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Fincantieri

Perché la Francia teme Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica

Il commento del generale Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa,

Il nostro rapporto commerciale con i cugini d’Oltralpe non è mai stato né facile, né semplice. Nel senso che loro in Italia sembrano avere gioco facile, se dalle banche ai supermercati, dall’industria al manifatturiero, indisturbati continuano a fare shopping, scegliendo fior da fiore. Dove non possono acquistare, cosa che sempre preferiscono, almeno partecipano. Chapeau, evidentemente sono più bravi di noi, che in Francia di strategico non comperiamo mai niente e partecipiamo assai poco.

Emblematico è il caso Fincantieri – ex Stx (ora Chantiers de l’Atlantique), che sembrava procedere bene fino all’arrivo di Macron. Ma non c’erano ancora firme e notai, quindi l’improvviso stop del presidente francese è stato un provvedimento legittimo, ma certamente non elegante. “Si è fatto subito riconoscere”, avevamo pensato qui a Roma. Occorreva ricucire la tela sia nel settore civile che in quello militare, c’è stato un colloquio che ci era stato venduto come testimonianza di buone intenzioni tra il nostro vicepresidente-ministro Di Maio ed il ministro Le Maire ed i lavori erano ripartiti, sia pure con esasperante lentezza. Il risultato è stata un’operazione solo parzialmente favorevole all’Italia, ma che comunque abbiamo condiviso.

In effetti, sul dossier era stato raggiunto un accordo di massima, dove a Fincantieri sarebbe andato il 50% come controllo diretto, più una quota dell’1 (uno) per cento in prestito dal governo francese per 12 anni, revocabile “…in caso di un mancato adempimento di Fincantieri rispetto agli impegni industriali presi”. Spada di Damocle, perché ai meno creduloni è stato subito chiaro che se la Francia per qualsiasi motivo avesse deciso di revocare il prestito, l’Italia avrebbe perso la maggioranza. Ma anche questo accordo era stato presentato come un altro successo. Eppure non c’era dubbio alcuno, considerato l’atteggiamento a dir poco spregiudicato che i cugini hanno da sempre tenuto nei nostri confronti (Libia docet), che alla prima occasione questa facoltà di recesso, gelosamente custodita e difesa, sarebbe stata utilizzata.

Si trattava solo di attendere e capire come e quando sarebbero passati all’azione. In realtà, di tentativi velenosi, subito smentiti a livello ufficiale e sui quali in Italia si è sorvolato, ce n’era già stati, sia pure andati a vuoto. Uno per tutti, e per giunta trasversale, era venuto qualche mese fa dal sito web de La Tribune. Pare originato da Adit (Agenzia per la diffusione dell’informazione tecnologica), una società di intelligence detenuta in parte da Parigi. L’avviso evocava a carico di Fincantieri fatti di presunta corruzione o presunti legami con organizzazioni criminali. Pronta la smentita del governo francese, da noi subito accettata. Ma, visto che gli accordi con Fincantieri alla Francia non piacciono (e questo è evidente), è stato giusto fidarci, o già qualcuno stava tentando di mettere le mani avanti? Sappiamo che ai francesi non piace nemmeno l’accordo tutto italiano tra Fincantieri e Leonardo, che potrebbe sfiorare gli interessi della consociata Thales.

Ora che tanto tempo è passato dallo strappo di Macron ed è chiaro che non si può più continuare a tirare in lungo aspettando Godot, I cugini sono usciti allo scoperto interpellando (irritualmente, in quanto l’affaire non raggiunge la quota finanziaria prevista) l’Antitrust della Ue sulla liceità dell’operazione. In attesa del verdetto, al momento fingono di accontentarsi del ritardo. La Germania, ovviamente, si è subito associata, e c’è da giurare che almeno alcuni quei nove Stati che avevano subito aderito all’estemporanea proposta di Difesa Europea a suo tempo avanzata dall’ineffabile Macron seguiranno a ruota. Ormai la Ue funziona così: la Francia decide, la Germania condivide e la Commissione si allinea.

Tentiamo un accento dialettale e recitiamo così: Mamma comanda, picciotto va e fa. Vi ricorda niente?

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