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GameStop logorata dalla paura di finire come Blockbuster?

GameStop disarciona l'ennesimo amministratore delegato. La catena di videogiochi, responsabile della chiusura dei negozietti a conduzione familiare, non riesce a trovare nuovi business mentre il mondo dei videogiochi vira al cloud e alle copie digitali

Il non detto, ai piani alti di GameStop, è la paura di finire come Blockbuster, gigante del noleggio di Vhs prima e Dvd poi, seppellito dall’arrivo di Netflix (che nei primi anni di vita aveva il medesimo business model), Amazon & Co. Nonostante i numerosi tentativi di riciclarsi, esplorando nuove strade di business, il gruppo texano è ancora troppo legato a un mercato che pare avere i giorni contati e questo lo sta portando a mosse difficilmente leggibili, specie dagli investitori, come il quinto cambio di Ceo in cinque anni.

L’ENNESIMO CEO CACCIATO REPENTINAMENTE

Cacciato infatti anche Matt Furlong, ex dirigente di Amazon, chiamato appena due anni fa per tessere una nuova strategia commerciale che però non deve aver soddisfatto gli azionisti. Furlong comunque era riuscito a riportare i bilanci in attivo, almeno nell’ultima trimestrale, l’unica col segno “+” degli ultimi due anni. Ma a un prezzo assai salato, fatto di spending review draconiana e tagli orizzontali.

 

La sua mannaia era caduta sugli store irlandesi, chiusi all’improvviso, dal giorno alla notte. Una decisione che aveva inquietato gli azionisti, visto che uno degli asset della catena era appunto il presidio del territorio, con circa 5mila punti vendita sparsi in tutti i continenti.

TANTI TAGLI E DIVERSI SBAGLI

La chiusura dei GameStop irlandesi rappresenta la punta di un iceberg che sotto il pelo dell’acqua fatica ormai a nascondere l’insoddisfazione dei propri dipendenti che in più occasioni hanno denunciato la rapidità con cui si viene assunti, trasferiti e poi mandati a casa. Diventò virale sui social un cartello affisso sulla vetrina di una filiale statunitense, chiusa all’improvviso, nel quale i dipendenti lasciati a casa invitavano i giocatori a fare altrove i propri acquisti.

LA DIETA È SERVITA (PER ORA)

Furlong lascia almeno i conti in maggior ordine rispetto a come li aveva trovati al suo insediamento: la pandemia e la conseguente esplosione degli eshop virtuali avevano di fatto dato il colpo di grazia a una società che versava già in crisi nera e aveva chiuso già il 2018 con una perdita di 673 milioni di dollari.

Nel 2019 il parziale rilancio, persino attraverso un rebranding: GameStop Zing, a indicare la nuova linea di accessori (tshirt, tazze, ecc) naturalmente a tema videoludico. E non solo: l’azienda aveva deciso di creare un palazzetto per gli eSport in Texas, dove ha sede, mentre nel resto del mondo si era data l’obiettivo di organizzare tornei ed eventi tematici in collaborazione con l’agenzia Kineticvibe.

I BIG DEI VIDEOGIOCHI VOLTANO LE SPALLE A GAMESTOP

Poi appunto la pandemia, i lockdown, le serrande abbassate e l’arrivo di una generazione di console sempre più ostili ai supporti fisici e sempre più attratte dal cloud gaming: Microsoft ci ha investito tantissimi soldi e ora pure Sony andrà in quella direzione.

E proprio Sony, più o meno indirettamente, aveva assestato un altro colpo ai bilanci di GameStop prevedendo una versione della console senza lettore per supporti ottici e in grado dunque di leggere unicamente copie virtuali scaricate dal PlayStation Store. La replica di GameStop non s’era fatta attendere: non ha mai venduto quella versione.

Nel 2022 il lancio, sfortunato – sicuramente tardivo – di un portafoglio di criptovalute e asset digitali.

Tra alti e bassi, la società ha comunque chiuso il quarto trimestre dell’anno fiscale 2022 (terminato il 28 gennaio 2023) con vendite nette di 2,226 miliardi di dollari (2,254 miliardi un anno fa) e un utile netto di 48,2 milioni di dollari (rispetto a una perdita netta di 147,5 milioni per il quarto trimestre dell’anno precedente).

GameStop ha registrato un utile rettificato di 16 centesimi per azione, rispetto ai -0,49 dollari dello stesso periodo dello scorso anno e alle aspettative di Wall Street per una perdita di 13 centesimi. Nell’intero anno fiscale ha generato un fatturato netto di 5,927 miliardi di dollari, rispetto ai 6,011 miliardi di dollari dell’anno fiscale 2021.

IL RIMPIAZZO A KM ZERO (E A TERMINE)

Ecco insomma perché il siluramento di Furlong ha sorpreso tutti, determinando l’ennesimo crollo verticale del titolo in Borsa. Anche perché il rimpiazzo non ha mancato di suscitare altre polemiche: Ryan Cohen, che è pure il più grande investitore della società. Insomma, un presidente esecutivo a chilometro zero, messo lì più per il disbrigo degli affari correnti che non per restare.

 

Lo stesso Cohen ha scritto un tweet criptico («Non per molto»), che sembra lasciar presagire che il suo è un incarico a termine. Ma tutto questo non tranquillizza appunto gli azionisti. Lo spauracchio di finire come Blockbuster potrebbe insomma diventare la classica profezia autoavverante.

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