La vicenda dei riders (o ciclo fattorini del cibo, come li definisce con linguaggio neoautarchico il ministero del Lavoro) continua a riservare sorprese, ma in realtà non è che la metafora delle contraddizioni e dei limiti del nostro paese.
CHI SONO I RIDERS E COSA CHIEDONO
Nei 30.000 riders in circolazione che di questi tempi svolgono un servizio sempre più necessario per ridurre il disagio dell’isolamento, vi sono figure diverse, da immigrati e italiani di non più verde età che tirano a campare (e meritano il rispetto dovuto a chi si rimbocca le maniche e accetta qualunque lavoro onesto con pragmatismo di necessità) a soggetti prevalentemente giovani che scelgono con consapevolezza un’attività in autonomia che, oltre ad un compenso che giudicano adeguato, consenta loro anche spazi di libertà impossibili con un lavoro dipendente; a studenti, infine, che nel loro futuro vedono prospettive diverse ma che svolgono questa attività in via temporanea per disporre di un piccolo reddito.
Questa attività in effetti non richiede particolari professionalità, ma senso di responsabilità e sufficienti capacità organizzative. È evidente che siamo di fronte a esigenze diverse e che ognuno degli interessati propende, sotto il profilo del proprio inquadramento giuridico-professionale, a soluzioni differenti. È altrettanto possibile, anche se non verificato, che una parte importante (quella socialmente più debole) dei riders voglia un contratto di lavoro subordinato e che un’altra parte prediliga il lavoro autonomo.
Fin qui tutto normale, in qualunque impresa di una certa dimensione ci possono essere autisti e fattorini. Tipico l’esempio delle poste e dell’indotto che ne deriva, una forza lavoro consistente che può svolgere la propria attività utilizzando la bicicletta o il motorino. Lo stesso può accadere per grandi imprese che attraverso piattaforma distribuiscono cibo o altro, come Just Eat, che ha deciso autonomamente di utilizzare i riders come lavoratori dipendenti e sta lavorando su un’ipotesi di contratto collettivo aziendale (cioè della fattispecie FCA) che, nel corso del prossimo anno, dovrebbe interessare 3000 persone in 23 città.
CONTRATTI E REGOLE
Si può auspicare una generalizzazione di questo modello, ma è evidente che pizzerie e ristoranti o negozi di altro genere non si possono sempre permettere un proprio dipendente diretto e devono rivolgersi alle piattaforme che distribuiscono il lavoro. E comunque questa decisione riguarda esclusivamente la volontà e la capacità contrattuale delle parti . È altrettanto ovvio che un singolo abbia il diritto di svolgere un lavoro autonomo. Come quasi dovunque sono possibili forme di sfruttamento che vanno individuate e combattute anche con il sostegno delle istituzioni, ma bisogna rendersi conto che il modo migliore di sconfiggere l’illegalità nel mondo del lavoro è quello di sottoscrivere contratti o intese che stabiliscano regole a cui tutti devono attenersi.
In questo senso in Prefettura a Milano è stato firmato, seppur separatamente da Cgil, Cisl e Uil da una parte e Ugl dall’altra, il protocollo anticaporalato. Questa attività non è molto diversa da quella dei tassisti, dove convivono lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. E non si capisce perché non la si debba gestire con regole analoghe. Non si comprende la ratio, intrisa di connotati ideologici antagonisti, che sembra animare il ministro del lavoro Nunzia Catalfo e Cgil, Cisl e Uil nei confronti del contratto dei riders per il lavoro autonomo sottoscritto tra Ugl e Assodelivery.
COSA FA IL MINISTERO DEL LAVORO
Quello che stupisce, soprattutto negli orientamenti che emergono nella circolare emanata il 19 novembre 2020 dal Ministero, è che l’obiettivo non sia quello di tutelare tutti i lavoratori che svolgono questa attività ma di cancellare la figura del rider autonomo, giudicato incapace di amministrare i propri interessi (della serie: per il tuo bene ti taglierò la testa) o considerato la reincarnazione urbana di una sorta di kulacco , il piccolo proprietario contadino che fu oggetto delle feroci persecuzioni di Stalin. Non è un caso che un autorevole giuslavorista come Pietro Ichino definisca tale circolare: “la più clamorosa arrampicata sugli specchi che si ricordi, da che è nato il diritto sindacale. Pur di contrastare il ccnl Assodelivery/Ugl Rider, il ministero del Lavoro è pronto a cancellare il primo comma dell’articolo 39 della Costituzione, e con esso settant’anni di diritto sindacale.”
Si può aggiungere che il ministro, con una curiosa eterogenesi dei fini (si vuol contrastare un sindacato le cui origini furono certamente di destra?), sta del tutto arbitrariamente riesumando le vecchie norme del sindacalismo corporativo del regime fascista. Questo atteggiamento che vorrebbe negare di fatto il riconoscimento ad una espressione di piccola imprenditorialità è spiegabile solo alla luce di una cultura di antimercato e di gretto egualitarismo che cancella merito e responsabilità.
I RIDERS SONO I LAVORATORI DELL’ANNO
Ma, al di là di queste tristi vicende, e se si fa una doverosa eccezione per gli operatori della sanità bisogna riconoscere a tutti i riders di essersi meritati nel 2020, il riconoscimento di lavoratori dell’anno. Non si vuol certo dire che essi siano state le sole prime linee della lotta al Covid ma, pur nascendo dal nulla e rappresentando un esercito di lavoratori assai composito, fatto di italiani come di immigrati, di giovani e di meno giovani, essi sono stati tra i protagonisti del governo dell’emergenza pandemica assicurando servizi essenziali come la consegna dei pasti a domicilio.
Pur essendo classificati come una delle infinite attività della “economia dei lavoretti”, hanno dato vita a un modello di piccola imprenditorialità diffusa che è cresciuta i termini rilevanti con investimenti modestissimi (una bicicletta!) e ha finito per assumere caratteristiche significative sia come lavoro subordinato che come attività autonoma. I riders hanno trasformato mansioni, considerate nel mercato del lavoro “povere” e destinate alle fasce più marginali, in un’attività di servizio che ha conquistato una propria dignità professionale e una capacità contrattuale che difficilmente verranno meno con l’auspicabile ritorno alla normalità post pandemia.