skip to Main Content

Germania Italia

Che cosa tedeschi e italiani pensano gli uni degli altri (poco di buono)

Il Bloc Notes di Michele Magno Per i cristiani di oggi, la controversa idea che l’uomo sia predestinato dall’Altissimo alla salvezza o alla dannazione fin dalla nascita è inammissibile. Pertanto, non figura più come una questione dottrinale se non in una forma rovesciata: chiunque può andare in Paradiso, purché ci metta tutta la sua buona…

Per i cristiani di oggi, la controversa idea che l’uomo sia predestinato dall’Altissimo alla salvezza o alla dannazione fin dalla nascita è inammissibile. Pertanto, non figura più come una questione dottrinale se non in una forma rovesciata: chiunque può andare in Paradiso, purché ci metta tutta la sua buona volontà. Il processo di democratizzazione degli ultimi due secoli ha investito anche l’Aldilà, rendendolo uguale per tutti. Una prospettiva mai accettata da Lutero. Figlio di un umile “metallicus” (minatore), fu sempre ferocemente contrario all’immagine di un Dio amorevole, ritratto come educatore gentile e benevolo: si trattava per lui di una melensa rappresentazione originata dalla superbia, dal rifiuto dell’uomo di vedersi per ciò che è veramente, una creatura vanitosa e incline al peccato.

Un pessimismo antropologico che nel luteranesimo contemporaneo, almeno in ambito europeo, si è gradualmente trasformato in attivismo sociale e politico. In questo modo, esso – ha osservato lo storico Volker Reinhardt (Lutero l’eretico. La Riforma protestante vista da Roma, Marsilio, 2017)- spesso senza saperlo si è tacitamente accostato al principio cattolico della forza redentrice delle opere e della cooperazione dell’individuo con la grazia divina, finendo per annullare la distanza tra le due confessioni. Non rimane che un ostacolo: il primato di Roma. Ma anche il nazionalismo, fenomeno che risale proprio al Cinquecento, si erge come un muro invalicabile per la riunificazione ecclesiastico-religiosa.

Del resto, con la crisi dell’Unione europea è di nuovo evidente che cosa tedeschi e italiani pensino gli uni degli altri, ossia poco di buono. Gli stereotipi nazionali di moda su entrambi i versanti delle Alpi sono ancora in larga misura debitori del repertorio degli umanisti e della Riforma: l’idea dei subdoli italiani che finanziano i propri sprechi, e dunque la propria immoralità, attingendo dalle casse tedesche, era già abbondantemente presente nei Gravamina Nationis Germanicae, cioè le accuse rivolte alla Curia fin dalla metà del Quattrocento di soffocare con le imposte ecclesiasistiche l’economia nazionale. Così come quella dei tedeschi avidi, barbari ignoranti e privi qualsiasi sensibiltà per la bellezza e i piaceri della vita, si rifletteva già nei dispacci dei nunzi romani. Francesco Guicciardini apprezzava invece il monaco agostiniano, perché “gliel’aveva fatta pagare alla gentaglia del clero”. Ma il fiorentino non poteva certo augurarsi il trionfo del luteranesimo, essendo egli strettamente vincolato per ragioni familiari alle sorti del papato.

Friedrich Nietzsche, al contrario, odiava Lutero, poiché lo riteneva responsabile della restaurazione della religione cristiana che i papi rinascimentali, in particolare Alessandro VI e suo figlio Cesare Borgia, avevano affossato. Questa religione era stata riportata in auge, insieme alla “morale degli schiavi”, dagli istinti più bassi di un monaco oscurantista. Thomas Mann era della stessa opinione. Apprezzava il contributo di Lutero alla formazione della lingua tedesca e la sensibilità democratica del sacerdozio universale. Nonostante ciò, rifiutava il suo pensiero e la sua opera: “Non lo amo, e lo ammetto apertamente. Qualsiasi tedesco sostenitore della purezza culturale della Germania […] mi sconcerta e mi spaventa, anche quando si presenta come paladino della libertà evangelica e dell’autonomia intellettuale […]. Non avrei mai potuto essere ospite alla tavola di Lutero: probabilmente presso di lui mi sarei sentito come nella casa di un orco e sono convinto che sarei andato più d’accordo con Leone X, Giovanni de’ Medici, l’umanista gentile che Lutero chiamava la puttana del diavolo” (La Germania e i tedeschi, Manifestolibri, 1995).

Lutero non incontrò mai il predecessore del papa mediceo. Quando, su incarico dell’ordine degli eremiti di sant’Agostino, arrivò a Roma nel 1511, Giulio II (1503-1513) si trovava altrove. Stava infatti guidando le sue truppe contro i signori ribelli dello Stato pontificio, perseguendo nello stesso tempo l’obiettivo di cacciare i francesi dall’Italia. Il Riformatore nei suoi Discorsi a tavola, raccolti da Johannes Mathesius tra il 1540 e il 1541, gli avrebbe rimproverato questo sanguinoso bellicismo. Il nipote di Sisto IV aveva celebrato la Pasqua con una carneficina, presso Ravenna, che era costata la vita a migliaia di cristiani. Ecco come l’Anticristo romano aveva festeggiato la risurrezione del Signore! Dietro una polemica asperrima si celava anche una profonda delusione personale: era stato nella città santa e poteva raccontare per esperienza diretta quanto fosse triste attraversare quella nuova Babilonia sul Tevere, ma non era riuscito a guardare negli occhi la perfida caricatura di Cristo.

Anche molti anni dopo il suo viaggio, quell’assenza condizionò i suoi anatemi contro l’antico nemico: il papa di Roma, che si chiamasse Leone X (1513-1521), Clemente VII (1523-1534) o Paolo III (1534-1549). Sulla falsariga del boemo Jan Hus, Lutero -sia come oratore sia come autore di pamphlet- non cessò mai di fustigare i delitti raccapriccianti dei pontefici: dal rapporto incestuoso tra Alessandro VI (1492-1503) e sua figlia Lucrezia, alle gesta di Leone X, che al Concilio Lateranense aveva offerto ai cardinali cinque ragazzi di bell’aspetto. Queste invettive si sarebbero trasformate in cliché in grado di influenzare fortemente l’immaginario collettivo luterano.
D’altro canto, agli occhi della Curia romana Lutero si presentava come il prototipo del teutone odioso: un beone irascibile, grossolano, arrogante, scurrile, che con i suoi folli anatemi contro il magistero della Chiesa mirava semplicemente a ingraziarsi la potente Germania, per acquisire fama e fortuna.

Naturalmente, l’esplosione del conflitto è ascrivibile non soltanto a principi teologici inconciliabili, ma a concretissime questioni di potere. Dettagliate ricerche effettuate in occasione del quinto centenario della Riforma hanno confermato che la Germania, a differenza della Spagna e della Francia, non beneficiò mai del meccanismo di distribuzione di favori e prebende papali. A sentirsi penalizzate, all’inizio del sedicesimo secolo, erano soprattutto le regioni settentrionali e orientali. Da qui le accuse di saccheggio, in virtù di una tassazione esorbitante, rivolte al papato da influenti intellettuali come Ulrich von Hutten.

Accuse che fecero breccia nel ceto dei cavalieri, piccoli feudatari desiderosi di riscatto, a cui si unirono l’aristocrazia urbana più marginale e diversi gruppi della borghesia mercantile e rurale. Non fortuitamente la Dieta di Worms fu convocata da Carlo V d’Asburgo (1500-1558) per deliberare, con i principi elettori e le libere città, su cruciali nodi fiscali (a partire dal finanziamento degli eserciti imperiali). La “causa Lutheri” non era contemplata nella sua agenda iniziale. Solo l’enorme interesse pubblico da essa suscitato e il timore di disordini consigliò di affrontarla, fino all’emanazione dell’Editto che dichiarava il monaco un fuorilegge e vietava la lettura o il possesso dei suoi scritti.

Lutero morì il 18 febbraio 1546 nella cittadina in cui era nato nel 1483, Eisleben. I suoi antenati di linea maschile si chiamavano Luder, che può significare “carogna”, e ancora adesso non suona molto bene. Martin cambiò più tardi il suo cognome in Luther: così i suoi contemporanei vi associarono il significato di “onesto, puro” (lauter). Se la lotta contro il papato era stata la ragione della sua vita, anche la sua morte avrebbe dovuto costituire un atto di esemplare valore probativo. Il commiato del Riformatore fu quindi documentato in un resoconto certosino dai suoi discepoli, da cui risultava che il moribondo aveva ostinatamente ribadito il suo credo fino all’esalazione dell’ultimo respiro. Pochi mesi dopo la sua scomparsa, ebbe inizio la guerra progettata da Paolo III e Carlo V contro i principi protestanti che avevano aderito alla Lega di Smalcalda. Le ostilità durarono meno di un anno e videro la schiacciante vittoria dell’imperatore, che nella battaglia di Mühlberg fece prigioniero Federico di Sassonia (detto “il Saggio”), grande protettore di Lutero. Ma il protestantesimo di stampo luterano si sarebbe rivelato tutt’altro che sconfitto, sia sul piano poltico e militare che su quello dottrinario.

Back To Top