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Pd

Io, piddino, dico: caro Pd, no ai 10 punti (populisti di sinistra) dei 5 Stelle per un governo giallo-rosso. Firmato: Minopoli

Il corsivo di Umberto Minopoli sulle trattative in corso tra Pd e Movimento 5 Stelle

 

Si fa l’accordo fra M5s e Pd? Se si volesse seguire Mattarella, dovrebbe saltare. E andare al voto. Perché i 5 Stelle, inconsapevoli di essere il problema e non la soluzione, mettono condizioni e pretendono, senza Salvini, di perpetuare i contenuti del governo che è caduto.

Il Pd chiede la discontinuità. Dovrebbe prendere atto che Di Maio propone la continuità. E dire, quindi, al Presidente: non ci sono le condizioni e la colpa è di Di Maio. Che non si sveglia dal sogno: è caduto il governo dei due populisti. Non è caduto solo Salvini.

Se i 5S per non scomparire non vogliono il voto, devono mettere il cappello in mano. Quello che è assurdo, incomprensibile e irritante è il cedimento del Pd sui contenuti. Sembra davvero che il Pd voglia un accordo ad ogni costo. Altro che discontinuità.

Il Pd ha già ceduto, con le sue “condizioni” sui punti centrali della strategia dei 5 Stelle: la decrescita (parlando di redistribuzione e non nominando la crescita come assoluta e inderogabile priorità); il deficit (non nominando i vincoli di bilancio come inderogabili) la giustizia (non nominando mai la priorità di riforme anti giustizialiste); l’ambiente (non parlando mai di politiche del fare e di riformismo ambientale e parlando solo di sostenibilità, il termine per dire solo NO a tutto).

Ora Di Maio ha alzato la posta, aggiungendo tutte le scemenze del populismo di sinistra: no ad inceneritori, trivelle, impianti energetici, grandi opere. Mi aspettavo una risposta rigorosa del Pd e dei riformisti su questi contenuti. Per ora c’è il contrario: imbarazzo, silenzio e balbettamenti.

La discontinuità, se si accetta di discutere le pretese di Di Maio, non è col governo gialloverde ma con le politiche dei governi Renzi-Gentiloni. Che su crescita, lavoro, sblocca-Italia, investimenti energetici, opere erano all’opposto dei 10 punti di Di Maio. Ci si rimangia tutto questo? Pur di fare un accordo con i grillini? Che c’entra Salvini con questo cedimento? E’ solo l’alibi per andare comunque al governo.

E già si sta passando, per premere sul Pd, dal no a Salvini allo spauracchio “delle destre”: in nome del quale si dovrebbe accettare, “con molta generosità” (Bersani), la piattaforma di Di Maio.

Ieri sono caduti due altri principi del riformismo del 2016: vocazione maggioritaria e riforme costituzionali per la governabilità, l’Italia del Sì. Quando si arriva a difendere, da parte di qualche riformista, il taglio dei parlamentari accompagnato, persino, dalla prospettiva di ulteriore correzione in senso proporzionale della legge elettorale, ci si è mangiata l’anima. Senza alcun bisogno di farlo.

Riformisti, se ci siete battete un colpo. E il Pd rispedisca al mittente le condizioni di Di Maio (che hanno irritato pure Mattarella).

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