Dopo mesi di trattative e fortissime pressioni ricevute dalle università telematiche, la bozza del nuovo decreto della Bernini sulle università è pronta. Il testo è stato inviato ad Anvur, Crui, Cnsu e Cun e secondo quanto emerge 3 pareri su 4 sono pesantemente negativi, mentre il quarto parere, quello dell’Anvur, arriverà dopo l’assemblea in programma il 21 novembre.
Secondo Crui, Cnsu e Cun le norme decise da Bernini accrescono la concorrenza sleale nel settore e continuerebbero ad avvantaggiare le telematiche rispetto alle tradizionali, con la possibilità concessa agli atenei digitali di poter offrire gli stessi corsi di laurea utilizzando meno professori rispetto agli obblighi delle università tradizionali. Inoltre il mondo accademico accusa la Bernini, favorendo le telematiche, di ridurre le risorse da investire sulla ricerca, che spetta solo alle università tradizionali pubbliche e private, con conseguenze anche sulle attività formative ordinarie.
Sebbene l’ultima bozza circolata del decreto sulle università telematiche sia evidente frutto di compromesso e abbia generato un forte scetticismo specie tra chi sperava regole più severe – titola il Manifesto: “Atenei telematici ancora salvi, la Lega annacqua il decreto Bernini”, gli fa eco il Sole 24 Ore: “Atenei, stesse regole per telematiche e non: esami (per ora) in sede” -, il mondo degli atenei virtuali non ci sta a essere assoggettato a un regime che contribuisce ad assottigliare le differenze (privilegi?) di cui aveva potuto godere finora.
LE LAGNANZE DELLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE
“Le soluzioni proposte hanno snaturato diversi aspetti fondanti delle università digitali: l’obbligo di svolgere una quota di attività didattica in forma sincrona, ad esempio, è una forzatura che non aggiunge nulla alla qualità della formazione e che oltretutto taglia fuori tanti studenti impossibilitati a seguire le lezioni in giorni e orari specifici”, lo sfogo raccolto da Adnkronos di Paolo Miccoli, già presidente dell’Anvur (sì, quello stesso ente, ovvero l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha avanzato fortissimi dubbi sulla qualità della didattica nelle università digitali), oggi alla guida di United (Università Italiane Telematiche e Digitali), la neonata nonché prima associazione delle Università Digitali italiane che riunisce Pegaso, Mercatorum, San Raffaele Roma, l’Università Telematica degli Studi Iul, eCampus, Leonardo Da Vinci e la Giustino Fortunato.
ATTENZIONE AI TERMINI USATI NELLA BOZZA DEL DECRETO BERNINI…
In realtà Miccoli sa bene che l’obbligo di svolgere un’attività didattica in forma sincrona non è il vero motivo per cui le università telematiche respingono il decreto del Mur. Mentre gli atenei tradizionali chiedevano infatti che le rivali private virtuali svolgessero in sincrono le lezioni (gli studenti insomma non fossero formati unicamente da corsi precedentemente registrati, esattamente come un tempo le casalinghe americane facevano ginnastica con le VHS di Jane Fonda), la formula giunta nel decreto lascia a chi imbastisce corsi virtuali ampi margine d’azione.
La bozza utilizza non per caso l’espressione “attività didattiche” e non “corsi” o “lezioni” o “insegnamenti”, così da ricomprendere un po’ di tutto ( dunque non ci sarebbe l’obbligo di avere tot ore di lezioni sincrone, in quanto rientrano nel computo persino gli incontri col tutor), col solo limite della fantasia. Saranno ore da fare in presenza? Naturalmente no: dovrebbero andar bene pure le aule virtuali.
Considerato che non è del tutto corrispondente al vero (non più almeno) che la maggior parte degli iscritti alle università telematiche è uno studente lavoratore che può mettersi al PC esclusivamente nottetempo o nei weekend, la novella ministeriale non dovrebbe danneggiare gli affari degli atenei digitali. Che era poi la tesi sposata dalle università telematiche contro tale istanza ministeriale.
L’AUMENTO DEI DOCENTI NON PIACE AGLI ATENEI VIRTUALI
Due i punti che non graditi al mondo delle università telematiche: ”Il Decreto reintroduce – prosegue Paolo Miccoli – un rapporto minimo tra numero di studenti e docenti, dimenticando che la qualità della formazione, soprattutto in contesti non vincolati a limiti spaziali e temporali come nel caso delle università telematiche, non dipende dal numero degli insegnanti ma alla qualità degli stessi”. Qui però il rappresentante di United finge di dimenticare che senza il provvidenziale intervento del ministro Bernini sarebbe scattato un altro decreto, il Dm 1154/2021 lascito del governo Draghi che portava il rapporto docenti – classi dal “vecchio” uno a tre a uno a uno. Troppo severo. Da qui il compromesso individuato dal Mur che esige un professore strutturato ogni due classi di studenti.
Il decreto Bernini qua salva doppiamente le telematiche, anzitutto cancellando il testo di draghiana memoria che altrimenti sarebbe dovuto essere applicato all’anno accademico in corso e secondariamente prevede un regime transitorio di favore di un anno per i corsi già iniziati. Regime che non si applica però ai nuovi corsi, assoggettati da subito i nuovi parametri.
LE RECENSIONI NEGATIVE DELL’ANVUR SULLA DIDATTICA
Certo è che il numero dei docenti nelle università telematiche è destinato ad aumentare, così come le spese sostenute dalle stesse (poco male: sono comunque sostenute anche da fondi pubblici, non dimentichiamolo). Non poteva però essere altrimenti dato che il decreto nasce a ridosso dei rilievi assai critici sulla qualità della didattica dell’Anvur, ovvero l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha evidenziato come durante i corsi del 2022 le università tradizionali avessero messo a disposizione un professore ogni 28,5 studenti mentre nelle telematiche il rapporto sia salito a 384,8 studenti per docente.
Si legge infatti nel report: “L’’effetto combinato della riduzione dei requisiti di docenza richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte comunque di un aumento del numero dei docenti contestuale all’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato il rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, che è passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022 (un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali)”.
Per nulla rosee le conclusioni dell’Anvur: “Pensare che un’offerta formativa possa reggersi appaltando integralmente la docenza all’esterno dell’ateneo è ritenuto un elemento di scarsa attenzione alla qualità della didattica e alla centralità dello studente”.
IL VERO NODO DELLA QUESTIONE: GLI ESAMI IN PRESENZA
Ma il vero punto è un altro: “Non capiamo – lamenta ancora Miccoli – la necessità di rendere obbligatoria la presenza per gli esami di profitto: è una scelta che non azzera di certo eventuali comportamenti illeciti degli studenti e ignora allo stesso tempo le avanzate tecnologie antiplagio messe a punto anche da prestigiose Università”.
Qui basterebbe invitare Miccoli a visionare la puntata di Report “Il pezzo di carta” dell’aprile scorso per fargli comprendere perché dal ministero abbiano l’esigenza di stringere realmente i bulloni, almeno su quel fronte. Start ne aveva parlato qui. La deregulation attuale ha portato a evidenti storture ben documentate dalla trasmissione d’inchiesta di Rai3. Questo non vuol dire che tutte le università telematiche siano diplomifici, ma era lecito attendersi un intervento normativo che riportasse un po’ di serietà nella situazione di far west lamentata da chi, nel mondo degli atenei digitali, intende fare le cose per bene.
Poi non bisogna dimenticare che anche se il Mur sembri intenzionato a non derogare alla formula degli esami in presenza per tutti, abbia comunque aggiunto una formula che lascia aperta una futuribile scappatoia: ovvero si potrà tornare, dietro nuova disposizione del Ministero, agli esami virtuali in caso di “mutamento delle tecnologie a disposizione per lo svolgimento degli esami”. In genere la legge disciplina l’oggi per l’oggi, rebus sic stantibus dicono i dotti. Curiosa questa postilla, quasi una promessa a rendersi subito disponibili a rivedere la materia appena le nuove tecnologie consentiranno di superare le attuali criticità degli esami a distanza, per via telematica.
LE UNIVERSITÀ TELEMATICHE SALVATE (ANCORA) DALLA LEGA?
E se Berlusconi un tempo diceva che il governo è solito partorire decreti bellissimi, veri “cavalli di razza” che poi il Parlamento trasforma in “ippopotami”, ecco che anche per questo testo si sono già viste trasformazioni degne di nota grazie alla variegata maggioranza che sorregge il governo.
Del resto gli appigli a tutti i livelli non mancano come annota il Manifesto: “Previsto fin dallo scorso anno, il decreto ha avuto una gestazione lunghissima per le resistenze della Lega che si è fatta rappresentante degli interessi dei privati. Non da sola. A fare lobbing c’è anche l’ex deputato del Pd Luciano Violante, oggi presidente del gruppo Multiversity (controllato dal fondo britannico Cvc Capital Partners) che raggruppa Pegaso, Mercatorum e San Raffaele per un totale di studenti superiore a quello della Sapienza di Roma”.
“Anche gli altri nomi dell’advisory board del gruppo – viene evidenziato – non sono da meno: Pierluigi Ciocca, già vicedirettore generale di Bankitalia; Gianni De Gennaro, capo della polizia durante il G8 di Genova, già sottosegretario del governo Monti e presidente di Leonardo fino al 2020; Monica Maggioni, ex presidente Rai; Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stato; Giovanni Salvi, Cassazione. E la situazione delle altre università telematiche non è dissimile”.
Le 11 università telematiche accreditate dal Mur di cui 9 private (Pegaso, E-Campus, Mercatorum, Unicusano, Uninettuno, Unimarconi, San Raffaele, Unitelma, Unifortunato, IUL, Unidav) avrebbero insomma più di un santo in paradiso. Pardon, in Parlamento. Qui a Start lo scriviamo da parecchio. Fa notare ancora il Manifesto: “Nell’ultima bozza di decreto circolata si prevede che il numero dei docenti necessari per attivare dei corsi telematici resti quello stabilito nel 2021 ma il numero degli studenti viene raddoppiato e si concede agli atenei telematici altro tempo per adeguarsi alle regole di accreditamento”.
I COMMENTI (POCO LUSINGHIERI) DELLA CRUI
“Anche sulla percentuale di lezioni in presenza, su cui gli atenei telematici hanno dato battaglia – prosegue nella disamina del testo il quotidiano – ci si è limitati però ad esami e sedute di laurea, salvo deroghe. Insomma se il decreto viene portato a termine si tratta comunque di un compromesso al ribasso, altrimenti si rimane nello status quo che avvantaggia i privati”.
«Che non costino allo Stato e che qualsiasi formazione offrano è un di più è un falso – aveva commentato qualche mese fa Giovanna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori (Crui) – Non può bastare lo schermo di un pc per formare brillanti coscienze critiche. A un ragazzo che vive in una zona remota del Paese devi dare una borsa di studio e farlo studiare in un ateneo di grande qualità non dirgli “stai a casa e ti faccio un favore se prendi una laurea digitale”. Le telematiche non sono un ascensore sociale, creano soltanto studenti di altro tipo».
Insomma, al netto di questi innegabili rilievi, se le lamentele di United fossero accolte si tornerebbe di fatto al punto di partenza, ovvero alle università telematiche sarebbe nuovamente concesso di avere esclusivamente attività asincrone, avere un insufficiente (a detta dell’Anvur) numero di docenti (fino a oggi al più affiancati da tutor, che docenti non sono) e soprattutto svolgere esami virtuali.