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Popolare Vicenza

Quanto costa salvare Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca

Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca sono salve, passeranno in mano ad Intesa San Paolo al costo simbolico di un euro. Ma la questione non è così semplice Popolare Vicenza e Veneto Banca passano in mano ad Intesa San Paolo. Da ieri le Banche del nord Est non esistono più: lo ha stabilito un decreto lampo…

Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca sono salve, passeranno in mano ad Intesa San Paolo al costo simbolico di un euro. Ma la questione non è così semplice

Popolare Vicenza e Veneto Banca passano in mano ad Intesa San Paolo. Da ieri le Banche del nord Est non esistono più: lo ha stabilito un decreto lampo del Governo, arrivato dopo che, giusto venerdì 23 giugno, la Bce aveva decretato il dissesto delle due Banche. Bankitalia ha annunciato anche i commissari liquidatori per i due istituti.

Il provvedimento di Palazzo Chigi prevede che Intesa rilevi le attività migliori delle due Banche per un solo euro, rafforzando così la sua presenza in Italia. Ma i numeri dell’operazione non sono solo questi. E allo Stato questa vendita costa molto più di un euro. Approfondiamo insieme.

La crisi delle Banche Venete

popolare VicenzaPartiamo dall’inizio e proviamo a capire perchè le Banche del Nord-Est sono in crisi. Tutto parte dall’America e dagli Usa, per la precisione, quando numerose persone hanno contratto un mutuo senza poterselo permettere, rimanendo indietro con le rate. La crisi d’oltre Oceano non ha toccato più di tanto le Banche Italiane, fino a quando questa crisi non si è trasferita ai debiti pubblici.

La paura che l’Italia non fosse più capace di rimborsare il suo debito pubblico, negli anni 2010-2012, ha travolto chi di questo immenso debito, è il principale acquirente: le banche italiane. Ma non solo. A contribuire alla crisi anche i finanziamenti concessi ad aziende che negli ultimi anni poi sono fallite senza riuscire a rimborsarli, o mutui concessi a famiglie che poi non hanno potuto rimborsare.

Inevitabilmente si è andati incontro ad una perdita. Accumulare perdite, per una Banca, però significa non garantire più la solidità dell’istituto. E allora per evitare il fallimento si chiede un aumento di capitale, cioè si chiede soldi agli azionisti emettendo nuove azioni. Ma gli azionisti non hanno dato disponibilità a finanziare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (come accaduto con Monte dei Paschi di Siena).

Il decreto “Banche Venete”

A farsi avanti per salvare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca è stata Intesa San Paolo. E il Governo con il decreto Banche Venete ha dato il via libera all’acquisto, mettendo in moto il processo di fusione con Intesa (le due banche, per ora, cambiano solo il brand). L’iter è iniziato venerdì, quando la Bce ha stabilito che i due istituti erano di fatto falliti e che non c’erano le condizioni di salvataggio secondo le regole europee perchè le banche sono troppo piccole (un salvataggio che avrebbe coinvolto correntisti sopra i 100 mila euro e gli obbligazionisti).

L’unica alternativa ad Intesa “era la liquidazione disordinata o il cosiddetto spezzatino che avrebbe completamente distrutto la capacità operativa delle due banche”, ha affermato in conferenza stampa il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

I commissari

Bankitalia ha annunciato chi saranno i commissari che si occuperanno della transizione. Per entrambe le banche è presente l’ex amministratore delegato di Popolare Vicenza, Fabrizio Viola.

Intesa San PaoloPer la Banca Popolare Vicenza, gli altri due commissari sono Claudio Ferrario eGiustino Di Cecco. Per Veneto Banca, sono Alessandro Leproux e Giuliana Scognamiglio. Ad Intesa, intendiamoci, passa solo la parte sana delle due banche. I crediti deteriorati che hanno affondato le due banche venete, infatti, peseranno sulle spalle dello Stato.

Il costo a carico dello Stato

Se Intesa San Paolo si aggiudica le due banche ad un euro, l’esborso a carico dello Stato sarà molto più oneroso e sarà pari a 5,185 miliardi (risorse che arrivano dal decreto salva-risparmio da 20 miliardi approvato a dicembre 2016).

Di questi, 4,785 miliardi serviranno per “finanziare le operazioni necessarie per mantenere la capitalizzazione e il rafforzamento patrimoniale di Banca Intesa a fronte dell’acquisizione”. I rimanenti andranno “a copertura delle garanzie per fronteggiare eventuali imprevisti legati al completamento della due diligence sullo stock di sofferenze”. Cosa significa? Che questi soldi serviranno a coprire eventuali buchi qualora, dalla verifica dei bilanci, emerga uno stock di crediti deteriorati maggiore del previsto.

A dirla tutta, però, l’ammontare complessivo delle risorse mobilitate dal governo è pari a oltre 17 miliardi.  Sì, oltre ai miliardi cui accennavamo prima, infatti, il Governo ha messo a disposizione garanzie per più di 12 miliardi, per gestire altri crediti deteriorati (di questi, 6,3 miliardi serviranno per i crediti che non risultino solvibili mentre alti 4 per i crediti solvibili che dovessero risultare ad alto rischio).

Quattromila esuberi

Se è vero che lo Stato ha stanziato denaro per limitare l’impatto della fusione sui dipendenti, è anche vero che il nodo da sciogliere più immediato riguarderà i quattromila esuberi che, secondo le prime stime, seguiranno all’incorporazione dei due istituti in Intesa. Ci sarà una razionalizzazione delle risorse, per evitare concentrazioni superiori a quelle consentite dalle regole sulla concorrenza: dovranno scomparire circa 600 sportelli.

Quattromila, invece, gli addetti in più. Si opterà per il prepensionamento.

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