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Guerra a sinistra sulle università telematiche: Boccia (Pd) contro Violante (Multiversity)

Il decreto Bernini sulle università telematiche imbocca ormai il rettifilo finale e punta all'approvazione entro la fine dell'anno. I Dem si spaccano: le nuove regole vengono bocciate senza appello da Boccia (Pd), mentre Violante è ormai dall'altra parte della barricata presiedendo Multiversity, il gruppo che possiede i tre principali atenei online molto attivo nel fare lobby (infruttuosa?) nei palazzi della politica.

Non c’è solo la Conferenza dei rettori (Crui) a bersagliare di critiche il decreto ministeriale per normare la convivenza tra atenei tradizionali e università telematiche. Il testo del Mur, che mira a chiudere un tavolo durato quasi un anno, crea non pochi imbarazzi anche dalle parti del Partito democratico, che avversa il contenuto del provvedimento ma ha anche un suo ex rappresentante storico, Luciano Violante, alla guida di Multiversity, il principale player del settore nel mercato italiano con gli atenei digitali Pegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma.

Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato (nella foto con Elly Schlein), si scaglia contro il testo voluto dal governo per normare gli atenei telematici e lo fa senza usare mezzi termini: “Non è accettabile questo approccio mercantile alla cultura: c’è chi ha scambiato le Università per Airbnb. Bisogna andare incontro ai bisogni di tutti – dai lavoratori che vogliono completare gli studi, alle famiglie meno abbienti, a chi vive lontano dalle città o ha disabilità – ma i corsi di laurea online sono spesso una scorciatoia. La risposta non è una riduzione della qualità dell’offerta formativa”, ha detto in una intervista rilasciata al Sole 24 Ore.

IMBARAZZI NEL PD E IMBARAZZI AL MUR?

Gli stessi imbarazzi del Pd che avversa in modo deciso la misura pur trovando Luciano Violante sul fronte opposto per Boccia sono avvertiti anche dalla ministra Bernini (“che viene dal mondo accademico”) ma ciò non toglie che per l’esponente Dem urgesse “una riflessione in linea con quella sollecitata dalla presidente della Crui: non può bastare un pc a formare la coscienza critica. Un governo serio dovrebbe prima di tutto garantire borse di studio adeguate”.

Tante le criticità ravvisate da Boccia: “Il discente può scegliere se studiare a distanza, ma è fondamentale garantire un confronto di persona. L’Università è fatta anche di incontri, confronti, di preparazione alla vita, oltre che alla professione e uno schermo non lo permette. Su ricerca e numero dei docenti ci deve essere parità tra Università tradizionali e online. A fronte invece del boom di iscrizioni, in dieci anni i docenti delle telematiche sono passati solo da 288 a 582.”

LE CRITICHE DELLE UNIVERSITA’ TELEMATICHE AL DECRETO

Per la verità il testo del Mur non piace troppo nemmeno al fronte opposto: il mondo degli atenei virtuali non ci sta a essere assoggettato a un regime che contribuisce ad assottigliare le differenze (privilegi?) di cui aveva potuto godere finora.

“Le soluzioni proposte hanno snaturato diversi aspetti fondanti delle università digitali: l’obbligo di svolgere una quota di attività didattica in forma sincrona, ad esempio, è una forzatura che non aggiunge nulla alla qualità della formazione e che oltretutto taglia fuori tanti studenti impossibilitati a seguire le lezioni in giorni e orari specifici”, lo sfogo raccolto qualche settimana fa da Adnkronos di Paolo Miccoli, già presidente dell’Anvur (sì, quello stesso ente, ovvero l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha avanzato fortissimi dubbi sulla qualità della didattica nelle università digitali), oggi alla guida di United (Università Italiane Telematiche e Digitali), la neonata nonché prima associazione delle Università Digitali italiane private che riunisce Pegaso, Mercatorum, San Raffaele Roma, l’Università Telematica degli Studi Iul, eCampus, Leonardo Da Vinci e la Giustino Fortunato.

In realtà Miccoli sa bene che l’obbligo di svolgere un’attività didattica in forma sincrona non è il vero motivo per cui le università telematiche respingono il decreto del Mur. Mentre gli atenei tradizionali chiedevano infatti che le rivali private virtuali svolgessero in sincrono le lezioni (gli studenti insomma non fossero formati unicamente da corsi precedentemente registrati, esattamente come un tempo le casalinghe americane facevano ginnastica con le VHS di Jane Fonda), la formula giunta nel decreto lascia a chi imbastisce corsi virtuali ampi margine d’azione.

La bozza utilizza non per caso l’espressione “attività didattiche” e non “corsi” o “lezioni” o “insegnamenti”, così da ricomprendere un po’ di tutto ( dunque non ci sarebbe l’obbligo di avere tot ore di lezioni sincrone, in quanto rientrano nel computo persino gli incontri col tutor), col solo limite della fantasia. Saranno ore da fare in presenza? Naturalmente no: dovrebbero andar bene pure le aule virtuali.

Considerato che non è del tutto corrispondente al vero (non più almeno) che la maggior parte degli iscritti alle università telematiche è uno studente lavoratore che può mettersi al PC esclusivamente nottetempo o nei weekend, la novella ministeriale non dovrebbe danneggiare gli affari degli atenei digitali. Che era poi la tesi sposata dalle università telematiche contro tale istanza ministeriale.

L’AUMENTO DEI DOCENTI NON PIACE AGLI ATENEI VIRTUALI

Due i punti che non sono realmente graditi al mondo delle università telematiche: ”Il Decreto reintroduce – prosegue Paolo Miccoli – un rapporto minimo tra numero di studenti e docenti, dimenticando che la qualità della formazione, soprattutto in contesti non vincolati a limiti spaziali e temporali come nel caso delle università telematiche, non dipende dal numero degli insegnanti ma alla qualità degli stessi”. Qui però il rappresentante di United finge di dimenticare che senza il provvidenziale intervento del ministro Bernini sarebbe scattato un altro decreto, il Dm 1154/2021 lascito del governo Draghi che portava il rapporto docenti – classi dal “vecchio” uno a tre a uno a uno. Troppo severo. Da qui il compromesso individuato dal Mur che esige un professore strutturato ogni due classi di studenti.

Il decreto Bernini qua salva doppiamente le telematiche, anzitutto cancellando il testo di draghiana memoria che altrimenti sarebbe dovuto essere applicato all’anno accademico in corso e secondariamente prevede un regime transitorio di favore di un anno per i corsi già iniziati. Regime che non si applica però ai nuovi corsi, assoggettati da subito i nuovi parametri.

LE RECENSIONI NEGATIVE DELL’ANVUR SULLA DIDATTICA

Certo è che il numero dei docenti nelle università telematiche è destinato ad aumentare, così come le spese sostenute dalle stesse (sono comunque sostenute anche da fondi pubblici). Non poteva però essere altrimenti dato che il decreto nasce a ridosso dei rilievi assai critici sulla qualità della didattica dell’Anvur, ovvero l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha evidenziato come durante i corsi del 2022 le università tradizionali avessero messo a disposizione un professore ogni 28,5 studenti mentre nelle telematiche il rapporto sia salito a 384,8 studenti per docente.

Si legge infatti nel report: “L’’effetto combinato della riduzione dei requisiti di docenza richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte comunque di un aumento del numero dei docenti contestuale all’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato il rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, che è passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022 (un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali)”.

Per nulla rosee le conclusioni dell’Anvur: “Pensare che un’offerta formativa possa reggersi appaltando integralmente la docenza all’esterno dell’ateneo è ritenuto un elemento di scarsa attenzione alla qualità della didattica e alla centralità dello studente”.

IL VERO NODO DELLA QUESTIONE: GLI ESAMI IN PRESENZA

Ma il vero punto è un altro: “Non capiamo – lamenta ancora Miccoli – la necessità di rendere obbligatoria la presenza per gli esami di profitto: è una scelta che non azzera di certo eventuali comportamenti illeciti degli studenti e ignora allo stesso tempo le avanzate tecnologie antiplagio messe a punto anche da prestigiose Università”.

Qui basterebbe invitare Miccoli a visionare la puntata di Report “Il pezzo di carta” dell’aprile scorso per fargli comprendere perché dal ministero abbiano l’esigenza di stringere realmente i bulloni, almeno su quel fronte. Start ne aveva parlato qui. La deregulation attuale ha portato a evidenti storture ben documentate dalla trasmissione d’inchiesta di Rai3. Questo non vuol dire che tutte le università telematiche siano diplomifici, ma era lecito attendersi un intervento normativo che riportasse un po’ di serietà nella situazione di far west lamentata da chi, nel mondo degli atenei digitali, intende fare le cose per bene.

Poi non bisogna dimenticare che anche se il Mur sembri intenzionato a non derogare alla formula degli esami in presenza per tutti, abbia comunque aggiunto una formula che lascia aperta una futuribile scappatoia: ovvero si potrà tornare, dietro nuova disposizione del Ministero, agli esami virtuali in caso di “mutamento delle tecnologie a disposizione per lo svolgimento degli esami”. In genere la legge disciplina l’oggi per l’oggi, rebus sic stantibus dicono i dotti. Curiosa questa postilla, quasi una promessa a rendersi subito disponibili a rivedere la materia appena le nuove tecnologie consentiranno di superare le attuali criticità degli esami a distanza, per via telematica.

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