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Tria, la monetizzazione del debito e la riforma della Bce. L’analisi di Polillo

Le parole del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, analizzate da Gianfranco Polillo, ex sottosegretario al Mef e firma di Start Magazine

Quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, parla di monetizzazione del debito, richiama alla mente lontani episodi. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, si discute se il divorzio Banca d’Italia-Tesoro sia stata, allora, una cosa buona e giusta. L’operazione fu condotta dal Nino Andreatta, ministro del Tesoro. Una decisione solitaria che provocò un duro scontro politico in seno al governo. Il contrasto, specie con Rino Formica, allora ministro delle Finanze, divenne pubblico. E nacque il siparietto della lite tra il “commercialista di Bari esperto in fallimenti e in bancarotta”. Ossia lo stesso Formica, secondo l’articolo del Popolo a firma di Cavedon. Ed il dramma dell’Italia che aveva “una comare come Lord dello Scacchiere”. Nel senso dello stesso Andreatta, seconda la risposta di Formica. Con la conseguenza di determinare la fine del secondo governo Spadolini.

Prima del 1981, epoca della “separazione dei beni” tra le due istituzioni, la Banca d’Italia era costretta a sottoscrivere tutti i titoli emessi dal Tesoro per far fronte al dilagare della spesa pubblica. La presenza di questo “compratore obbligato” faceva sì che il finanziamento potesse avvenire a tassi di interessi manipolati. E, infatti, nel decennio precedente essi erano elevati a causa dell’inflazione, ma negativi in termini reali. La prima, in altre parole, era superiore al rendimento.

Così lo Stato finiva per rimborsare i propri creditori con moneta svalutata, godendo di un diritto di signoraggio, che gli derivava dal potere, seppure per il tramite di Banca d’Italia, di emettere moneta. Ecco cosa significa monetizzazione del debito. Si deve solo aggiungere che, allora, quella scelta era possibile solo grazie al ferreo controllo dei movimenti di capitali. Chi si recava all’estero per diporto poteva disporre solo di un milione e costretto a lasciare a casa il libretto degli assegni. Naturalmente le carte di credito ancora non esistevano.

Fu un bene o un male? Gli anni ‘70 furono quelli del “reciproco assedio”. Governi di coalizione che potevano reggersi solo grazie al compromesso con il Pci di allora. Ed il costo del relativo immobilismo non poteva che scaricarsi sugli equilibri di finanza pubblica. Banca d’Italia, in quella situazione, non aveva voce in capitolo. Era costretta solo ad acquistare quei titoli che non venivano collocati sul mercato, a causa di un tasso di interesse ritenuto troppo basso dai compratori. E così stampando moneta, con cui la stessa Banca acquistava i titoli in esubero, si finanziava l’eccesso di spesa. Le rimaneva solo il mugugno, che si esprimeva in tutte le Relazioni annuali del Governatore. E le ammissioni di impotenza per un impossibile rifiuto, che avrebbe assunto, come disse Guido Carli, il connotato della “sedizione“.

La scelta di Andreatta, concordata con il Commissario europeo Ortoli, determinò una svolta profonda nella politica italiana. Una lotta più decisa sul fronte del contenimento dell’inflazione. Ma, in compenso, il debito pubblico, che in precedenza si riduceva grazie al privilegio degli interessi reali negativi, cominciò a lievitare fino a sfiorare, alla fine degli anni 80, il 100 per cento del Pil. Dando origine alla leggenda metropolitana, tanto cara alla sinistra, secondo la quale quella sarebbe stata la principale eredità di Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio. Giudizio fuorviante per motivi diversi. Quella scelta, seppure avversata, contribuì a creare un clima diverso. E rendere possibile il successivo decreto di San Valentino, che riformò il meccanismo della scala mobile, contribuendo, ben più del divorzio, al più deciso contenimento del processo inflazionistico.

Quando Giovanni Tria propone la futura monetizzazione del debito italiano, grazie a un intervento della Bce, è sperabile che abbia riflettuto su questo lontano precedente. E tratto le necessarie conclusioni, superando le incertezze che ancora oggi accompagnano quel lontano episodio. Quelle difficoltà, soprattutto politiche seppure di segno contrario, oggi sembrano essere di gran lunga superiori. L’Europa, come si è detto, fu partecipe della decisione di Nino Andreatta. Abbiamo qualche dubbio che una simile circostanza possa ripetersi. Del resto lo stesso ministro riconosce che la premessa di tutto ciò è il cambiamento dello Statuto della Bce. Considerato il ritardo che si registra nella realizzazione dell’Unione bancaria, si tratta di qualcosa che va oltre l’ottimismo della volontà. Di cui c’è, comunque, un estremo bisogno.

Il titolare di Via XX Settembre merita, comunque, un’apertura di credito. Anche in vista di quanto potrà accadere nel day after dei risultati elettorali. La speranza è che abbia ragione. Per non correre il rischio che quella ipotetica proposta, per quanto elegante, non abbia contribuito ad alimentare nuove distrazioni nell’incerta linea dell’attuale governo.

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