Nei primi mesi del 2024 le istituzioni europee dovrebbero raggiungere un accordo sulla direttiva Corporate Sustainability Due Diligence, che stabilirà una serie di obblighi di verifica della “sostenibilità” ambientale e sociale per alcune aziende europee e non. La direttiva, in altre parole, rappresenta la più ambiziosa proposta dell’Unione europea in materia di ESG (i fattori che misurano il grado di sostenibilità ambientale, sociale e di governance di una società o di un investimento) e rientra nel più vasto programma comunitario per la transizione ecologica.
CONTENUTO E OBIETTIVI DELLA DIRETTIVA CORPORATE SUSTAINABILITY DUE DILIGENCE
Stando alla proposta della Commissione, datata febbraio 2022, alcune aziende attive sul mercato europeo dovranno identificare gli impatti negativi – effettivi e potenziali – sull’ambiente e sui diritti umani delle loro attività e di quelle delle sussidiarie; successivamente, dovranno adottare delle misure per contrastare gli impatti reali e prevenire quelli possibili. Le aziende che eluderanno gli obblighi della direttiva potrebbero incorrere in multe pari al 5 per cento del loro fatturato.
La direttiva si applica alle aziende con oltre cinquecento dipendenti e un fatturato globale di almeno 150 milioni di euro. Le società non europee saranno obbligate a rispettare i termini della direttiva qualora generino almeno 300 milioni di euro in vendite nell’Unione.
Sfruttando l’ampiezza del mercato unico europeo, la direttiva Corporate Sustainability Due Diligence punta a innescare una trasformazione delle catene del valore globali (o supply chain) per renderle più “virtuose” sul lato umano e ambientale.
LE TEMPISTICHE
Secondo Deloitte, un accordo formale tra le istituzioni europee sulla direttiva potrebbe venire raggiunto all’inizio del 2024; di conseguenza, l’atto entrerebbe in vigore nella prima metà dell’anno. A quel punto, gli stati membri avranno due anni di tempo per recepire la direttiva europea e trasformarla in legge nazionale, per applicarla sulle aziende di grandi dimensioni a partire dal 2027.
Deloitte ritiene che le aziende farebbero bene a prepararsi fin da subito al recepimento della direttiva Corporate Sustainability Due Diligence, in modo da “avere tempo e risorse sufficienti per conformarsi ai requisiti e gestire i nuovi e complessi rischi che si presenteranno”.
LE CONSEGUENZE, SECONDO BARCLAYS
Secondo Barclays, i mercati non hanno ancora compreso le potenziali conseguenze della direttiva europea.
Gli analisti della banca britannica, come riportato da Bloomberg, dicono infatti che la Corporate Sustainability Due Diligence – definita “uno dei più ampi testi legislativi dell’UE in maniera ambientale, sociale e di governance” – “continua a essere sottovalutata, a nostro avviso, sia dalle imprese dell’UE che da quelle internazionali con una presenza significativa all’interno del blocco”. La portata della direttiva, in effetti, sembra essere molto ampia: le aziende verranno ritenute responsabili delle devastazioni ambientali e degli abusi dei diritti umani commessi lungo l’interezza della filiera, anche in quei segmenti non sotto il loro controllo diretto.
NESSUN PERICOLO PER LE BANCHE (PER ORA)
Per il momento, le società finanziarie – banche, gestori degli investimenti e assicuratori – saranno escluse dalla direttiva. A metà dicembre il Consiglio dell’Unione europea ha spiegato che il settore finanziario verrà “temporaneamente escluso dall’ambito di applicazione della direttiva, ma ci sarà una clausola di revisione per un’eventuale inclusione futura di questo settore sulla base di una valutazione d’impatto sufficiente”.
FRANCIA E AMERICA NON SONO CONTENTE
Nemmeno la versione depotenziata della direttiva – raggiunta a seguito di un compromesso tra gli stati membri mediato dalla Spagna – piace alla Francia: Parigi teme che una regolazione stringente possa danneggiare la competitività delle aziende europee.
La Corporate Sustainability Due Diligence è sgradita anche agli Stati Uniti. La segretaria al Tesoro Janet Yellen ha detto infatti che la direttiva potrebbe avere “conseguenze negative e indesiderate” sulle società statunitensi che operano nell’Unione europea. L’America ha mostrato di non gradire granché nemmeno il cosiddetto CBAM, ovvero il dazio sulle importazioni europee di merci ad alta intensità carbonica.