Le tensioni commerciali e tecnologiche tra la Cina e l’Occidente proseguono e producono effetti.
Lunedì la casa automobilistica BYD, una delle maggiori produttrici di veicoli elettrici al mondo, ha acquisito la rimanente quota del 10 per cento delle azioni della joint venture cinese con il gruppo tedesco Mercedes-Benz, assumendone il pieno controllo. La società era stata istituita per la commercializzazione del marchio Denza. Il valore economico dell’operazione non è stato comunicato.
LA JOINT VENTURE TRA BYD E MERCEDES
Termina così una partnership iniziata tredici anni fa. La joint venture, chiamata Shenzhen BYD New Energy, era infatti stata creata nel 2011 da BYD e Mercedes-Benz (al tempo si chiama Daimler); ciascuna delle parti ne possedeva il 50 per cento delle azioni. A causa delle vendite scarse del marchio Denza, specializzato in veicoli elettrici di fascia alta, i tedeschi decisero però nel 2021 di ridurre la loro partecipazione al 10 per cento.
Negli anni successivi, grazie a un cambio di strategia, Denza ha ottenuto una certa popolarità nel settore delle monovolume elettriche di lusso grazie soprattutto al modello D9, il più venduto nella categoria nel 2023. A breve BYD dovrebbe lanciare un nuovo modello, il Denza Z9G7, dal prezzo di 47.900 dollari.
LE TENSIONI TRA CINA E UE SULL’AUTO ELETTRICA
Nei prossimi giorni gli stati membri dell’Unione europea voteranno per imporre, come proposto dalla Commissione, dei dazi aggiuntivi sulle auto elettriche importate dalla Cina: le tariffe vanno dal 17 al 36,3 per cento e serviranno a bilanciare le sovvenzioni sleali offerte dal governo cinese ai produttori automobilistici nazionali. Alcuni paesi, tuttavia, come la Spagna e la Germania, si oppongono, temendo ritorsioni commerciali da parte di Pechino.
Intenzionato a preservare il proprio vantaggio competitivo, il governo cinese ha chiesto alle case automobilistiche di mantenere in patria le tecnologie avanzate per la mobilità elettrica se apriranno degli stabilimenti all’estero.
LA CINA AVANZA NELLA MANIFATTURA DI MICROCHIP?
Sui microchip, invece – un altro motivo di contrasto tra Pechino e l’Occidente -, le autorità cinesi hanno annunciato un avanzamento tecnologico nei macchinari che permettono di fabbricare questi componenti: nello specifico, il ministero dell’Industria ha parlato di un nuovo apparecchio per la litografia a immersione dalla risoluzione di 65 nanometri o superiore. In poche parole, la risoluzione del macchinario determina la dimensione dei circuiti che possono venire impressi su una superficie di silicio: minore è il numero dei nanometri, più performante è il microchip.
Nonostante il progresso rispetto alle precedenti macchine da 90 nanometri, la Cina rimane comunque parecchio indietro ad ASML (olandese), Applied Materials (statunitense) e Tokyo Electron (giapponese). Il paese, peraltro, non può accedere alle tecnologie di chipmaking di queste aziende per via dei controlli alle esportazioni implementati dagli Stati Uniti e dagli alleati: Washington vuole impedire a Pechino di accedere ai componenti necessari allo sviluppo dell’intelligenza artificiale al progresso industriale-militare.
I macchinari migliori di ASML, che ha il monopolio globale su alcuni sistemi avanzati di litografia, hanno una risoluzione di 8 nanometri. L’anno scorso si era parlato dello sviluppo, da parte della cinese SMEE, di una macchina di litografia da 28 nanometri, ma non è chiaro se sia stata effettivamente costruita.