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Rasoio Di Occam

Il rasoio di Occam e il sistema fiscale italiano. Il Bloc Notes di Magno

Il Bloc Notes di Michele Magno

L’aumento dell’Iva è scongiurato, e sono tutti contenti. La flat tax è scomparsa dall’agenda del Conte bis, e a sinistra tirano tutti un sospiro di sollievo: l’articolo 53 della Costituzione è salvo. Poco importa che negli ultimi decenni l’idea-forza della progressività sia entrata in crisi. A questa crisi, segnalata già a metà degli anni Ottanta del secolo scorso da Antonio Pedone e Giorgio Fuà, avevano contribuito prima l’inflazione, con il suo cieco automatismo di drenaggio fiscale, poi la giungla sempre più fitta delle agevolazioni, detrazioni e deduzioni, infine la crescente stratificazione della società di massa.

È in questo contesto che esplose il fenomeno leghista alle elezioni amministrative del 1990, quando Umberto Bossi riuscì ad interpretare la protesta dei ceti medi del Nord contro il sistema fiscale, in cui era sempre più evidente lo scarto tra risorse prelevate e benefici erogati. Più tardi si aprì una riflessione su questo nodo, e — in alcuni ambienti accademici — furono formulate proposte di riforma che non riuscirono però mai a varcare la soglia della provocazione intellettuale. Penso, in particolare, a quelle proposte che si ispiravano alle teorie di economisti come Nicholas Kaldor e James E. Meade: la trasformazione dell’imposta personale sul reddito in una imposta personale sulla spesa.

Ora, se la sinistra è stata a lungo identificata con il “partito delle tasse”, una ragione c’è. La sinistra vuole più Stato sociale. Più Stato sociale richiede più tasse, e dunque abbassarle per lei significava tagliare tout court le prestazioni sociali. Per la storia della sinistra italiana quello del fattore T(asse) è oggi un capitolo chiuso? Difficile dirlo. In ogni caso, possiamo anche tuonare contro gli speculatori, contro i banchieri rapaci, contro i superbonus dei manager, contro un capitalismo predatorio e le sue diseguaglianze. Ma non possiamo sottacere un dato incontrovertibile, occultato nelle pieghe di un debito pubblico abnorme.

Vale a dire che i diritti sociali dipendono, in misura che non ha confronto con i diritti civili e politici, dalle risorse create dal mercato. Sfidati dai cambiamenti demografici, della famiglia e del lavoro, il welfare state è sulla graticola dei governi da quando non è stato più possibile pagarlo aumentando le tasse. È stato finanziato indebitandosi. E il debito occorre restituirlo.

Se le cose stanno così, non basta l’appello alla lealtà e al senso civico degli italiani. Non bastano la retorica della lotta senza quartiere all’evasione e dei patti fiscali tra Stato e cittadini, o pur commendevoli procedure telematiche e la tracciabilità della moneta. Occorre che la spesa pubblica corrisponda davvero a un ragionevole costo dello Stato sociale. Per esempio, promuovendo modelli di welfare aziendale e di welfare locale non gestiti da mastodontici e inefficienti apparati burocratici.

La regola nota col nome di “rasoio di Occam” suggerisce di scegliere, ai fini della risoluzione di un problema, quella più semplice tra più ipotesi possibili. Come ben sapeva Luigi Einaudi, è un principio che, se adottato sul terreno fiscale, potrebbe risparmiare molte pene agli italiani: “Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinchè gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché i contribuenti siano onesti, fa d’uopo anzitutto sia onesto lo stato […]. Oggi, la frode è provocata dalla legge” (“L’imposta patrimoniale”, 1946).

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