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Forlivesi

Food Delivery, cosa fa l’Italia nella lotta al caporalato

Food Delivery e caporalato: l'Italia ha un protocollo sperimentale per impedire intermediazioni illecite. Una soluzione cui dovrebbe guardare l'intera Europa?

 

Non solo opportunità. L’avvento della Gig Economy, che in pochi anni è cresciuta e si è strutturata, ha rispolverato anche vecchi problemi di antichi mestieri, come quello del caporalato, una forma illecita di reclutamento della manodopera.

L’assunzione dei riders, soluzione cui sembra guardare anche l’Europa, può risolve il problema? Andiamo per gradi.

IL CAPORALATO NEL FOOD DELIVERY

Il Caporale è colui che ingaggia operai o braccianti agricoli al fine di impiegare gli stessi nei lavori agricoli oppure nei cantieri edilizi, in condizioni di precarietà e senza alcuna forma di tutela o controllo. Un analogo scenario può coinvolgere la categoria dei cosiddetti riders, dove alcune cooperative hanno intermediato le prestazioni dei ciclo fattorini, obbligandoli ad accettare condizioni lavorative particolarmente critiche e sfavorevoli.

Dopo una lunga ed attenta indagine promossa dalla Procura di Milano, alcuni manager del fleet partner FRC di Uber, che intermediava, appunto, le prestazioni di lavoro offerte dalla piattaforma, sono stati condannati per caporalato.

LA SCELTA DELL’ITALIA: UN PROTOCOLLO SPERIMENTALE

In nome di una lotta contro lo sfruttamento, considerando lo sviluppo sempre più marcato del settore, il 24 marzo 2021 è stato firmato il Protocollo sperimentale per la legalità contro il caporalato, intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel food delivery promosso e voluto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando. A firmarlo sono stati i rappresentanti datoriali e sindacali del settore food delivery: Assodelivery, Cgil, Cisl e Uil, e UGL. Questo protocollo nazionale fa seguito a una prima intesa promossa in ambito territoriale dal Prefetto di Milano Renato Saccone, firmato il 6 novembre 2020 dalle piattaforme aderenti ad AssoDelivery e dalle organizzazioni sindacali territoriali di Milano.

Il protocollo rappresenta – secondo molti addetti ai lavori – un importante passo verso la regolamentazione e la normalizzazione di un settore nuovo, che ha fatto la differenza (economicamente e socialmente parlando) in questi mesi caratterizzati dalla emergenza sanitaria da Covid-19. Le piattaforme italiane di food delivery si sono impegnate a adottare i modelli di controllo previsti dalla 231 del 2001, hanno adottato un codice etico, hanno nominato propri organismi di vigilanza e hanno stabilito criteri per monitorare e cercare di intercettare in anticipo il fenomeno, in uno spirito di aperta collaborazione con le autorità competenti e con le parti sociali.

Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando (Pd), si è trattato di un tassello importante per disciplinare il rapporto tra le piattaforme e i lavoratori.

L’EUROPA E LE MAGGIORI TUTELE PER I RIDERS

Temi, questi, al centro anche dell’attenzione delle istituzioni europee.

La Commissione Europea ha approvato l’8 Dicembre 2021 la proposta di Direttiva Europea per la regolamentazione dei lavoratori tramite piattaforma, i riders, ma non solo. Una proposta che ora entra nel vivo del suo iter di approvazione e che passerà al vaglio del Parlamento Europeo e del Consiglio, un percorso che probabilmente richiederà tutto il 2022, prima che il Parlamento Italiano possa iniziare a lavorare sulla trasposizione.

Bruxelles si sta interrogando, quindi, su come fornire maggiori tutele ai lavoratori e la proposta di Direttiva promossa dalla Commissione Europea prevede l’inversione dell’onere della prova: al ricorrere di due dei cinque criteri individuati nella normativa, saranno le piattaforme a dover dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo, non più i lavoratori a dover far valere i propri diritti. Tuttavia, i criteri che determineranno lo status di lavoratore dipendente o autonomo resteranno quelli stabiliti dalla normativa nazionale, non potendo la Direttiva intervenire in questa materia.

Molte sono le similitudini con il percorso intrapreso dalla Spagna, dove il Governo ed il Parlamento hanno imposto l’assunzione dei riders, con conseguenze non sempre ovvie.

UN CONTRATTO DA DIPENDENTE FERMA IL CAPORALATO?

Ma proprio in Spagna la volontà di regolamentare la posizione dei riders sembra destinata al fallimento. Una società ha lasciato il mercato spagnolo. Altre imprese di food delivery, per garantire un contratto da dipendente, tenendo in equilibrio anche i bilanci economici delle società, hanno fatto ricorso a contratti di massa con cooperative di lavoratori. Altre hanno deciso di operare attraverso società di lavoro interinale. Ci spieghiamo: i big della Gig economy non hanno assunto direttamente i riders, ma hanno affidato la loro funzione a cooperative di lavoratori o ad agenzie.

Come si traduce tutto questo? Tra datore di lavoro e lavoratore c’è un terzo soggetto, un intermediario, che erode risorse, a discapito degli stessi lavoratori.

SERVONO PIÙ TUTELE

A guardar bene l’esperienza spagnola, si può intravedere un percorso opposto rispetto all’esperienza italiana. In Italia il decreto rider ha richiesto maggiori tutele nell’ambito del lavoro autonomo e i protocolli per la lotta al caporalato hanno vietato l’intermediazione illecita della manodopera, anche a seguito degli scandali che avevano coinvolto una piattaforma. In Spagna invece i rapporti di lavoro sono diventati subordinati, ma le piattaforme adesso operano tramite intermediari con il rischio che possano presentarsi i fenomeni di illegalità che in Italia, invece, sembrano superati.

Viene da chiedersi quale sia la strada giusta da seguire. Per ora, quello che è certo, è che la discussione in Europa è tutt’altro che conclusa.

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