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Dispositivi Medici

Chi sbuffa sulle gare pubbliche per i dispositivi medici

Ecco perché il settore dei dispositivi medici in Italia, nonostante la pandemia, registra un calo sia nella produzione che nel fatturato. Fatti, numeri e commenti

 

Già nel 2020 i numeri della produzione e del fatturato del settore dei dispositivi medici italiani erano andati giù, ma adesso il trend sembra continuare nella stessa direzione, pur essendo ancora in corso la pandemia.

Ma oltre a questo, sottolinea Il Sole24Ore, aumenta l’import e diminuisce l’export, perdendo quindi quote rispetto all’industria estera.

Ecco cosa sta succedendo.

IL FATTURATO

In Italia, il fatturato del settore dei dispositivi medici (mascherine, tamponi ma anche strumenti hi tech) è passato dai 16,7 miliardi di euro del 2019 ai 16,2 miliardi del 2020. I dati, forniti da Confindustria, si fermano appunto al 2020 ma il quotidiano economico scrive che “questa tendenza sembra confermata anche nel 2021”.

LA PRODUZIONE E LA DIPENDENZA DALL’ESTERO

Nell’articolo si legge inoltre che la produzione, pari a 6 miliardi di euro, non solo ha avuto un calo del 13%, ma nella bilancia commerciale “l’import è pari a 8,5 miliardi, con una crescita che sfiora il 5%, e contemporaneamente l’export delle nostre imprese cala del 5,3%, a quota 5,4 miliardi”.

Sebbene due anni di pandemia avrebbero dovuto insegnare che la produzione nazionale è fondamentale soprattutto in momenti difficili, l’Italia compra sempre di più dall’estero. “E questa scelta – prosegue Il Sole24Ore – viene fatta soprattutto dalla sanità pubblica, che rappresenta l’80% delle commesse”.

LA SPESA SANITARIA PUBBLICA

Aboutpharma riflettendo sull’andamento del settore dei dispositivi medici fa notare che “in Italia la spesa sanitaria in dispositivi medici vale 154,8 miliardi di euro. Per il 75% è rivolta alla sanità pubblica (116,8 miliardi di euro), con un 7% di spesa con un incremento (7,79 miliardi) e la restante parte in spesa privata. La spesa pubblica pro-capite in dispositivi medici è in media di 102 euro, valore inferiore alla media dei principali Paesi europei”.

A livello regionale poi si osserva che “in regioni con una sanità privata molto diffusa la spesa in dispositivi medici pro-capite è molto bassa, mentre in regioni nelle quali la sanità pubblica è più presente la spesa è maggiore”.

Fonte: Confindustria Dispositivi medici

IL COMMENTO DI CONFINDUSTRIA DISPOSITIVI MEDICI

“Il trend è in atto da anni, da quando la sanità ha cominciato a subire forti tagli – ha spiegato Massimiliano Boggetti, presidente dell’associazione Dispositivi medici di Confindustria – Adesso è ancora più visibile e contraddittorio. La pandemia ha messo in luce l’importanza delle produzioni nazionali, ma nel tempo i dispositivi medici italiani sono stati sempre meno valorizzati”.

I DATI DEL SETTORE E DELLE IMPRESE

Il comparto dei dispositivi medici, stando ai dati di Confindustria, conta 4.323 imprese e 94.153 occupati. “Di queste, – fa sapere Aboutpharma – 3.753 operano a livello nazionale, mentre le restanti 570 sono multinazionali. La produzione è il segmento operativo più numeroso (2.354 imprese), segue la distribuzione (1.689) e i servizi (280). Solo il 5% del totale sono grandi imprese”.

Fonte: Confindustria Dispositivi medici

Secondo i dati forniti dal Sole24Ore, il 52,5% delle aziende registra ricavi inferiori rispetto a prima della pandemia. A essere più colpite sono “le imprese impegnate nelle protesi acustiche, con ricavi inferiori dell’80%, dentale, con cali del 76,47%, e nel segmento ottico, dove si registra un crollo del 74,26%”.

LE RAGIONI DELLA DIPENDENZA DALL’ESTERO

I prezzi dei prodotti italiani, afferma chi è del settore, non possono competere con quelli importati dall’Asia rendendo quindi impossibile vincere le gare che sono “al massimo ribasso” e che dovrebbero prevedere una richiesta di maggiore qualità.

“A oggi – ha scritto Boggetti su Aboutpharma – non abbiamo segnali positivi e soprattutto non si vede la volontà di riconoscere il comparto dei dispositivi medici come capace di proteggere il Paese, creando ricchezza e occupazione […] Un Paese non può dire di credere nell’innovazione se poi la compra regolarmente al prezzo più basso e dal migliore offerente”.

Per rendere l’idea, nell’articolo del Sole24Ore si legge che “le importazioni dall’Asia registrano un aumento del 29,5%, con picchi in Corea che superano il 300% (nel 2020 sul 2019, con un valore totale confermato anche nel 2021)”.

Lo stesso Boggetti ha ribadito che l’Italia – pur avendo una lunga tradizione manifatturiera alle spalle – troppo spesso ha delocalizzato la produzione di dispositivi medici invece di investire nel proprio Paese: “Su questo l’Italia deve fare una riflessione profonda avendo toccato con mano nel periodo pandemico che cosa significa non avere una produzione domestica e troppo spesso doverla importare”.

IL CASO DELLE MASCHERINE

I produttori italiani di mascherine Ffp2, Ffp3 e Melt Blown (il tessuto non tessuto utilizzato per le stesse) hanno scritto una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e della Salute, Roberto Speranza, per richiamare l’attenzione sul loro settore che dà lavoro a 24.000 persone.

Hanno ricordato che, nel marzo 2020, il governo aveva chiesto loro di rendere l’Italia autosufficiente nella fornitura di dispositivi di protezione e così è stato passando da 2,5 milioni di mascherine chirurgiche e Ffp2 a 90 milioni a settimana.

Tuttavia, si legge nella lettera che “di fronte a una concorrenza asiatica distorta, il rischio di un ritorno al punto di partenza è reale”. Da qui l’appello a tutte le amministrazioni, istituzioni e aziende pubbliche ad acquistare le mascherine da produttori italiani, cosa che sarebbe prevista anche dal Piano Strategico-Operativo Nazionale di preparazione e risposta ad una futura Pandemia influenzale PANFLU 21/23 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 2021.

A detta dei produttori italiani, per il governo si tratta di un settore strategico solo a parole perché nei fatti, scrivono, “basti andare a vedere le uniche due gare bandite dalla struttura commissariale del Generale Figliuolo”, in cui sono stati avvantaggiati “i produttori e gli importatori di prodotti cinesi esercitando di fatto un dumping che ha escluso la filiera produttiva italiana, rispettosa delle stringenti normative nazionali, coerenti con i principi di sicurezza e di sostenibilità anche sociale, nonché prerogativa di qualità del prodotto finale”.

I DATI IMPORT/EXPORT

A livello europeo, secondo i dati di Confindustria, l’Italia è al 15esimo posto per esportazione nel settore. L’export vale 5,7 miliardi di euro (con una crescita del 7,9% rispetto all’anno precedente), mentre le importazioni valgono 8,1 miliardi di euro (con un incremento del 5,5% rispetto all’anno precedente).

Fonte: Confindustria Dispositivi medici

LA CARENZA DI MATERIE PRIME

Ma ai problemi con le gare – per lotti spesso molto grandi e pluriennali – si aggiungono anche altre difficoltà. “Le imprese del comparto dei dispositivi medici – ha scritto Boggetti su Quotidiano Sanità – vivono in questi mesi, come effetto secondario della pandemia da Covid-19, una grave carenza di materie prime e il conseguente, drammatico, peso dell’aumento dei prezzi”.

QUALI MATERIE MANCANO

“Secondo l’indagine del Centro Studi di Confindustria dispositivi medici, – prosegue Boggetti – l’aumento dei costi delle materie prime come il ferro (+51,6%), l’alluminio e l’acciaio inox (+39,5% e +36,3%), ma anche dei materiali plastici (+34,8%) e della componentistica elettronica (+32,1%) si somma all’impennata dei costi per il trasporti e per le importazioni di componentistica, semilavorati e prodotti finiti che fa registrare mediamente un balzo del 188,9% con picchi che nelle ultime settimane hanno superato il 400%”.

IL PARADOSSO

“Rispetto ad altri settori, quindi, – ha spiegato Boggetti – le imprese del comparto si trovano schiacciate in una situazione paradossale: la mancanza di materie prime mette a rischio la disponibilità dei prodotti, ma se non rispettano le consegne previste dal contratto potrebbero essere denunciate per interruzione di pubblico servizio; inoltre, a causa dell’aumento dei costi di quelle materie prime che ancora si riescono a reperire non può variare nel corso dell’esecuzione dei contratti con la PA l’entità del corrispettivo originariamente pattuito”.

Inoltre, “le imprese dei dispositivi medici corrono il rischio in caso di contestazione e di inadempimento contrattuale di essere inserite nel casellario informatico ANAC, cosa che preclude loro la partecipazione ad altre gare. Tale evenienza impedirebbe di fatto la vita stessa di molte aziende che hanno nel rapporto con la PA il solo o principale sbocco commerciale”.

LA RICHIESTA DI CONFINDUSTRIA

Per questo motivo il presidente di Confindustria Dispositivi medici chiede alle istituzioni di intervenire inserendo nei bandi di gara una clausola di forza maggiore e sospendendo per le stesse motivazioni la segnalazione all’ANAC in caso di inadempimenti.

“Investire in Italia e in questo tipo di industria sarebbe molto lungimirante, da un punto di vista strategico, economico e prospettico: la nostra – ha spiegato Boggetti – è un’industria che non crea bolle che poi scompaiono, ha un alto contenuto tecnologico e un’occupazione qualificata. Tutti fattori che generano valore nel tempo. Chiaramente tutto deve essere accompagnato da un grande piano di aiuti all’espansione produttiva che stimoli anche le multinazionali straniere a localizzare in Italia i propri impianti”.

L’APPELLO DI CONFINDUSTRIA

“Mi augurerei che compagini nazionali come Invitalia e Cassa Depositi e Prestiti decidessero di investire e dare una mano alla creazione di questo tessuto. La nostra – ha concluso Boggetti – è un’industria “buona”, non pesante, non fortemente energivora o inquinante. È un’industria sofisticata e che da tempo si impegna nella responsabilità sociale, anche con progetti di alto livello per la sostenibilità ambientale. A parità di fatturato con industrie di altri settori le nostre hanno al loro interno know how ma anche barriere regolatorie che le rendono veri gioielli di impresa ed orgoglio di un nuovo Made in Italy”.

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