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Huawei

Huawei fra Pd, M5s, Dis, Tim, Vodafone e Windtre

Che cosa succede a Huawei in Italia. Fatti, nomi, indiscrezioni e ricostruzioni

 

La sicurezza e lo sviluppo digitale dell’Italia devono basarsi “su un approccio fondato sui fatti e non su accuse infondate”. Lo scrive in una nota il colosso tecnologico cinese Huawei in risposta a un articolo pubblicato ieri da la Repubblica, secondo cui il governo italiano starebbe pensando di escludere l’azienda dallo sviluppo della sua rete 5G per motivi di sicurezza.

La scorsa settimana, infatti, il ministro degli Affari esteri, Luigi Di Maio, avrebbe discusso di Huawei con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Lewis Eisenberg.

In consiglio dei ministri la questione sarebbe stata inoltre sollevata “in modo informale” dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd), e dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (Pd). Il partito guidato da Nicola Zingaretti è molto perplesso sui rapporti con Huawei, viste soprattutto le preoccupazioni della Nato per le comunicazioni militari.

Dell’ipotesi di esclusione di Huawei dalla rete 5G in Italia ha scritto nelle ultime ore anche il New York Times, secondo cui la questione è attualmente “oggetto di discussioni” a livello governativo.

“Siamo un’azienda privata – scrive la compagnia cinese nella sua risposta odierna – presente in Italia da 16 anni e in Europa da 20 e siamo parte delle catene di valore globale; abbiamo contribuito allo sviluppo del 3G, del 4G e ora del 5G e siamo alla guida di alcuni dei comitati di standardizzazione globali. Siamo impegnati a contribuire allo sviluppo digitale del Paese, anche in questa difficile fase, con tecnologie, posti di lavoro, risorse, sia in modo diretto che indiretto, attraverso la catena di fornitura dei nostri partner. Sicurezza, trasparenza e rispetto delle regole sono gli elementi fondamentali che ci hanno garantito la fiducia di operatori di telecomunicazioni, imprese e consumatori”.

Le attenzioni degli addetti ai lavori e degli uomini dell’Intelligence – anche sulla scorta della relazione del Copasir che ha chiesto di fatto il bando di Huawei e Zte dalla realizzazione delle reti 5G, mentre meno tranchant è la posizione del Dis – sono rivolte sulle mosse delle compagnie Tim, Vodafone e Windtre per le forniture Huawei (qui l’ultimo articolo sul tema di Start a proposito della situazione in Tim).

Tim ha deciso di escludere la cinese Huawei dall’elenco dei potenziali fornitori per la gara per la rete 5G, sia in Italia e sia in Brasile. La decisione, trapela da fonti aziendali, non avrebbe nulla a che vedere con aspetti di natura politica, ma “riflette solo una scelta industriale che va nell’ottica della diversificazione dei partner”. Tim punta – secondo Reuters – ad ammettere come fornitori solo aziende americane e europee. Ericsson, Nokia, Cisco, Mavenir e Affirmed Networks sono sin qui i player invitati formalmente da Tim all’iter di selezione.

Dice un addetto ai lavori a Start: “Per quanto riguarda quello che ha scritto Reuters, si tratta della rete core StandAlone-SA 5G (la rete core attuale è condivisa 4G/5G, NotStandAlone-NSA), è evoluzione futura. Sulla rete di accesso 5G al momento Huawei viene prevista nella progettazione del TriVeneto e della maggior parte del centro-Sud Italia (Sicilia e Sardegna incluse, tuttavia è giunto da poco un preannuncio di stop nella progettazione degli swap da Nokia sia verso Ericsson che verso Huawei”.

E Vodafone? “Huawei è sempre stato un fornitore di grandissima tecnologia e qualità che ha favorito l’innalzamento del livello di competitività dei produttori degli apparati di rete. Abbiamo adottato già da tempo sistemi rigorosi nella parte di sicurezza degli apparati delle reti e ragioniamo sempre in una logica di differenziazione e segmentazione del rischio. Abbiamo annunciato che sulle nostre reti core non avremo Huawei. Riteniamo sia un rischio assolutamente gestibile avere operatori extra Ue sulle reti di accesso”, ha detto oggi Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia, in una intervista al Sole 24 Ore.

Ma per gli americani questo non sarebbe sufficiente. “Dopo una vivace discussione interna lunedì, il Cdm avrebbe deciso di esercitare i poteri speciali previsti dalla normativa del golden power sulla fornitura di tecnologia da parte di Huawei a Tim e Windtre. Della notizia curiosamente non c’è traccia nel lungo comunicato di Palazzo Chigi”, ha scritto Formiche di Paolo Messa (che in Leonardo sta per essere sostituito come direttore delle Relazioni istituzionali Italia – secondo quanto ha anticipato giorni fa Gianni Dragoni del Sole 24 Ore – da Filippo Maria Grasso proveniente da Pirelli presieduta da Marco Tronchetti Provera; un brand e un imprenditore che – secondo il saggio scritto da Messa “L’era dello sharp power” (Egea) – fanno parte della “chinese connection italiana”, si legge nel saggio).

Ma fonti della casa di Shenzhen hanno detto ieri che nulla sembra indicare un cambiamento da parte del governo su Huawei, “almeno negli ultimi 15 giorni“. Anche i competitor di Huawei hanno confermato ad Agi che da Palazzo Chigi non e’ venuto alcun segnale riguardo un mutamento di atteggiamento nei confronti del colosso di Shenzhen.

Ma quanto costerebbe all’Italia rinunciare alla tecnologia Huawei in questa fase dello sviluppo del 5G? L’esclusione di Huawei da alcune delle reti europee avrebbe conseguenze molto gravi dal punto di vista economico. Si parla di un calo di Pil fino a 40 miliardi di euro, emerge dallo studio “Limitazione della concorrenza nelle infrastrutture di rete 5G in Europa” a firma dell’istituto britannico Oxford Economics che, come rende noto un comunicato della stessa Huawei, bolla come «drammatiche» per l’Europa le conseguenze in termini di perdite economiche nette nel lungo termine, ha riportato nei giorni scorsi il Sole 24 Ore.

La limitazione di Huawei aumenterebbe secondo gli analisti di Oxford Economics i costi totali di investimento di quasi 3 miliardi all’anno, in media, nel prossimo decennio. Inoltre, la restrizione della concorrenza comporterebbe ritardi di lancio in tutta Europa. E nel 2023 sarebbero coperti dalla rete 5G circa 56 milioni di persone in meno.

Risultati, questi, resi noti proprio nei giorni in cui dagli Usa è arrivata l’ennesima stoccata all’indirizzo del colosso di Shenzhen e dell’altra società cinese del settore: Zte. La Commissione federale Usa per le comunicazioni (Fcc) ha infatti definito le due compagnie cinesi protagoniste del mercato del 5G, come «minacce per la sicurezza nazionale»

Cifre  – comunque – contestate da Ericsson, la punta di diamante di quel polo europeo di sviluppo del 5G di cui fa parte anche Nokia e al quale la Casa Bianca guarda come alternativa allo strapotere cinese, tanto che ha circa il 60% del mercato statunitense del 5G e accordi con i 4 principali operatori, mentre ha gia’ scalzato Huawei in alcuni contratti in Argentina, Germania, Canada, Gran Bretagna, Norvegia e Danimarca, riporta l’Agi, l’agenzia di stampa diretta da Mario Sechi.
Un capitolo a parte merita il tweet della candidata repubblicana al Senato per la California DeAnna Lorraine, una trumpiana di ferro che si trova a contendere il seggio nientemeno che a Nancy Pelosi e che in un post del 7 luglio si è chiesta “come mai il premier Conte abbia incontrato in segreto lobbisti di Huawei” e oggi, 9 luglio, ha ritwittato un articolo del quotidiano La Verità che ha sottolineato il suo tweet anti Huawei.
Fonti dell’azienda cinese hanno smentito categoricamente che questo incontro sia mai avvenuto, mentre secondo molti osservatori – in primis il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro – il riferimento della DeAnna è all’incontro tra il presidente del Consiglio e Davide Casaleggio. “Un’imbeccata maldestra che fa parte della manovra che periodicamente viene messa in atto contri di noi”, hanno replicato fonti di Huawei all’Agi.
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