La Cina continua a soffrire. Ora a pagare le spese è il settore manifatturiero. Nella lettura preliminare di luglio, il Purchasing Manager Index scende a quota 48,2, deludendo le attese degli analisti che aspettavano un livello di 49,7 punti. Si tratta del peggior risultato dall’aprile del 2014 quanto l’indice aveva raggiunto quota 48,1.
Elaborato da Marking Group, il Purchasing Manager Index valuta l’attività manifatturiera di un paese analizzando produzione, nuovi ordini, occupazione consegne e scorte. L’indice riflette la salute economica del paese: qualora l’indice si attesti sul valore di 50 punti è possibile parlare di crescita industriale, altrimenti, come in questo caso, si è davanti ad una contrazione del settore.
I nuovi dati mettono in ombra i dati diffusi dall’ufficio di statistica cinese secondo il quale nell’ultimo anno la produzione industriale del paese è cresciuta a giugno del 6,8%, migliorando il dato di aprile (5,9%) e quello di maggio (6,1%). Secondo le stime effettuate da Markit sulle letture preliminari dell’indice PMI, la produzione cinese sarebbe scesa ai minimi da marzo 2014, entrando perciò in una fase di recessione industriale – il sottoindice segna quota 47,3 punti. Sebbene l’occupazione cinese abbia registrato un miglioramento negli ultimi mesi, a preoccupare sono i dati relativi alle previsioni sui nuovi ordini, in sofferenza per via della concorrenza al ribasso dei paesi emergenti dell’area.
Come osserva l’economista di Capital Economics Julian Evans-Pritchard: «La lettura odierna del Pmi suggerisce che i recenti miglioramenti nell’impostazione della crescita possono essere stati compromessi questo mese da una domanda estera più debole». Altri invece sottolineano come i dati siano invece legati al calo dell’ottimismo nei confronti delle manovre correttive realizzate dal governo cinese nel mercato azionario a partire da giungo. Per arrestare il crollo al momento dell’esplosione della bolla, rassicurare i mercati sule proprie capacità e per prevenire rischi di contagio, la Banca Centrale cinese ha immesso ampia liquidità nel mercato azionario e introdotto il divieto per i grandi azionisti di vendere i propri i titoli. Misure efficienti nell’immediato, ma non sufficienti per rimediare ai grossi squilibri presenti nell’economia della Cina, abituata da anni a crescere a ritmi asfissianti.