 300 milioni ma ha già avvertito il mercato di avere a disposizione un buffer complessivo di 1,5 miliardi per i futuri impatti generati dalla pandemia.

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