Aziende private in piena regola, il cui scopo naturalmente è il lucro, eppure finanziate con fondi pubblici. È il paradosso delle università telematiche (in primis Pegaso del gruppo Multiversity) già accusate dagli atenei tradizionali (pubblici, ma anche privati) di porre in essere una concorrenza sleale data dalle loro minor spese di gestione derivanti dal fatto che non devono avere più stabili in cui tenere corsi ed esami per migliaia di alunni e, a cascata, non hanno nemmeno costi per servizi di portineria, custodia, pulizia e vigilanza e, soprattutto, hanno molti meno docenti rispetto a quelli delle università “fisiche”.
IL RISPARMIO SUI DOCENTI SI RIPERCUOTE SULL’INSEGNAMENTO?
La questione del numero docenti per l’Anvur (che, lo ricordiamo, non ha certo recensito positivamente la categoria), ovvero l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, è dirimente dato che strettamente connessa alla qualità della didattica, avendo evidenziato l’ente costola del Mur come durante i corsi del 2022 le università tradizionali avessero messo a disposizione un professore ogni 28,5 studenti mentre nelle telematiche il rapporto sia salito a 384,8 studenti per docente.
Si legge infatti nel report: “L’’effetto combinato della riduzione dei requisiti di docenza richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte comunque di un aumento del numero dei docenti contestuale all’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato il rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, che è passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022 (un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali)”.
Per nulla rosee le conclusioni dell’Anvur: “Pensare che un’offerta formativa possa reggersi appaltando integralmente la docenza all’esterno dell’ateneo è ritenuto un elemento di scarsa attenzione alla qualità della didattica e alla centralità dello studente”.
QUELLE TELEMATICHE COME PEGASO RIMANDATE A SETTEMBRE
Recentemente Milena Gabanelli si è occupata del tema partendo proprio dalle pesanti critiche mosse dall’Anvur. Dalle colonne del Corriere della Sera ha ricordato che: “solo la Uninettuno ottiene un risultato positivo, otto si fermano alla sufficienza mentre due, Leonardo da Vinci e Italian University Line, strappano un accreditamento temporaneo «vincolato alla risoluzione delle criticità riscontrate» (la Italian University Line è dal 2018 che viene rimandata)”.
I CONTRIBUTI PUBBLICI
Essendo in tutto e per tutto aziende private, le università telematiche mirano dunque al profitto mantenendo il più possibile sotto controllo le spese. Occorre però trovare standard qualitativi uguali per tutti, ecco perché l’esecutivo, pungolato dagli allarmi arrivati dall’Anvur, ha instradato una riforma in atto del settore cui le stesse telematiche danno un contributo portando le proprie istanze all’apposito tavolo ministeriale.
Nelle casse di queste aziende private non ci finiscono solo i soldi degli iscritti, ma anche un vero e proprio fiume di denaro pubblico. Come scrive sempre l’Anvur nel suo rapporto. Le università non statali telematiche – si legge a pagina 91 – hanno ricevuto nel corso del periodo 2012-2022 un finanziamento pari a circa 2 milioni di euro annui, con un massimo di 2,8 milioni nell’anno 2021 e un minimo di 1,7 milioni di euro nell’anno 2013.
IL MECCANISMO
Da evidenziare che solo dall’anno 2018 una parte delle risorse è stata assegnata a titolo di premialità: fino ad allora, invece, il finanziamento era attribuito prevalentemente come quota base, tenendo conto delle dimensioni degli atenei beneficiari.
Invece, col 2018 anche le università telematiche per la quota premiale sono valutate sia per la qualità della ricerca prodotta dalle università, sia per i giudizi di accreditamento periodico degli atenei.
I FINANZIAMENTI STRAORDINARI
Per quanto riguarda la quota “altri interventi”, ricomprende il finanziamento statale dei dottorati di ricerca e la programmazione triennale. Va infine precisato che anche le università telematiche hanno ricevuto un finanziamento straordinari nell’anno 2021 per attività di orientamento, tutorato e supporto agli studenti con disabilità.
L’INIZIATIVA PA 110 E LODE
Non bisogna dimenticare, infine, che lo Stato italiano ha tradotto l’esigenza che arrivava da Bruxelles di informatizzare i sistemi pubblici (la cosiddetta transizione digitale) pagando il 50% dei costi supportati dai dipendenti pubblici che si iscrivono all’università per formarsi e aggiornarsi.
Si tratta di una platea che, per età e agenda lavorativa e familiare, anziché ritornare tra i banchi di scuola quasi certamente tende a privilegiare i corsi online. Per volontà del ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo questo incentivo è stato esteso a partire dal 2023 anche alle 3 telematiche di Multiversity, a Unitelma Sapienza e alla Gugliemo Marconi.
PA 110 E LODE, COSA AVEVA STATUITO BRUNETTA
Eppure in origine non era affatto così. Il programma avviato sull’onda d’entusiasmo del Pnrr e sull’esigenza di aggiornare le competenze degli statali è frutto di un protocollo d’intesa firmato il 7 ottobre 2021 (governo Draghi) tra l’allora ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa. È interessante ricordare che inizialmente avesse chiuso la porta sul naso delle università telematiche.
Brunetta all’epoca ignorò la documentazione inviata dall’università Niccolò Cusano, di proprietà dell’attuale sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, che voleva sapere come aderire al bando appena promosso dal governo. Gli atenei digitali, però, ritennero il silenzio del forzista discriminatorio e s’appellarono al Tar per poter essere considerate.
Con l’avvicendarsi dei governi Draghi e Meloni e il conseguente cambio di ministri un altro forzista è andato al dicastero della Pubblica amministrazione e uno dei primi atti è stato quello di aprire le collaborazioni tra pubblica amministrazione e università anche a quelle telematiche: è Paolo Zangrillo la cui mossa, secondo la ricostruzione di Start, procurò non pochi mal di pancia non solo a Brunetta che aveva voluto chiuderle fuori, ma pure a un’altra collega di partito finita a presiedere il ministero delle Università: Anna Maria Bernini.
COME MAI ZANGRILLO ACCOGLIE LE UNIVERSITÀ TELEMATICHE?
Ma come motiva Zangrillo la sua decisione di accogliere gli atenei digitali, prima esclusi? Ai microfoni della trasmissione di Rai3 “Report” Zangrillo lo scorso aprile aveva detto: “C’era una sentenza che ci richiamava sulla necessità di considerare le università telematiche come le altre e non fare figli figliastri”.
E al giornalista che lo incalzava ha replicato: “Mi sono preoccupato di rispondere a una indicazione che c’è stata data in modo preciso da una sentenza”, rifiutando di definire quella firma un atto politico.
COSA HA DETTO IL TAR
Il Tar però nell’accogliere il ricorso si limitava a chiedere al dicastero competente di “palesare, mediante un apposito provvedimento, l’intenzione, o meno, di dare attuazione al protocollo”.
Difficile equivocare i giudici amministrativi, dato che l’inciso accanto a intenzione riporta quell’o meno: il testo del Tar insomma specifica che i magistrati non stanno entrando nel merito della decisione, limitandosi a richiamare il ministero al suo dovere di risposta, che potrà essere accoglimento o rifiuto.
LA STESSA SCUSA USATA UN ANNO FA
Peraltro, non è la prima volta che Zangrillo chiama in causa il Tar per non ammettere che la decisione di aprire alle università telematiche sia stata sua. Lo spiega un articolo del 14 agosto del 2023 della testata Domani: “Per motivare questo passaggio, il ministro ha sostenuto – in una lettera inviata a questo quotidiano – di essersi adeguato a una sentenza del Tar del Lazio. Un atto dovuto, insomma”.
Ma la versione è stata smentita mesi fa dalla senatrice di Italia Viva Silvia Fregolent che alla medesima testata aveva detto: “Da amministrativista ho letto la sentenza. Condanna l’assenza di riscontri, ma non impone di accettare, a prescindere, la domanda di ammissione al protocollo”. Per questo, aveva concluso la parlamentare renziana, “quella di Zangrillo è una decisione politica, legittima, ma non suffragata dal Tar come invece ripete in maniera anche veemente”. Sempre politica pare la decisione di finanziarle con fiumi di denaro pubblico.