La Germania potrebbe far saltare la più stringente proposta europea sulla “sostenibilità” delle imprese.
Tutti i dettagli.
UN PASSO INDIETRO: COS’È LA DIRETTIVA CORPORATE SUSTAINABILITY DUE DILIGENCE
Lo scorso dicembre in sede europea è stato raggiunto un accordo sulla direttiva Corporate Sustainability Due Diligence, che stabilisce una serie di obblighi per la verifica della sostenibilità ambientale e sociale di alcune società, sia europee che non.
La direttiva, più nello specifico, si rivolge alle aziende con oltre cinquecento dipendenti e un fatturato globale di almeno 150 milioni di euro, che dovranno identificare gli impatti negativi – effettivi e potenziali – sull’ambiente e sui diritti umani delle loro attività e delle attività delle sussidiarie. Successivamente, dovranno adottare delle misure per contrastare gli impatti reali e prevenire quelli possibili.
Le imprese che eluderanno gli obblighi della direttiva potrebbero incorrere in multe pari al 5 per cento del loro fatturato.
PERCHÉ LA GERMANIA SI ASTIENE?
La Germania già possiede una legge simile, valida ovviamente a livello nazionale, ed è stata un’importante sostenitrice della direttiva europea, che verrebbe invece applicata in tutto il blocco.
Qualcosa, però, deve essere cambiato. Perché, stando a una fonte di Bloomberg, è probabile che la Germania si asterrà dal voto finale degli stati dell’Unione sulla direttiva Corporate Sustainability Due Diligence, previsto per il 9 febbraio. L’astensione tedesca potrebbe stimolarne altre – ad esempio dell’Italia e della Svezia, entrambe scettiche – e di conseguenza affossare la legislazione, anche considerato il poco tempo a disposizione prima delle elezioni europee di giugno.
La probabile astensione della Germania al voto è la conseguenza dell’improvvisa (così la definisce Bloomberg) opposizione del Partito liberale democratico, uno dei tre che compongono la coalizione di governo, alla direttiva Corporate Sustainability Due Diligence. Questa opposizione, espressa in un comunicato del 15 gennaio scorso, è motivata da non ben specificati “ostacoli burocratici” e dall'”incertezza giuridica”.
Johannes Vogel, vicepresidente del Partito liberale democratico, ha spiegato che “ad oggi, nessuna azienda ha bisogno di nuovi oneri burocratici da parte di Ursula von der Leyen”, cioè dalla Commissione europea.
I PROBLEMI DEI LIBERALI TEDESCHI
L’opposizione del Partito liberale democratico sembrerebbe essere motivata da ragioni elettorali, ossia dal basso tasso di gradimento nei sondaggi e dallo scontento generale della popolazione tedesca – e in particolare degli agricoltori, che protestano contro la fine dei sussidi al gasolio – nei confronti del governo di Olaf Scholz.
COSA CAMBIA CON L’ASTENSIONE TEDESCA
Come ricorda Bloomberg, è raro che in sede europea si verifichi un’astensione dal voto dopo che un accordo provvisorio è già stato raggiunto. Ma è già successo, ad esempio quando l’anno scorso la Germania e la Francia hanno minacciato di affossare i regolamenti sul divieto delle auto con motore endotermico e sull’aumento della capacità rinnovabile, ottenendo garanzie e deroghe ad hoc.
ANCHE L’ITALIA CRITICA LA DIRETTIVA SULLA DUE DILIGENCE
Peraltro, le fonti dell’agenzia dicono che anche l’Italia e la Svezia potrebbero astenersi dal voto sulla direttiva, che così non disporrebbe più del supporto necessario all’approvazione. Il Belgio, che ha la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, potrebbe decidere di rimandare la votazione.
Pietro Cesaro, analista del centro studi E3G, ha detto a Bloomberg che l’astensione della Germania non è legata solo a questioni politico-elettorali, ma anche agli “interessi delle associazioni imprenditoriali nazionali. Sarebbe deplorevole per l’Italia, o per qualsiasi altro paese, farsi influenzare da questi sviluppi, soprattutto perché la direttiva avrebbe un impatto molto minore per l’Italia a causa della sua struttura di import-export”.
Sia l’italiana Confindustria, sia le equivalenti tedesche (BDI e BDA) e francese (MEDEF), hanno contestato la direttiva Corporate Sustainability Due Diligence. Stefan Pan, delegato del presidente di Confindustria per l’Europa, ha dichiarato che “le imprese hanno bisogno di una regolamentazione che metta al centro competitività e crescita. Al contrario, negli ultimi anni abbiamo assistito a livello Ue ad una tendenza ad una regolamentazione sempre più invasiva, che impatta in particolare sulle pmi e la loro capacità di competere. La proposta di direttiva sulla due diligence ne è un chiaro esempio”.
La portata della direttiva, in effetti, pare essere molto ampia: le aziende, ad esempio, verranno ritenute responsabili delle devastazioni ambientali e degli abusi dei diritti umani commessi lungo l’interezza della filiera, anche in quei segmenti non sotto il loro controllo diretto. L’Unione europea ha comunque fatto delle concessioni ai paesi membri, come l’esclusione momentanea delle società finanziarie dall’ambito di applicazione della direttiva.