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Borsa, Unicredit, Mediobanca, Generali e non solo. Cosa va (e cosa non va) nel rapporto Copasir

Conversazione di Michele Arnese, direttore di Start, con l'analista Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, per approfondire il rapporto del Copasir "sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo": Borsa Italiana, Unicredit, Mediobanca, Generali e non solo

Il Copasir è critico con l’operazione che ha portato all’ingresso di Cassa depositi e prestiti in Euronext e alla contestuale acquisizione di Borsa Italiana. Condivide?

No. Come ho scritto, ritengo che il documento del Copasir sia utile per la riflessione del Paese, soprattutto nelle parti in cui analizza l’impatto delle trasformazioni tecnologiche sulle banche e nella riflessione sui crediti deteriorati, ma non condivido la critica a quell’operazione.

Il Copasir scrive che per l’offerta tedesca, “che a quanto risulta era la più economicamente vantaggiosa”, “non sono state chiarite le motivazioni che hanno determinato la scelta verso l’altra soluzione”. Ma il Comitato per la sicurezza della Repubblica quindi preferisce l’aspetto economico a quello strategico? Non dovrebbe essere il contrario? E poi: se da un lato sottolinea i pericoli di un’avanzata franco-tedesca nella finanza, come fa a occhieggiare a Deutsche Borse?

L’aspetto strutturale da considerare sono le trasformazioni tecnologiche nella finanza, per questo proponevo di audire Euklid, o comunque le tante realtà interessanti dove sono attivi gli italiani.   A livello strategico, in operazioni su infrastrutture finanziarie è importante che investitori italiani stabili siano coinvolti e garantiscano un presidio ben definito. Su Borsa Italiana c’era questa logica, poi ne vedremo lo sviluppo nel tempo.

Stiamo su Cdp. Il Copasir prima la elogia per la sua valenza strategica e alla fine auspica che sia il Parlamento a dare gli indirizzi alla Cassa, che peraltro è controllata dal Mef e partecipata dalle fondazioni, ben oltre i compiti dell’attuale commissione parlamentare sulla Cassa. Ecco il brano preciso: “Il Comitato, considerato che l’intervento di Cdp comporta una scelta politica ed economica rilevante da parte del Ministero dell’economia, sottolinea l’importanza che il Parlamento venga adeguatamente coinvolto in tale processo, attribuendogli per via legislativa il compito di determinare, da un lato, gli indirizzi di impiego delle risorse del « fondo strategico » presso Cassa Depositi e Prestiti, dall’altro, l’operato di quest’ultima nella sua nuova dimensione di « fondo sovrano ». Inoltre, anche l’esercizio dell’azione di controllo sulla piena rispondenza degli impieghi agli indirizzi forniti andrebbe ricondotto alle funzioni di indirizzo parlamentare”. Ma a questo punto perché – chessò – una commissione di vigilanza anche per Invitalia o per il Mediocredito centrale?…

In quest’ambito, cerco di difendere la prospettiva del Copasir, perché sono più moderato nella mia lettura. Facciamo un po’ di ordine. Esiste già una Commissione Parlamentare di Vigilanza sulle attività di Cassa Depositi e Prestiti in gestione separata ed effettua audizioni. Il Copasir chiaramente lo sa. Quindi il punto del Copasir può riguardare un riferimento generale agli ambiti di sua competenza, relativi alla sicurezza nazionale. Intelligence economica, intelligence tecnologica e consapevolezza della sicurezza nazionale sono aspetti che non riguardano solo il sistema di informazione per la sicurezza ma coinvolgono una cultura diffusa del nostro Paese. Il tema riguarda la conversazione su ciò che è strategico, che deve peraltro indicare anche ciò che non lo è, per non mettere tutto nello stesso calderone. È questa conversazione che io ritengo importante, anche per il “fondo sovrano” italiano (espressione che ho utilizzato su Limes nel 2015) e per le società partecipate. Fermo restando che la dimensione geopolitica e di sicurezza nell’organizzazione dell’economia pubblica in Italia meriterebbe un discorso ampio.

Il Copasir scrive: “Il timore è che iniziative comuni dell’asse franco-tedesco possano marginalizzare l’Italia”. Facciamo nomi e cognomi? Indicano i timori che Generali possa essere comprata da Axa. Solo questo? E quali sono le potenziali “iniziative comuni dell’assetto franco-tedesco”? Paiono espressioni più da editoriali giornalistici che da rapporti del Copasir…

Il tema della relazione del Copasir, in sintesi, ci ricorda come nell’ultimo decennio sia emersa una divaricazione tra i due principali gruppi bancari italiani: Unicredit e Intesa Sanpaolo. Entrambi frutto delle fusioni del 2007, ma che hanno visto un cambiamento netto dei rapporti di forza: l’attore internazionalizzato e maggiormente sistemico (Unicredit) si è indebolito, mentre chiaramente Intesa si è rafforzata in modo significativo. A cavallo di questo processo, gli attori francesi (Bnp Paribas e Crédit Agricole) sono divenuti maggiormente presenti nel nostro Paese, fatto che costruisce dipendenza in due direzioni, con rapporti di forza sbilanciati su Parigi. Ci sono state operazioni di finanza italiana in Francia (per esempio, Mediobanca con Messier Maris), ma comunque non nello stesso livello.

Dunque sempre e comunque “no ai francesi”?

Io non credo che dobbiamo trarne conclusioni per dire “no ai francesi” in assoluto, come elemento principale che ci definisce come Paese. Sarebbe una posizione debole. Certo, non bisogna negare i problemi: per esempio, l’ennesimo attacco a Fincantieri del rapporto curato dalla parlamentare Sophie Primas va rigettato e criticato, anche perché presenta argomenti infondati e strumentali. Ho formulato la mia visione anche sull’Espresso: a partire dalle divergenze esistenti e dagli ambiti di collaborazione, bisogna discutere con la Francia al massimo livello, per trovare un filo in alcune vicende che ci riguardano.

Quindi?

Alla luce della storia recente, dobbiamo però soprattutto interrogarci su noi stessi, perché la capacità finanziaria internazionale parla sempre della capacità nazionale.

Come scritto su Start, non si comprende se per il Copasir – viste anche le dichiarazioni di molti suoi esponenti prima dell’approvazione del documento finale – Del Vecchio sia o no un cavallo di Troia dei francesi in Mediobanca o Generali. Nel rapporto si legge: “L’aumento di capitale di Delfin in Mediobanca potrebbe modificarne l’assetto societario, con conseguenze per il nostro principale istituto di assicurazioni, Generali, che, come è noto, detiene un considerevole pacchetto di titoli di Stato”. E il presidente del Copasir a commento del rapporto ha detto: “Mi limito a dire che Del Vecchio è un grande italiano”. Quindi?

Io posso dire la mia opinione di analista su Del Vecchio e sul contesto in cui si colloca. Cosa abbiamo visto in questi anni? Il crescente avvicinamento di singoli imprenditori italiani e di famiglie imprenditoriali al sistema francese. È un processo che descrivevo nel 2017. Da dove viene questo processo? Solo dal fascino di Parigi? No, a mio avviso viene dalla ricerca di un sistema che accompagni meglio la crescita dimensionale rispetto al nostro. In Italia ci sono straordinarie capacità imprenditoriali, ma le medie imprese non crescono di dimensione, non fanno acquisizioni in modo sistemico e diffuso, e manca una struttura nazionale (finanziaria, legale, di advisory) che accompagni questi processi, in un capitalismo che ha ancora poche società quotate. Ma la taglia è essenziale nella competizione globale, come ci ricordava già il compianto Marcello De Cecco.

Che fare dunque?

Quindi secondo me la debolezza italiana viene da questa situazione. Viene, in termini connessi, anche dal fatto che i Leonardo Del Vecchio sono pochi, perciò si rischia di stare appesi a un singolo, peraltro non all’inizio della sua carriera. Sono troppo poche le storie di grande impresa privata, che poi investe in modo importante anche nella finanza, nella tecnologia, nella difesa. Questo è l’elemento strutturale di debolezza italiana. Mi pare comunque che Del Vecchio non abbia indicato per Generali la prospettiva di una fusione.

Su Limes lei ha scritto: “Le parti meno interessanti della relazione sono senz’altro gli addenda sugli investimenti cinesi e russi nel nostro paese. Sebbene una simile ricognizione sia un gesto obbligatorio per il nostro schieramento geopolitico, l’analisi del Copasir in materia è sintetica e priva di originalità”. E che ci azzecca che alla fine del rapporto “sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo” gli approfondimenti, ad esempio, sui rapporti di Barilla con la Russia e di Pirelli con la Cina?

Ai rapporti con la Cina si potrebbe dedicare senz’altro un rapporto intero, pertanto secondo me non serve procedere per brevi addenda, come quelli che troviamo nella relazione. Comunque almeno il Copasir un lavoro – migliorabile – l’ha fatto, in alcuni ambiti dove c’era un vuoto pubblico. Ha deciso di procedere in termini settoriali: prima le telecomunicazioni, poi gli aspetti finanziari, poi l’energia. I temi di cui parlare sono sempre tanti. Nelle telecomunicazioni, l’enfasi come sappiamo era relativa al 5G, ma ci sono poi altri aspetti importanti di competitività del Paese e di evoluzione del settore che bisognerebbe considerare (per esempio, società di servizi informatici, data center, torri). La scelta dei settori ci ricorda poi che ci sono altri elementi sensibili da considerare, nel contesto in cui viviamo, per capire capacità nazionali e prospettive.

A che cosa si riferisce?

Penso per esempio alle biotecnologie. Anche qui, il rischio che corriamo – e che correremo – è svegliarci sull’importanza di qualcosa nel momento in cui la cronaca ce lo ricorda. Ma noi come Paese non possiamo operare così, altrimenti siamo in ritardo. L’importanza delle biotecnologie doveva essere considerata prima, anni fa, in particolare visto il contributo della farmaceutica alla ripresa. È un tema davvero di grande importanza.

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GLI APPROFONDIMENTI DI START SUL RAPPORTO COPASIR:

LA RELAZIONE INTEGRALE DEL COPASIR SU BANCHE, ASSICURAZIONI E NON SOLO

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