Il dibattito su come assicurare diritti e tutele ai Riders, i lavoratori del food delivery che effettuano le consegne, non occupa più le pagine dei giornali o le agende della politica, ma continua serrato.
Da quando nel 2018 Luigi Di Maio, da Ministro del Lavoro, ne ha fatto una bandiera politica (fino a definire i riders “simbolo di una generazione abbandonata”) ha conosciuto alcuni punti di svolta.
Contratto riders: la svolta contrattuale di Assodelivery
Il primo (forse il più significativo) a settembre 2020: anche a seguito degli attacchi di Di Maio (nel frattempo transitato alla Farnesina con il Governo Conte II), Assodelivery, l’associazione che riunisce le principali piattaforme di food delivery in Italia ha siglato per la volta con il sindacato Ugl un contratto collettivo nazionale di lavoro specifico per i riders. Grazie a questo contratto i rider, per la prima volta in Europa, possono finalmente contare, nell’ambito del lavoro autonomo, su nuovi diritti e maggiori tutele come un compenso minimo sull’ora lavorata, assicurazioni sul lavoro, dotazioni di sicurezza fornite dalle piattaforme, indennità integrative e sistemi premiali.
Una svolta che i riders hanno accolto con soddisfazione, ma che sembra non mettere tutti d’accordo. Lo scontro è prima di tutto interno ai sindacati, con CGIL CISL e UIL che criticano il nuovo CCNL per i Riders e che, a marzo 2021, hanno firmato un accordo aziendale con Just Eat Takeaway, colosso del delivery, basato su presupposti completamente diversi: l’assunzione dei riders, con inquadramento del settore della logistica.
Lo strappo sul contratto dei riders
Per il settore, una vera e propria rivoluzione: i riders – almeno quelli che lavorano per Just Eat Takeaway – passano dall’essere lavoratori autonomi a dipendenti, assunti part time con contratti da 10, 20 o 30 ore settimanali. Eppure non tutti utilizzano toni trionfalistici per questa svolta epocale sono proprio i riders, i lavoratori.
Le più critiche sono proprio le sigle di riders “in prima linea”, che chiedevano il riconoscimento del lavoro di rider come lavoro subordinato. Riders Union a Roma o Deliverance a Milano. Secondo queste sigle, Just Eat Takeaway non avrebbe tenuto fede agli impegni, assumendo meno rider del previsto e contrattualizzando il maggior numero di rider “al minimo”, con contratti cioè da 10 ore.
I riders a Start Magazine: ecco perché il contratto da subordinati non ci piace
Start Magazine ha parlato con due rider assunti da Just Eat Takeaway come lavoratori subordinati, per capire i motivi della loro insoddisfazione. “Qualche rider è contento di vedersi arrivare un pagamento mensile fisso, ma non si accorge che le condizioni sono al minimo sindacale, e veniamo impegnati parecchie ore al giorno, fino a 8 ore in mezzo alla strada. Sembra un contratto ideale per chi non ha voglia di lavorare”. Spiega Marco, da 4 anni rider. “Il trattamento economico è drasticamente peggiorato con l’assunzione. Con il CCNL di Assolidevery non c’è certezza di quanto si guadagnerà, ma il mercato del delivery è talmente in espansione che, se hai voglia di lavorare, guadagni di più. Inoltre – prosegue Marco – da autonomo puoi scegliere quando, dove e come lavorare”.
I limiti del contratto nel settore della logistica
Il contratto siglato da CGIL, CISL e UIL inserisce i riders nel settore della logistica, ma sembra uno strumento inadatto a regolare una forma di lavoro che, semplicemente, fino a qualche anno fa non esisteva. Come spiega lo stesso Marco, nonostante siano tutti dipendenti, i rider non sono trattati tutti allo stesso modo: alcuni rider lavorano ancora con un proprio mezzo di trasporto di loro proprietà, e devono gestire il costo per gli spostamenti (ad esempio il carburante) e tutti gli imprevisti. ancora tutti a loro.
In più “noi con la logistica non c’entriamo proprio niente. Un lavoratore della logistica, come un corriere, la sera prima sa che lavoro dovrà fare il giorno dopo. Per noi non è così, noi non sappiamo quando e da dove arriveranno gli ordini. Con la logistica non abbiamo quasi nulla in comune. Chi ha siglato questo contratto il lavoro del rider non lo conosce proprio”, prosegue Marco.
Il contratto da dipendente ha inserito una serie di rigidità che i riders fanno molta fatica a gestire, come gli “starting point”, punti da dove ogni rider inizia il suo turno di lavoro, e che naturalmente deve raggiungere a sue spese. Inoltre gli ordini sono imposti al lavoratore, che se decide di non accettarli (magari perché troppo lontani dalla sua posizione, e quindi economicamente svantaggiosi) rischia di vedersi decurtare lo stipendio.
Anche Carlo, una vita da lavoratore autonomo e rider da 6 mesi, condivide alcune delle preoccupazioni di Marco. In particolare spiega come in certi giorni si rischia che le spese per il mezzo di trasporto “mangino” tutto il guadagno.
“Mi aspettavo molto meglio dall’inquadramento come subordinato – spiega Carlo – in questo momento sto facendo molti più chilometri con il mio scooter di quando ero un rider autonomo, perché non ho nessun potere decisionale sugli ordini”.
Carlo spiega che nel caso di Just Eat a creare problemi è anche la netta diminuzione di riders dopo l’introduzione del contratto di lavoro subordinato. “A quest’ora dovevamo essere quasi il doppio di quelli che siamo. L’impressione che ho avuto io è che si cerchi di lavorare con lo stesso modello e ritmo di prima, con molti meno rider. E’ questo non è fattibile”.
Entrambi i rider non sembrano condividere la narrazione del rider come “precario”. Piuttosto si percepiscono come lavoratori autonomi “Pure un barista è precario, se non ha clienti” chiosa Marco.
Contratto riders: lo scontro tra modelli di business diversi
Ma cosa ha spinto Just Eat a percorrere una strada tanto diversa dal modello che accomuna le altre piattaforme di food delivery?
La questione sembra andare oltre il “modello di lavoro” che si vuole attuare, e ha tutti i connotati di uno scontro tra modelli di business diversi. La maggior parte delle società di food delivery applica un modello che prevede 3 diversi attori indipendenti: il ristoratore, il rider e la piattaforma.
Il modello di business sul quale è invece nato (nel 2001) Just Eat è diverso: inizialmente infatti la piattaforma si limitava ad intercettare la domanda e ad indirizzarla ai ristoratori, che dovevano poi provvedere autonomamente alla consegna con riders loro. Tuttora, una gran parte dei ristoratori che ricevono ordini da Just Eat svolgono in proprio la consegna, attraverso il personale che lavora presso il ristorante. Ed è per questo motivo che Just Eat lavora direttamente con molti meno riders rispetto alle altre piattaforme.
Particolare, quest’ultimo, di non poco conto: assumere pochi riders (perché lavori con ristoranti autonomi nelle consegne) è l’unico modo che sembra garantire la sostenibilità economica del modello basato su contratti di lavoro subordinato, e lanciare in questo modo la sfida ai competitor che invece puntano sul lavoro autonomo.