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Luciano Violante Università Telematiche

Università telematiche, cosa non va nella versione di Violante

Perché la tesi che Luciano Violante, presidente delle università telematiche di Multiversity, ha esposto a Report e dalle colonne del Corriere della Sera non convince affatto. La lettera di Claudio Trezzano

Caro direttore,

giacché sono stato tirato in ballo nella lettera di Francis Walsingham sulle università telematiche, che potrei fare mia in quanto la condivido in toto, vorrei andare oltre alle sue considerazioni, analizzando in modo più approfondito le dichiarazioni di Luciano Violante, presidente del gruppo Multiversity, ossia del polo delle università telematiche che raggruppa Pegaso, Mercatorum e San Raffaele.

Vedi, direttore: Violante non è un politico, è un magistrato. Non esercita più da decenni, certo, ma chi è stato magistrato lo resta tutta la vita. Sa benissimo che le parole hanno un peso specifico, è stato abituato a setacciarle per scovare in chi le pronuncia giudizi di valore e contraddizioni.

Giusto allora fare proprio così pure con lui. Perché sono diverse a mio avviso le incongruenze della sua versione. Sostanzialmente in tutti i suoi interventi Violante sostiene che l’obiettivo delle università telematiche sia quello di “dare a tutti i giovani la possibilità di crescere socialmente, economicamente e culturalmente, avvalendosi anche delle nuove tecnologie” .

Lo screening che fa il portale Atenei Online, che ho spesso utilizzato per redigere gli articoli fin qua scritti (aggiungo il link a questa letterina perché vorrei anche richiamare l’attenzione sull’infografica che riporta e testimonia meglio di mille parole l’esplosione degli iscritti alla base dei dubbi dell’Anvur sulla qualità degli insegnamenti, dato l’esiguo rapporto tra il numero dei docenti e quello degli alunni) sostiene che “per quanto riguarda l’età media degli studenti Unipegaso, considerando solo gli immatricolati (ovvero coloro che si sono iscritti per la prima volta al sistema universitario) degli ultimi cinque anni precedenti, emerge che la fascia di età più rappresentata è quella che va dai 21 ai 25 anni”.

Fonte: Atenei Online

Il 36% ha infatti l’età nella quale normalmente ci si iscrive a qualsiasi università. Il 22 per cento è under 20, dunque siamo già oltre la metà degli iscritti. Solo il 15% ha tra i 26 e i 30 anni e appena il 7% tra i 31 e i 35. La fascia degli over 36 è cospicua, 20%, ma sulla base di questi numeri è difficile affermare come fa Violante sul Corriere della Sera: “circa 3/4 degli studenti delle Università digitali sono «lavoratori-studenti» (contro meno del 10% nelle Università tradizionali); 2. l’età media degli studenti delle telematiche è di circa 30 anni; la maggioranza dei quali proviene da studi secondari di natura tecnica (a differenza degli accessi alle Università tradizionali), spesso residenti in piccole province ed aree remote del Paese; infatti l’80% della popolazione vive in centri medio-piccoli. Si tratta di un ascensore sociale destinato a chi, per ragioni di lavoro, di famiglia o economiche, non potrebbe frequentare le università tradizionali; le telematiche permettono di superare, nella costruzione del capitale umano, il divario tra Nord e Sud”.

Anche l’Universitas Mercatorum di sé dice di essere “impegnata nella progettazione di azioni funzionali alla crescita sostenibile e all’occupazione, in particolare giovanile”. Quindi, direttore, dove sono finiti i quarantenni che non hanno potuto studiare ai tempi e trovano nelle università telematiche il canotto d’emergenza come raffigurato, un po’ troppo drammaticamente, da Violante?

Sembra invece dargli ragione lo screening sulla Università Pegaso per ciò che concerne la provenienza: “L’analisi evidenzia come Unipegaso sia un ateneo fortemente radicato nel Sud Italia: tra gli iscritti degli ultimi 5 anni accademici, infatti, oltre il 70% risiede nelle regioni del Sud e nelle Isole. La regione con più iscritti è la Campania con oltre il 30%, seguita dalla Sicilia e dal Lazio”.

Certo, Violante drammatizza un po’ troppo quando parla di università fatte su misura per quell’80% della popolazione che vive “in piccole province ed aree remote del Paese”: sia perché non siamo una nazione estesa come la Cina, la Russia o il Brasile e non ci si sposta più nemmeno sul dorso di un mulo, sia perché sono proprio i dati a raccontare tutt’altro: “Considerando invece le province, quella con più iscritti è la Provincia di Napoli (dove è presente la sede centrale Unipegaso) che, con oltre il 15%, precede Caserta e Roma”.

I dati resi dalla stessa Università Mercatorum

Faccio notare che anche l’Università Mercatorum (slide 7) si compone prevalentemente di alunni dai 18 ai 25, segue la fascia 26-34, in crescita ma ridotta quella sotto i 40 mentre terza per presenza quella tra i 40 e i 64. Anche qui (slide successiva), sebbene manchino i numeri si può vedere che la maggior parte degli iscritti arriva dalla Campania, tallonata dal Lazio, quindi dalla Sicilia, con la sorpresa della Lombardia, che la rende una università molto più settentrionale, poi abbiamo la Puglia e il Veneto.

Inutile ricordare la tradizione dell’università campana che risale al Medioevo: ancora oggi l’ateneo napoletano sforna giuristi che  tradizionalmente finiscono in Parlamento, ma davvero vogliamo raffigurare Lazio e Lombardia come regioni mal collegate nelle quali chi nasce in piccoli paesini ci muore perché non è nelle condizioni di spostarsi e per arrivare al famigerato ‘pezzo di carta’ si deve così affidare alle università telematiche come detto da Violante?

Sempre Mercatorum dice di puntare tutto sullo “sviluppo di una cultura imprenditoriale anche connessa alla microimprenditoria e all’industria 4.0”, ma mi riesce difficile pensare che se uno nasce “in piccole province ed aree remote del Paese” per usare le parole pronunciate da Violante, dopo aver frequentato le università telematiche possa aprire una industria 4.0 o buttarsi in una startup innovativa, innestandola nel proprio sperduto paesino, magari nemmeno coperto da Internet (difficile allora connettersi a un ateneo virtuale).

Adesso, direttore, mi dirai che sono io che faccio il drammatico, ma il sito Banda Ultra Larga dice che le zone bianche sono ancora numerose: in 1215 comuni sono attualmente in programmazione i lavori di connessione con fibr; in 466 comuni sono in programmazione i lavori di connessione wireless. I campanili sono 8mila, mi sembra che una buona percentuale sia davvero fuori dal mondo. Ecco, queste sono davvero le zone remote delle quali avrebbe dovuto interessarsi l’ex presidente della Camera, magari quando ancora era in Parlamento.

Un altro dubbio che mi è sorto guardando la tabella che allego a questa letterina è il seguente: dove sono finite le materie umanistiche? Mi pare che i corsi dell’Università Mercatorum portino tutti a essere instradati in mestieri, quando il diritto allo studio dovrebbe incarnare anche il piacere di studiare per mere finalità culturali. Se le Università telematiche costituiscono realmente quel soccorso di cui parla Violante nei riguardi degli alunni che non possono muoversi dalla tribù persa nel fitto della giungla nella quale sono nati, non dovrebbero allora presentare i medesimi corsi degli atenei tradizionali e, dunque, Lettere, Filosofia, Beni culturali, Scienze della comunicazione? O quelli non sarebbero così convenienti?

Onestamente – ma la mia non è una accusa, quanto una domanda indirizzata a Violante – mi pare che le università telematiche per ciò che concerne l’età dei ragazzi che vi si iscrivono si pongano in diretta competizione con gli atenei tradizionali, salvo offrire corsi che potremmo definire “di avviamento professionale” per usare termini di una scuola che fu, alla quale nessuno vorrebbe tornare avendo appunto ottenuto nel mentre il diritto allo studio per tutti.

Ma se tale diritto è invece rimasto lettera morta e l’ex presidente della Camera ci dice che senza le università telematiche nel 2024 avremmo decine di migliaia di ragazzi che resterebbero fuori dall’istruzione, Violante allora, sempre da politico, non avrebbe dovuto fare di più per estenderlo realmente a tutti? Perché non ha fatto di più per incrementare per esempio le borse di studio?

Concludo, direttore, ricordando che a Report Violante ha detto “Ho visto l’università che presiedo e so che ha qualità, altre università telematiche so che non hanno qualità”. Questa frase, inutile dirlo, lascia più interrogativi che certezze, Mi chiedo cosa avrebbe detto il Violante – magistrato se una testimonianza simile gli fosse stata resa da un teste in aula di giustizia? Non lo avrebbe forse incalzato: come fa a saperlo? Quali sono le differenze? Cosa critica alle altre? Sulla base di quali dati difende gli atenei digitali che rappresenta e attacca quelli rivali?

Ma l’ultima domanda la rivolgo invece a noi tutti, giornalisti e non solo: davvero vogliamo credere a una narrazione capovolta nella quale il privato soccorre lo Stato arrivando laddove l’Università pubblica non può o non vuole arrivare? Davvero dovremmo credere che il privato che è spinto dal profitto (non per cattiveria, ma per non fallire) includa finalità sociali nella propria ragion d’essere e – dunque – nel proprio statuto, sapendo che tali finalità se perseguite realmente hanno poi peso – e costi – nei bilanci? Davvero vogliamo berci che il fondo britannico Cvc Capital Partners che controlla Multiversity sia arrivato in Italia per mecenatismo e agisca non per lucro ma per riattivare l’ascensore sociale, sapendo forse che ha sempre funzionato poco e male?

Noto che non sono il solo a non volersi bere tale assunto: a Repubblica Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca di Milano, nonché presidente della Confederazione dei rettori delle università italiane (Crui), ha recentissimamente detto: “Le telematiche in Italia sono undici, molto diverse tra loro, ma unite nel rivendicare la loro funzione sociale, il fatto che non costano allo Stato e che qualsiasi formazione offrano è comunque un di più. Questo argomento, però, è un falso. Non può bastare lo schermo di un pc per formare brillanti coscienze critiche. A un ragazzo che vive in una zona remota del Paese devi dare una borsa di studio e farlo studiare in un ateneo di grande qualità. Invece gli dici “stai a casa tua e ti faccio un favore se prendi una laurea digitale”. Le telematiche non sono un ascensore sociale, creano soltanto studenti di altro tipo”.

E al giornalista che la incalzava chiedendole se le università telematiche sono di bassa qualità ha replicato: “Lo sostiene Anvur, i valutatori pubblici della qualità di tutto il nostro mondo”.

Delle due, direttore, l’una: o le università telematiche antepongono il profitto a ogni cosa e, come dicono dall’Anvur e dagli atenei tradizionali, dunque sono un po’ scarsine sul fronte qualitativo, oppure davvero permettono ai meno privilegiati di accedere alla laura. Tertium non datur. O forse sì, perché una commistione delle due ipotesi appena espresse sarebbe forse quella più inquietante: potrebbero essere università di serie B, come detto dalla presidente della Confederazione dei rettori delle università italiane, per chi non ha avuto alternative migliori?

Ti lascio con questi interrogativi.

Claudio

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