Il rivenditore statunitense di videogiochi Gamestop, da anni in tribolazioni economiche causate prima dalla pandemia e successivamente dalla concorrenza dell’e-commerce e degli store proprietari delle varie software house che vendono copie digitali dei titoli in commercio (per questo motivo la catena si è rifiutata di vendere l’edizione di PlayStation 5 priva di lettore ottico e compatibile esclusivamente coi videogame scaricabili), continua la sua lenta camminata per riassestare i conti e lo fa chiudendo il marketplace degli Nft.
LA BREVISSIMA AVVENTURA DI GAMESTOP NEL MONDO NFT
L’avventura di Gamestop nel settore è durata meno di un biennio: l’annuncio di agguantare il nuovo mercato risale al giugno del 2021, come primo atto per riprendersi dopo la sbandata causata dai lockdown, con tanto di team ad hoc per seguire le operazione, ma l’avvio su Immutable X, piattaforma basata sulla blockchain di Ethereum e la contestuale decisione di costituire un fondo “fino a 100 milioni di dollari” destinato agli sviluppatori di giochi è datato fine 2022.
COSA DICE LA CATENA
Ma di tutto questo è stato messo a terra ben poco. “GameStop ha deciso di chiudere il proprio marketplace di Nft a causa della continua incertezza normativa nel campo delle criptovalute”, la motivazione ufficiale attraverso un messaggio sul sito web del marketplace, aggiungendo che la piattaforma non sarà più operativa a partire dal 2 febbraio di quest’anno.
NFT E VIDEOGAME, AMORE MAI SBOCCIATO
Sebbene alcune case ci si siano fiondate a pesce (come per esempio Ubisoft, che nonostante i magri risultati potrebbe perseverare sul tema dati gli investimenti fin qui sostenuti), già a inizio 2022 un sondaggio della Game Developers’ Conference aveva rivelato che la maggior parte degli sviluppatori di videogiochi avesse un’opinione particolarmente negativa degli Nft, intesi come uno strumento speculativo che nulla aggiunge all’esperienza ludica. E l’utenza, se possibile, ha dimostrato di averne una persino peggiore.
2024 FUGA DAGLI NFT
Non sorprende se l’ultimo report pubblicato nella seconda metà dello scorso anno da Dappgambl, sulla base di una analisi di 73.257 collezioni di Nft presenti sulle piattaforme “Nft Scan” e “CoinMarketCap” abbia fotografato impietosamente la crisi in cui versa il comparto, col 79% della merce rimasta miseramente invenduta e 23 milioni di persone (circa il 95% di tutti coloro che hanno acquistato almeno un file) che avevano effettuato acquisti a scopo speculativo che si ritrovavano invece per le mani – in verità nemmeno, dato che non è un bene tangibile – un investimento senza alcun valore.
CROLLO VERTICALE (MA NON VIRTUALE) PER LE OPERE D’ARTE SU BLOCKCHAIN
Del resto, basta vedere l’immobilismo del mercato nell’ultimo periodo per intuire che gli Nft siano già arrivati a fine corsa. Se subito dopo la pandemia, anche grazie a poche operazioni di rilievo, il mercato di questi particolari oggetti virtuali alimentava scambi per qualcosa come 2,8 miliardi, già nel 2023 le transazioni si erano praticamente azzerate, crollando del 97% in un biennio e una media di valore degli scambi pari a 80 milioni di dollari alla settimana, il 3% rispetto al 2021.
C’è poi un fattore che in tempi come questi andrebbe presumibilmente conteggiato: l’impatto ambientale. Saranno anche virtuali, ma gli Nft richiedono un sacco di server perennemente collegati al Web. “L’energia utilizzata per produrre gli Nft è stimabile attorno ai 28 milioni kWh, che equivalgono a un’emissione di circa 16.243 tonnellate di CO2”, spiegano gli analisti di Dappgambl, l’equivalente della produzione annua di 2.048 case o 3.531 automobili, settori in cui i legislatori di tutto il mondo sono già intervenuti o stanno intervenendo per esigere una mitigazione delle emissioni.