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Uber, Flixbus e Airbnb. Un fisco 4.0 per le liberalizzazioni

Se le regole non sono uguali per tutti si rischia di creare equivoci e malcontenti. E la concorrenza paga il conto. Serve un Fisco 4.0: parla Stefano Quintarelli   I casi Uber e Flixbus pongono delle riflessioni. Ogni volta che si tenta di liberalizzare un settore, magari strategico nella vita di tutti i giorni, come nel caso in…

Se le regole non sono uguali per tutti si rischia di creare equivoci e malcontenti. E la concorrenza paga il conto. Serve un Fisco 4.0: parla Stefano Quintarelli

 

I casi Uber e Flixbus pongono delle riflessioni. Ogni volta che si tenta di liberalizzare un settore, magari strategico nella vita di tutti i giorni, come nel caso in essere, ovvero i trasporti, si innescano delle reazioni impreviste. Lo si è visto con la clamorosa protesta dei taxi, oppure con Flixbus, dove al primo cenno di apertura verso la startup tedesca, è subito scattata la tagliola al Senato, con un emendamento volto a imbrigliarne il business. Poi certo il Pd ci ha messo una pezza, impegnando il governo a rimuovere il provvedimento anti-Flixbus. Ma il segnale è comunque arrivato: certe liberalizzazioni in Italia non piacciono e per questo faticano ad attecchireStartmag ne ha parlato con Stefano Quintarelli, deputato dei Civici e Innovatori, promotore di leggi in materia di innovazione e pioniere dell’agenda digitale in Italia.

Un fisco 4.0 per aiutare le liberalizzazioni

stefano-quintarelli fintech
Stefano Quintarelli

“Credo che in Italia ci sia un problema di regole, che impedisce una certa accettazione di nuovi operatori che si affacciano sul mercato. Perchè il caso Uber dimostra una cosa. Se ci sono regole che consentono a qualcuno di saltare da una casella all’altra mentre tutti gli altri debbono farsi tutte le casella allora c’è qualcosa che non va”, spiega Quintarelli. “Penso per esempio al Fisco. In questo Paese non ci sono regole uguali, per il semplice motivo che non sono aggiornate. Bisogna che il Fisco si adegui al mondo dell’innovazione e ai suoi campioni, altrimenti si creano sfilacciamenti nella società: qualcuno paga le tasse, altri no e alla fine risulta difficile accettare nuovi player, con evidenti ripercussioni anche nel campo delle liberalizzazioni. Personalmente mi sono impegnato mesi fa con una proposta di legge (il ddl sulla sharing economy, ndr) per far pagare le tasse anche agli Otc, come Google”.

Uber, innovazione (oppure no?)

Quintarelli esprime tuttavia alcuni dubbi su Uber, in particolare sulla sua natura innovativa. “Non so se sia corretto definirla o meno un’innovazione. Ci sono molti altri servizi di questo tipo nel mondo. E anche in Italia non mancano servizi di questo tipo. Il problema non è questo”. Dunque, quale? “Semmai è quello di trovare una sintesi, un equilibrio tra le esigenze della gente, i loro bisogni e quelli dell’innovazione”. Quintarelli tiene a chiarire un concetto. “Uber non solo può non essere considerata innovativa, ma offre alcuni servizi irregolari. E questo l’ho detto chiaramente tempo fa al loro country manager. La verità è che senza regole persino i contrabbandieri potrebbero sembrare innovatori”.

Il caso Airbnb

AirbnbQuintarelli affronta poi un’altra questione, quella relativa ad Airbnb, la piattaforma online per prenotare case o alberghi, finita mesi fa al centro del dibattito.

Il governo voleva tassarla, salvo poi fare retromarcia. Ora il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, sembra averci ripensato. “Lo sa che a Singapore hanno vietato l’uso di Airbnb? Non bisogna arrivare certo a questo. Però non sarebbe più facile accettare questi soggetti se fossero messi alla pari degli altri?”. Nel 2015 Airbnb, tanto per fare un esempio ha pagato in Francia 83 mila euro di tasse, contro i 3,5 miliardi dell’intero settore alberghiero.

 

Licenze taxi, ci vogliono fino a 400 mila euro

Vale la pena comunque ricordare l’origine della protesta dei tassisti italiani, andata in scena nei giorni scorsi, fino all’accordo con il governo per la revisione delle norme pro-Uber inserite nel Milleproroghe.

La prima questione riguarda i soldi, parecchi. Chi decide di fare l’autista iscrivendosi alla piattaforma Uber,  nata a San Francisco sette anni fa non deve versare un euro. E’ tutto gratuito, l’azienda incassa solo dalle commissioni sul pagamento delle corse, rigorosamente online. Storia molto diversa per i tassisiti. La licenza non ha un costo fisso e varia da comune a comune, oscillando dai 25 ai 200 mila euro. Una licenza di taxi sul mercato di Milano e Roma oscilla tra 150 e 200 mila euro, poco meno a Napoli, ma a Firenze raggiunge anche i 350 mila e a Venezia tocca la cifra record di circa 400 mila. Inoltre non bisogna svolgere altra professione e occorre aver svolto la scuola dell’obbligo, oltre a dover esercitare nel comune di residenza. Tutti paletti che Uber non contempla. Di qui la discriminazione agitata dai tassisiti. Perchè consentire alle persone di fare lo stesso mestiere senza dover pagare la licenza?

Una disparità fiscale

E poi c’è la questione Fisco. Le differenze tra chi guida un’auto bianca e un noleggiatore sono molte a cominciare dal trattamento fiscale: i tassisti italiani, secondo l’Agenzia delle entrate, guadagnano 1.100 euro al mese, vale a dire meno di un metalmeccanico. A Roma la media dichiarata è di 1.150, a Milano di 1.200 euro. Il calcolo viene fatto in base agli studi di settore, ma non bisogna dimenticare i costi di gestione (manutenzione dell’auto, carburante e assicurazione). Un ncc, invece, paga le tasse in base a quanto fattura e pure qui, per esplicita ammissione di qualche noleggiatore, c’è una quota di nero, come in molte altre categorie. Il tassista ha una tariffa comunale (a Roma 97 centesimi a chilometro) più 2,80 euro di quota fissa di partenza (che varia in base all’orario), oltre ai supplementi per bagagli e numero di passeggeri. Per un noleggiatore, invece, il costo del viaggio deriva dalla libera contrattazione tra lui e il cliente.

25 anni senza regole

La madre di tutte le questioni è però la mancanza di una vera regolamentazione dei servizi di trasporto personale, alternativi ai taxi. Ovvero, al netto di Uber, gli Ncc. Venticinque anni fa con la legge quadro del 1992, il governo intervenne per regolamentare il noleggio con conducente. Salvo poi dimenticarsi di varare le norme attuative con cui mettere in pratica i dettami della riforma. E così, per esempio, a distanza di due decenni manca ancora la norma che obbliga gli Ncc a rientrare nella propria rimessa tra una corsa e l’altra. Una misura che i tassisti hanno sempre visto con favore, visto che in qualche modo costituisce un limite al numero di corse effettuabili da un Ncc ogni giorno, ma mai arrivata. Avrebbe dovuto occuparsene il Ministero dei Trasporti, con appositi decreti, tra cui quello contenente norme più stringenti su Uber. Ma alla fine non se ne è fatto nulla, perchè è entrato in gioco il Milleproroghe, che proprio oggi pomeriggio passa all’esame della Camera, dopo l’ok del Senato. Ci aveva provato nel 2006 anche l’allora ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani, con le sue lenzuolate: cumulo di licenze e della doppia targa, ovvero la facoltà di usare più di una macchina con la stessa licenza. Ma le proteste vinsero anche allora.

Flixbus, svista o sgambetto?

Da Uber a Flixbus, ma la storia non cambia molto. Durante la votazione finale del testo Milleproroghe, avvenuta il 23 febbraio 2017, è stato approvato un ordine del giorno di Capezzone, Corsaro e Bianconi, a cui si sono aggiunti Mazziotti e Boccadutri che impegna il Governo a sopprimere, con il primo provvedimento utile, le disposizioni contro Flixbus. Attenzione, l’odg approvato oggi non salva la startup tedesca, ma impegna il governo a farlo. “L’ordine del giorno impegna l’esecutivo a sopprimere, con il primo provvedimento utile, le disposizioni contro Flixbus introdotte durante l’esame del provvedimento in Senato. Credo che la prima finestra utile sarà con il ddl concorrenza, che è in discussione al Senato”, spiega a Startmag, Sergio Boccadutri, del Pd. Strada tutt’altro che semplice visto che in due anni di discussione (la legge sulla concorrenza è approdata in parlamento a marzo 2015) di stop&go ce ne sono stati fin troppi. Però secondo il deputato dem c’è speranza. “Ho appena saputo che Linda Lanzillotta (la senatrice del Pd che sta perorando la causa di Uber scatenando le ire dei taxi, ndr) ha chiesto la riapertura dei termini per la presentazione degli emendamenti al ddl Concorrenza. Mi pare un buon segno”.

Gianluca Zapponini

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