skip to Main Content

Ley Riders

Perché la Spagna fa infuriare rider e società di food delivery

Che cosa succede in Spagna su rider e società di food delivery

 

Stop ley riders”, “fermate la legge sui Riders”, è uno degli slogan che molti riders (i lavoratori che collaborano con le piattaforme del food delivery) hanno intonato in Spagna durante le loro manifestazioni di piazza. Manifestazioni che, secondo gli organizzatori, hanno coinvolto più di 10.000 riders in 15 città.

Visto dall’Italia “Stop ley riders” può sembrare un controsenso, perché la legge adottata dal paese iberico lo scorso 11 maggio, ed entrata in vigore il 12 agosto, di fatto costringe le aziende ad assumere i riders. Le loro proteste stonano, quindi, con l’immagine comunemente veicolata di lavoratori precari che vogliono essere assunti.

Come è nata la legge spagnola per i Riders

La legge spagnola, fortemente voluta dal Ministro del Lavoro e Vice Premier Yolanda Díaz, è stata conseguenza indiretta di una sentenza della Corte Suprema Spagnola che aveva riconosciuto ad un riders della spagnola Glovo lo status di lavoratore subordinato.

La Diaz e le parti sociali già a marzo 2021 avevano raggiunto un accordo per modificare lo Estatuto de los Trabajadores, che è stato di fatto modificato con il Real Decreto-Ley 9/2021 del 11 maggio, tra le proteste dei riders che, di fatto, non chiedevano di essere assunti, ma di essere maggiormente tutelati.

Non solo i riders hanno protestato: le società di food delivery si sono dette contrarie ad un modello che giudicano non sostenibile dal punto di vista economico. Yolanda Diaz è stata costretta a difendere la “ley riders” ed il lavoro del suo “tavolo tecnico” in occasione dei tanti scioperi che sigle come Asociación Autónoma de Riders hanno convocato, ma anche quando un colosso del food delivery come Deliveroo ha annunciato di voler lasciare il Paese.

Con il nuovo inquadramento, un’ora di lavoro di un rider dipendente costa enormemente di più di un’ora di lavoro di un rider autonomo, il che sta spingendo le piattaforme ad assumere meno riders di quelli attivi fino a prima dell’estate. L’esempio più evidente è quello di Glovo, che dovrebbe assumere solo il 20% dei rider che collaborano con la piattaforma.

I riders (che accusano di non essere stati ascoltati durante le trattative) denunciano la perdita di posti di lavoro e di emolumenti, e soprattutto il fatto che i pochi riders rimasti attivi, inquadrati in un contratto di lavoro subordinato, debbano lavorare molto di più di prima, ed a condizioni più sfavorevoli.

I rischi legati alla Ley Riders

Ma c’è un’ulteriore grana sulla “Ley riders”, che rischia di trasformare un cortocircuito giuslavoristico in una vera e propria Caporetto: per fare fronte alle nuove norme e tenere i conti in equilibrio, molte compagnie di food delivery hanno fatto ricorso a contratti di massa con cooperative di lavoratori: ovvero non hanno assunto direttamente i riders, ma hanno “esternalizzato” la loro funzione a cooperative di lavoratori. Risultato? Le tutele previste per i dipendenti sono ancora un miraggio, e tra datore di lavoro e lavoratore c’è un terzo soggetto che erode risorse.

Non è un caso se in Italia il Protocollo firmato nel marzo 2021 da AssoDelivery con Cgil, Cisl, Uil e UGL, alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, vieti esplicitamente di ricorrere a società di intermediazione nel rapporto tra le piattaforme e i rider stessi.

Riders scontenti e società di food delivery in fuga

La strategia del Governo della Spagna sembra, pertanto, opposta a quella del Governo Italiano, dove la legge richiede maggiori tutele a prescindere dall’inquadramento lavorativo. In Spagna invece, partendo dalla presunzione di subordinazione, cardine della “Ley Riders”, scappano le aziende, si riduce il numero degli occupati, si abbassano i guadagni netti dei rider e viene consentito il lavoro tramite terze parti: una forma di intermediazione che in Italia ha generato fenomeni patologici e che hanno portato all’amministrazione straordinaria (poi revocata) della società Uber, accusata di caporalato nell’ambito di un complesso procedimento promosso dalla Procura di Milano, che ha già portato alla condanna per caporalato di alcuni manager del fleet partner FRC che intermediava, appunto, le prestazioni di lavoro offerte dalla piattaforma.

Il rischio, dunque, è che l’obiettivo astratto di assicurare maggiori tutele ai rider, attraverso la riclassificazione dei lavoratori come subordinati, non metta solo da parte tutti i pregi del nascente business model della “on demand economy”, come la flessibilità e la possibilità per il lavoratore di scegliere come e quando lavorare, ma favorisca anche il ritorno di forme di lavoro (e di rapporto sindacali) superati, come appunto le esternalizzazioni e le cooperative di lavoratori.

Intanto, i riders spagnoli continuano a protestare, denunciando che i posti di lavoro a rischio sarebbero più di 20.000.

Back To Top