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Che cosa fare dopo la sentenza di Standard&Poor’s sull’Italia?

Il commento di Gianfranco Polillo dopo il giudizio di Standard&Poor’s

Quella di Standard&Poor’s è stata solo una mezza bocciatura. La classe di merito (BBB) è rimasta la stessa, ma l’outlook è passato da “stabile” a “negativo”: possibile preannuncio di futuri temporali, se non proprio di tempesta. Anche in questo caso solo 2 notch, ma sarebbe meglio dire uno e mezzo, separano i titoli italiani dal baratro della “spazzatura”. Il verdetto è quindi più simile a quello di Fitch, emesso qualche tempo fa, che non a quello di Moody’s, ma in un contesto molto diverso e decisamente più allarmante.

Come si spiega? Vari i fattori che vi hanno contribuito, a partire dalla maggiore o minore severità con cui sono solite operare le diverse agenzie di rating. Probabilmente la complicata situazione del mercato sia internazionale, ma soprattutto interno, ha giocato un ruolo particolare. Con l’economia che, in generale, tende a flettere, le spinte protezionistiche, le borse in affanno in quasi tutte le piazze finanziare, meglio non gettare altra benzina sul fuoco.

Del resto la situazione italiana è visibile ad occhio nudo. Il mercato ha espresso già le sue valutazioni su titoli di Stato ed azioni, quindi l’ulteriore downrating avrebbe contribuito ad un più generale sconquasso. Meglio allora un verdetto che “segue” e non “anticipa” quanto già sta avvenendo nella realtà di tutti i giorni.

Le motivazioni addotte, a sostegno del relativo giudizio, aggiungono ben poco a quanto già si sapeva sulle contraddizioni che stringono alla gola della finanza e dell’economia italiana. L’aspetto più preoccupante è naturalmente quello che attiene alla finanza pubblica, bilanciato, ma solo in minima parte, da una maggiore solidità dei fondamentali. Analisi agitata dagli esponenti governativi – soprattutto Giuseppe Conte e Luigi Di Maio – per dimostrare l’intrinseca validità della “manovra del popolo”. Quando, invece, dovrebbe valere il contrario. Se i fondamentali sono buoni meglio non rovinarli con scelte azzardate.

Il pericolo maggiore è dato da squilibri di natura finanziaria destinati a creare maggiori difficoltà a famiglie e imprese. Colpa degli artigli di una speculazione senza cuore? Oppure di Mario Draghi che Di Maio ha sorpreso nel tentativo di “avvelenare il clima”. Giudizio non solo sbagliato, ma ingeneroso. Se non vi fosse stato il suo bazooka – Il Quantitative easing – i titoli italiani sarebbero, da tempo, carta straccia. Qual è, allora, la sua colpa? Quella di aver salvato l’euro? È questo il pensiero recondito, nonostante le smentite, del capo politico dei 5 stelle?

Ma torniamo alla più elementare grammatica dell’economia che tutti dovrebbero conoscere per non farsi irretire nelle polemiche di una politica non sempre responsabile. Il pericolo principale è dato dal rischio del contagio. Dalle azioni e dai bond vs l’economia reale e nei confronti di altri Paesi europei. In questa trasmissione dei relativi impulsi non c’è alcunché di misterioso o, addirittura, diabolico.

Il susseguirsi degli eventi può essere così schematizzato. L’eccesso di spesa corrente – pensioni e diritti di cittadinanza – avendo un bassissimo moltiplicatore, difficilmente potrà dare impulso a un Pil già previsto in fase calante. Quindi quel tasso di crescita, che il governo ipotizza (spera) all’1,4 per cento difficilmente potrà essere conseguito. È forse un crimine, come lasciano intendere i 5 stelle, pensarla in questo modo? A una contrazione del tasso di crescita corrisponderà, inevitabilmente, un deficit di bilancio superiore alle previsioni e un rapporto debito-Pil maggiore del previsto.

Sulla base di quest’analisi, coloro che ancora vogliono acquistare titoli del debito italiano chiedono un tasso d’interesse maggiore, per coprirsi da un rischio più elevato. Cresce, pertanto, il tasso di rendimento. Che misurato rispetto ai Bond tedeschi dà origine al famigerato spread. Se quest’ultimo aumenta, i titoli emessi in precedenza si deprezzano. Perdono cioè rispetto ai valori precedenti. Per le banche italiane, che trattengono in pancia oltre 300 miliardi di titoli, le perdite di bilancio dovute all’emergere delle minusvalenze, seppur non contabilizzate, sono immediate.

Queste ultime di conseguenza si trovano ad avere meno risorse a disposizione per finanziare le imprese e le famiglie. In particolare sono costrette a chiedere alla clientela maggiori interessi, per coprire le perdite e quindi a razionare il credito a favore di coloro che possono permettersi di sostenere un onere maggiore. L’effetto restrittivo sull’economia reale è immediato. Ma c’è di più. In borsa il valore di un’azione è dato, in generale, da un multiplo degli utili che l’azienda dovrebbe conseguire. Se questi diminuiscono anche la quotazione del titoli subisce un contraccolpo. È quanto sta avvenendo per tutte le banche italiane.

Ultima conseguenza. Le banche italiane rappresentano la maggioranza del paniere che è rappresentato nel Ftse-mib. Il loro affanno, di conseguenza, porta a una caduta dell’indice, influenzando tutte le altre contrattazioni. È una lunga catena che non produce effetti solo sul territorio nazionale. Dato il peso specifico dell’Italia nell’Eurozona, la sua eventuale crisi rischia di determinare uno spillover (contagio) nei confronti di altre economie. Cresce pertanto l’apprensione europea e, con essa, i moniti a mettersi in riga. Dando alimento alle scomposte reazione politiche di questi ultimi drammatici giorni.

Questo, quindi, il quadro generale. Che una cosa almeno la dimostra. A Bruxelles i destini specifici dell’Italia interessano poco. Se gli italiani hanno deciso di farsi del male, si accomodino pure. Ma se dai loro comportamenti può derivare una crisi più generale, allora, bisogna fare tutto il possibile per scongiurarla. Anche a costo di interferire pesantemente con le vicende interne di un Paese membro. Alimentando quella spirale senza fine che, se non si interrompe, può portare a un piccolo disastro.

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