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Laura Ravetto Università Telematiche Parlamento

Chi coccola in Parlamento le università telematiche

Un emendamento della Lega viene incontro a un'esigenza delle università telematiche, mettendo in imbarazzo Forza Italia (ministri azzurri divisi sulla questione), mentre il Pd è critico (nonostante Carrozza e Violante siano vicini agli atenei digitali). Fatti e approfondimenti

Dopo le tribolazioni tutte interne a Forza Italia sulle università telematiche, emerse subito dopo l’estate con la firma del ministro della Pubblica amministrazione, il forzista Paolo Zangrillo, apposta su un’intesa per la formazione del personale della Pa all’insaputa (se non con l’ostilità) della compagna di partito Anna Maria Bernini che presiede il dicastero dell’Università, potrebbe presto essere lanciato, dagli scranni della maggioranza, un altro salvagente a chi opera nel settore degli atenei virtuali.

L’INTERVENTO LEGHISTA PER RIMANDARE LA SESSIONE DI ESAMI

Il salvagente in questione, oltre a certificare che sul punto la maggioranza non ha ancora tracciato una rotta univoca, arriva dal Carroccio ed è un emendamento – a firma dei leghisti Laura Ravetto, Alberto Stefani, Simona Bordonali,  Edoardo Ziello e Igor Iezzi – che chiede che la verifica sugli standard qualitativi degli atenei digitali slitti di un anno.

COSA CHIEDONO I LEGHISTI

Secondo il testo “gli indicatori relativi all’autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio” non dovrebbero trovare “applicazione non prima dalla definizione dell’offerta formativa dell’anno accademico 2024/2025”.

QUEL DECRETO CHE SPAVENTA LE UNIVERSITÀ TELEMATICHE

Il 14 ottobre 2021, quando a Viale Trastevere c’era Maria Cristina Messa, è stato emanato il decreto ministeriale 1154/2021 che ha modificato i requisiti didattici per le università in termini di tipologia di docenti da garantire e di modalità di calcolo del numero di studenti, senza distinzione fra atenei telematici e non. In un secondo momento è arrivato un decreto direttoriale, il 2711/2021 che ha fissato al 30 novembre 2024 la data di verifica dei requisiti.

Si ripone insomma nel fodero, almeno temporaneamente, quella spada di Damocle che pende sulle 11 università telematiche esistenti in Italia rappresentata dal decreto ministeriale 1154/2021 che impone a tutte le università requisiti per quanto riguarda sia il numero di docenti sia quello degli studenti (che per l’85% frequentano università pubbliche e per il 15% le 31 università private attuali).

COSA SCRIVE L’ANVUR

Se l’emendamento passasse, le università telematiche tirerebbero un bel sospiro di sollievo. Tanto più se si considera che, allo stato attuale, se non fosse rimandata la “sessione degli esami” chiesta dal Miur verrebbero rimandati gli atenei, almeno stando a ciò che si legge nell’ultimo rapporto dell’Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico vigilato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che ha evidenziato come durante i corsi del 2022 le università tradizionali avessero messo a disposizione un professore ogni 28,5 studenti mentre nelle telematiche il rapporto sia salito a 384,8 studenti per docente.

Si legge infatti nel report: “L’’effetto combinato della riduzione dei requisiti di docenza richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte comunque di un aumento del numero dei docenti contestuale all’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato il rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, che è passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022 (un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali)”.

Per nulla rosee le conclusioni dell’Anvur: “Pensare che un’offerta formativa possa reggersi appaltando integralmente la docenza all’esterno dell’ateneo è ritenuto un elemento di scarsa attenzione alla qualità della didattica e alla centralità dello studente”.

IL TIMORE (PALPABILE) DELLE TELEMATICHE

Che le università telematiche siano spaventate dall’affrontare l’esame contenuto in quel decreto ministeriale lo ha messo nero su bianco il gruppo Multiversity, la società guidata dall’ad Fabio Vaccarono (ex Google) e controllata dal fondo Cvc, alla quale fanno capo Pegaso, San Raffaele e Universitas Mercatorum e dunque tra i maggiori player del Paese, che nel bilancio d’esercizio 2022 scrive “essendo lo scenario ancora aperto e imprevedibile, non era oggettivamente prevedibile, come non lo è tuttora, prevedere se e quali impatti produrrà il DM1154”.

L’emendamento è stato presentato in commissione Affari costituzionali della Camera, organo presieduto dal forzista Nazario Pagano che per un curioso caso del destino, stando al suo curriculum, dal 2017 è docente universitario in Istituzioni di Diritto pubblico proprio presso l’Università Telematica Pegaso.

QUANTI ALLEATI HANNO LE UNIVERSITÀ TELEMATICHE IN PARLAMENTO?

Sono insomma molti i possibili alleati delle università telematiche in Parlamento, dentro e fuori dalla maggioranza. Qualche tempo fa per esempio il Foglio scrivendo dell’accordo firmato dal ministro della Pubblica amministrazione, il forzista Zangrillo, con le università telematiche per formare i dirigenti statali che ha scatenato le ire di un altro ministro, la compagna di partito Bernini, ha raccontato che alle università telematiche sarebbe arrivata una grossa mano da Luciano Violante, “portatore degli interessi […] delle controllate da Multiversity”. La norma nata sotto il governo Draghi, viene ricostruito, non includeva le telematiche “per motivi legati agli standard qualitativi”.

“I vuoti e i dubbi sarebbero stati riempiti, raccontano al Foglio fonti incrociate del governo e vertici dirigenziali dello Stato, dalla legittima attività di lobbing di Violante” che sarebbe stato accompagnato talvolta, scriveva sempre il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, da un “ex noto collega magistrato”.

Adesso c’è pure il supporto interno alla maggioranza dei leghisti Laura Ravetto, Alberto Stefani, Simona Bordonali,  Edoardo Ziello e Igor Iezzi. Ma salendo al piano governativo, occorre ricordare che l’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, oltre a essere ordinario di Diritto Romano presso l’università di Roma Tor Vergata è pure presidente dell’Osservatorio inter-ateneo per la ricerca università Link ed e-Campus (se lo sia ancora o no, impossibile saperlo perché tale ruolo non trova spazio nel curriculum ufficiale pubblicato sul sito del Miur), come si leggeva nella biografia rilanciata in occasione della sua nomina al vertice del dicastero.

Pare insomma destinato a restare un unicum l’assalto parlamentare agli atenei digitali Pegaso, Mercatorum e San Raffaele del Pd dello scorso ottobre con riferimento alla già citata intesa firmata dal governo con le università telematiche Mercatorum, Pegaso e San Raffaele di Roma.

“I protocolli d’intesa siglati dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri con le università telematiche Mercatorum, Pegaso e San Raffaele di Roma, per ampliare la platea dell’iniziativa “PA 110 e lode” dedicata alla formazione dei dipendenti pubblici, rischiano di indebolire la scelta di chi si laurea con le università tradizionali”. È quanto si legge in quella interrogazione a prima firma della senatrice del Partito Democratico, Simona Malpezzi, rivolta al Ministro dell’Università e della Ricerca, Bernini.

Secondo i recenti rapporti di accreditamento periodico dell’Anvur, si osservava nell’interrogazione, “risulta che su una scala di valutazione che va da A (molto positivo) ad E (insoddisfacente), solo una delle 11 università telematiche italiane ha ottenuto la valutazione B (pienamente soddisfacente). Viceversa, delle altre 10, nessuna ha superato la valutazione C (soddisfacente) e addirittura 3 università telematiche hanno ottenuto la valutazione D (accreditamento condizionato alla risoluzione delle criticità riscontrate)”.

“La scelta di promuovere un percorso privilegiato con le università telematiche – si sottolineava ancora nell’interrogazione – confligge inoltre con la scelta precedente del ministro Brunetta, durante il Governo Draghi, di firmare protocolli d’intesa solo ed esclusivamente con università tradizionali, proprio perché le valutazioni prodotte fino a quel momento dall’ANVUR sulle università telematiche restituivano un quadro non soddisfacente della qualità dell’offerta accademica”.

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