Dal mondo delle facoltà digitali traspare un certo ottimismo sugli esiti della discussione in seno al Mur tra i rappresentanti degli atenei tradizionali e quelli delle università telematiche. Che ci sia bisogno di un intervento legislativo, resosi impellente come si vedrà a breve dalla stroncatura dell’Anvur, lo ammettono gli stessi rappresentanti dell’offerta virtuale sentiti da Start e, occorre precisarlo subito, non solo per chiedere norme a proprio vantaggio, ovvero “che tengano conto della specificità dei nostri insegnamenti”, ma anche perché si avverte l’esigenza di porre fine a quel far west che ha permesso ad alcuni attori del settore di agire in modo spregiudicato, finendo per fare apparire l’intera categoria come un immenso diplomificio in cui basta pagare per potersi assicurare la laurea.
REGOLE CERTE PER GLI ESAMI (Sì, MANCAVANO)
“Così come nessuno si sognerebbe di dire che gli atenei tradizionali sono tutti uguali – dice a Startmag una fonte di primo piano del mondo degli atenei digirali – sarebbe un errore credere che le università telematiche siano identiche tra loro. E chi agisce con correttezza vuole mettere dei paletti per impedire che continui la situazione attuale”. Tra le istanze che gli atenei digitali hanno avanzato al ministero, per esempio, c’è la richiesta di “regole più precise per lo svolgimento degli esami”.
Sembra paradossale, dato che le università comunemente vengono identificate con gli esami e proprio sugli esami poggiano la propria ragion d’essere, nonché l’intera intelaiatura, eppure al momento è uno degli aspetti meno normati. “Occorre tenere presente – sottolinea l’interlocutore che chiede l’anonimato – che non è facile normare quella attività didattica, dato che c’è il rischio di ledere la libertà dell’insegnante. Ma è palese che tra le cose che oggi sfuggono ai controlli dell’Anvur [l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente che si occupa della valutazione dell’attività delle università in Italia. ndR] c’è proprio la gestione degli esami. E bisogna intervenire”.
UN FRENO AI DIPLOMIFICI
Del resto i mancati controlli sarebbero concausa delle storture recentemente documentate anche da Report: “I veri problemi – aggiunge l’addetto ai lavori – sorgono quando viene chiesto ai docenti di non avere come finalità la qualità dell’insegnamento, ma parametri di natura economica motivati dal fatto che le università telematiche per sopravvivere debbano fare cassa. In quel caso l’assenza di regole certe per ciò che riguarda gli esami può creare storture che danneggiano tutti”.
Chi tra le università telematiche prende il proprio ruolo seriamente non solo appoggia i rilievi mossi dall’Anvur (che, lo ricordiamo, non ha certo recensito positivamente la categoria) ma ne chiede persino il rafforzamento: “E’ stato un errore determinarne l’organico per legge, dato che per aumentarlo occorre ora agire sulla normativa. Ma teniamo anche in considerazione un fatto: le valutazioni dell’Anvur sono di scopo e non di risultato, quindi fa le proprie analisi sui processi e li valuta idonei o meno rispetto agli obiettivi che una università si pone, mentre non guarda altri criteri come, per esempio, il numero di laureati”.
IL TEMA DEL NUMERO DEI DOCENTI NELLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE
E poi c’è la questione, ormai nota, del numero dei docenti che, con la crescita esponenziale degli iscritti vista negli ultimi anni, se non ritoccata all’insù secondo molti osservatori (a iniziare dai tecnici dell’Anvur) rischia di inficiare la qualità dell’insegnamento negli atenei virtuali.
Sul punto non si registrano le discrepanze appena viste in merito agli esami e le università telematiche fanno quadrato: “Occorre cambiare la norma. Noi chiediamo leggi uguali per tutti ma declinate in modo difforme per rispettare le singole specificità”, dice l’esponente di un ateneo digitale.
“La norma attuale, che riguarda il numero minimo di docenti di riferimento per mantenere i corsi, da calcolare sul numero degli iscritti al primo anno, non distingue tra corsi in presenza e corsi a distanza: come telematiche abbiamo chiesto che la nuova legge operi un discrimine valido anche per le università tradizionali laddove tengano corsi per via telematica”.
Su quali basi chiedono tale cambiamento? “È una questione legata alla diversa struttura delle lezioni de visu: se in un ateneo tradizionale hai 200 iscritti a un corso è un tema, se ne hai 400 invece cambia tutto: dovrai trovare aule idonee, suddividere i corsi… mentre se la lezione avviene via Internet non cambia proprio nulla. Ma la legge attualmente non ne tiene conto. Quindi serve un aggiornamento ad hoc che deve valere anche per le università fisiche: in merito abbiamo ottenuto il loro riscontro positivo”.
PRONTI AD AUMENTARE I TUTOR
Il basso numero di professori rapportato a quello degli iscritti, insomma, non rappresenterebbe quell’emergenza qualitativa di cui si è parlato finora. Anche perché, spiega sempre la nostra fonte, le università telematiche poggiano sulla figura del tutor: “Tradizionalmente gli alunni hanno un maggior pudore a interfacciarsi con i docenti, mentre avvertono i tutor come loro pari: è a loro che rivolgono domande e chiedono assistenza. Si pongono come figure intermedie tra professori e studenti”. I tutor disciplinari devono avere la laurea o il dottorato nell’ambito dell’insegnamento: “Molti sono dottorandi – spiega l’interlocutore – altri lo fanno di mestiere: possono essere a contratto, oppure assunti. Quel che è certo è che siamo favorevoli ad aumentarne il numero, nel caso ci venisse chiesto”.
IL PIAVE DEI CORSI REGISTRATI
Insomma, alcuni dei punti principali sembrano in via di definizione: regole più chiare per gli esami – con diverse telematiche che si spingono persino oltre e si dicono favorevoli a un maggior controllo da parte dell’Anvur – e un maquillage della formula per calcolare il numero minimo di docenti, con i relativi benefici anche a vantaggio delle università tradizionali che tengono corsi a distanza.
Su altri invece sarà più difficile operare la sintesi su cui è al lavoro il Mur: “Chiariamo una cosa: le lezioni telematiche dovranno continuare a essere registrate. La maggior parte degli iscritti alle università telematiche durante il giorno lavora e noi dobbiamo garantir loro totale libertà d’accesso al materiale didattico, lezioni incluse. Se saltasse questo aspetto, non avrebbero più ragion d’essere gli atenei digitali e soprattutto perderemmo tutte quelle persone che vorrebbero conseguire una laurea ma non hanno né il tempo né il modo di frequentare le lezioni tradizionali”.
“Bisogna considerare – prosegue l’esponente del mondo delle università telematiche – che le lezioni sono sì registrate, ma gli studenti possono interfacciarsi coi docenti su appuntamento e, soprattutto, coi tutor. Non solo: non si commetta l’errore di credere che la lezione a distanza sia facile e banale da realizzare, insomma sia solo la registrazione di un corso tradizionale. Se la si vuole fare bene serve ripensare agli strumenti didattici a propria disposizione e rivoluzionare i corsi: non è infatti sufficiente parlare a uno schermo come lo si farebbe in aula. A questo proposito, nella consapevolezza che gli atenei tradizionali sono più in difficoltà su questo punto, siamo disponibili a interfacciarci con le università classiche per mettere a disposizione il nostro bagaglio di competenze digitali e anche manageriali, per il bene di tutti”.
IL DIFFICILE DIALOGO CON LA CONFERENZA DEI RETTORI
Non c’è dunque concorrenza tra i due mondi? “Affatto, come già detto ci rivolgiamo a una platea che, se non fosse intercettata da noi, comunque non avrebbe modo e tempo di andare all’università tradizionale, quindi non stiamo soffiando studenti a nessuno”.
Eppure dalla Conferenza dei rettori non piovono certo attestati di stima, basta vedere ciò che ha detto recentemente a Repubblica Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca di Milano, nonché presidente della Crui (“Le telematiche in Italia sono undici, molto diverse tra loro, ma unite nel rivendicare la loro funzione sociale, il fatto che non costano allo Stato e che qualsiasi formazione offrano è comunque un di più. Questo argomento, però, è un falso. Non può bastare lo schermo di un pc per formare brillanti coscienze critiche. A un ragazzo che vive in una zona remota del Paese devi dare una borsa di studio e farlo studiare in un ateneo di grande qualità. Invece gli dici “stai a casa tua e ti faccio un favore se prendi una laurea digitale”. Le telematiche non sono un ascensore sociale, creano soltanto studenti di altro tipo”).
L’interlocutore di Startmag sottolinea il fatto che la Crui per statuto non ammette al proprio interno le telematiche: “Questo è un errore e non aiuta certo il dialogo: nel bene o nel male gli atenei digitali fanno ormai parte del panorama italiano perciò, piaccia o no, occorre prenderle in considerazione come sta giustamente facendo il Mur. Siamo i primi a voler essere normati e a chiedere parità di trattamento, con le dovute differenze, con gli atenei tradizionali. La presenza di Iannantuoni al tavolo ministeriale, comunque, è incoraggiante”.