Una decina di giorni fa il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato una serie di dazi sulle automobili elettriche e su altri prodotti provenienti dalla Cina, colpendo un giro d’affari dal valore complessivo di 18 miliardi di dollari. Lo ha fatto dopo aver completato il processo di revisione delle tariffe che il suo predecessore, Donald Trump, aveva imposto sulle importazioni cinesi: quelle tariffe sono state mantenute e ne sono state aggiunte di nuove, che prendono di mira principalmente le tecnologie e i dispositivi essenziali alle transizioni energetica e digitale, come i semiconduttori e le batterie.
LE RAGIONI DEI DAZI
Tanto l’amministrazione Biden quanto quella Trump avevano giustificato l’innalzamento delle barriere commerciali con la necessità di proteggere la manifattura statunitense dalle pratiche economiche cinesi, fatte di sussidi statali alle imprese che distorcono la concorrenza. Nel comunicato della Casa Bianca si afferma che queste pratiche hanno permesso alla Cina di “controllare il 70, l’80 e persino il 90 per cento della produzione globale degli input critici necessari per le nostre tecnologie, infrastrutture, energia e assistenza sanitaria, creando rischi inaccettabili per le filiere e la sicurezza economica dell’America”.
L’IMPATTO ECONOMICO
Bloomberg, con la collaborazione di Kyle Handley, professore di Economia all’Università della California – San Diego, ha redatto un elenco dei principali dazi contro la Cina messi dall’amministrazione Biden, calcolandone l’impatto economico e spiegandone le motivazioni.
SEMICONDUTTORI
Aliquota: dal 25 al 50 per cento, a partire dal 2025
Valore delle importazioni (2023): 504 milioni di dollari
Motivazione: Gli Stati Uniti vogliono aumentare le loro capacità manifatturiere di microchip e contemporaneamente vogliono impedire alla Cina di dotarsi delle capacità tecnologiche necessarie a progettare e realizzare semiconduttori avanzati. I dazi, in particolare, prendono di mira i cosiddetti legacy chip: si tratta di componenti di vecchia generazione ma ancora molto diffusi.
Secondo Bloomberg, esiste il rischio che la Casa Bianca stia sopravvalutando le capacità cinesi di produrre legacy chip; Pechino, comunque, potrebbe reagire alzando i prezzi di questi circuiti in modo da colpire le aziende statunitensi che li utilizzano.
MINERALI CRITICI
Aliquota: dallo 0 al 25 per cento, a partire dal 2024 e dal 2026 (a seconda dei casi)
Valore delle importazioni (2023): 783 milioni di dollari
Motivazione: I minerali critici – come il litio, il cobalto e la grafite – sono fondamentali per le cosiddette “tecnologie pulite” necessarie alla transizione energetica, come le batterie. La Cina è il paese largamente dominante nella raffinazione di pressoché tutti questi minerali e potrebbe sfruttare questa posizione per restringere le esportazioni.
Dal 2026 gli Stati Uniti inizieranno ad applicare dazi sulle importazioni dalla Cina di grafite naturale, un materiale essenziale per le batterie dei veicoli elettrici: le tariffe, dunque, potrebbero comportare un aumento dei costi per le case automobilistiche. Le riserve americane di grafite valgono meno dell’1 per cento del totale mondiale; quelle cinesi il 90 per cento.
AUTO ELETTRICHE
Aliquota: dal 25 al 100 per cento, dal 2024
Valore delle importazioni (2023): 385 milioni di dollari
Motivazione: I dazi sulle auto elettriche cinesi erano già molto alti, e infatti gli Stati Uniti praticamente non importano queste vetture. Il forte aumento delle aliquote serve a mantenerle lontane dal mercato, in modo da garantire protezione all’industria automobilistica nazionale in questa fase di riconversione alla mobilità elettrica. La Casa Bianca sostiene inoltre che i veicoli cinesi, per via delle loro funzioni di connettività, possano raccogliere dati sensibili sulla popolazione e sulle infrastrutture americane.
Il rischio però è che le case automobilistiche cinesi possano aprire stabilimenti manifatturieri in Messico, sfruttando il paese come base per la riesportazione negli Stati Uniti, sfruttando il libero scambio nordamericano.
BATTERIE
Aliquota: dal 7,5 al 25 per cento, a partire dal 2024-2026
Valore delle importazioni (2023): 13,1 miliardi di dollari
Motivazione: Gli Stati Uniti hanno paura che la “sovraccapacità” dell’industria cinese delle batterie – cioè la produzione eccessivamente superiore alla domanda interna, che quindi si riversa all’estero a prezzi bassi – possa far fallire lo sviluppo della filiera nazionale. I dazi servono a stimolare gli investimenti sul territorio nazionale, ma in assenza delle batterie cinesi potrebbe verificarsi un rallentamento della transizione ecologica americana, sia sul versante della mobilità elettrica che su quello dello stoccaggio dell’energia rinnovabile.
ACCIAIO E ALLUMINIO
Aliquota: dal 7,5 al 24 per cento, dal 2024
Valore delle importazioni (2023): 1,2 milioni di dollari
Motivazione: Si tratta di dazi motivati da ragioni più politiche che commerciali, considerato che l’industria siderurgica statunitense si concentra in molti swing states (cioè quegli stati dove non esiste una netta maggioranza di votanti del Partito democratico o di quello repubblicano) e che le importazioni dalla Cina rappresentano solo il 2 per cento del totale. I dazi, insomma, non cambieranno granché le cose, anche se potrebbero portare a un aumento dei prezzi.
GRU PORTUALI
Aliquota: dallo 0 al 25 per cento, dal 2024
Valore delle importazioni (2023): 17,5 milioni di dollari
Motivazione: La Cina è il primo produttore al mondo di gru portuali, utilizzate per spostare i container dalle navi alla banchina. Il governo americano pensa che Pechino possa sfruttare questi apparecchi per effettuare operazioni di spionaggio: le gru, in particolare, potrebbero registrare la provenienza e la destinazione dei container che passano per i porti statunitensi, permettendo alle autorità cinesi di raccogliere informazioni sui materiali sensibili (di utilizzo militare) spediti da o verso il paese.