L’avvento dell’Isis ha profondamente stravolto il Medio Oriente e dato l’avvio a un processo epocale di trasformazione dei confini e degli equilibri. Figlio di scelte fallimentari nella gestione del potere e delle tensioni presenti da secoli all’interno del mondo musulmano, il fenomeno ha una genesi complessa, non sempre di facile comprensione. Gianluca Ansalone, docente di Geopolitica presso Sioi, ci ha aiutato a sciogliere i nodi più importanti, facendo luce sugli aspetti ‘originali’, sulle cause che ne hanno contribuito la nascita e sui possibili sviluppi. L’intervista è stata divisa due puntate e vuole essere una breve guida per orientarsi agevolmente in uno dei temi più importanti di questo secolo, la riedizione del Califfato.
Qual è la novità di Isis rispetto a quanto visto in passato?
L’Isis è un fenomeno particolare in quanto permette per la prima volta a un realtà ‘asimmetrica’, non statale, come il terrorismo di fare un salto di qualità. Il terrorismo è un fatto antico ma mai nessuno lo aveva usato per dargli una dimensione sovrana trasformandolo in uno Stato. A differenza degli “stati mafia” visti in Europa che si innestavano su entità statuali preesistenti, l’Isis approfitta del processo epocale di scomposizione e ricomposizione delle frontiere geografiche che ha investito l’area mediterranea e il Medio Oriente, colmando un vuoto sia geografico sia politico.
Cosa ha permesso allo Stato Islamico di radicarsi ed espandersi?
Rispetto a quanto visto in passato, siamo di fronte a un fenomeno che suscita forte consenso e forte mobilitazione dal basso. Il radicamento che l’Isis ha potuto realizzare sul quel territorio è stato garantito da diversi motivi: indottrinamento teologico, opportunismo o la capacità di essere catalizzatore di un malcontento.
Da dove ha origine il fenomeno Isis?
Il fenomeno nasce dal “franchising” di al-Quaeda, in particolare dalla cellula presente in Iraq, dove si sono innestati negli ultimi anni degli elementi di revanchismo sunnita rispetto a enormi e madornali errori nella gestione del potere in Iraq e a una progressiva marginalizzazione dei sunniti in quell’area. Al Baghdadi, ricordiamoci, mette ai primi posti dei suoi proclami gli “apostati” sciiti e non l’Occidente.
Assegnando uno ‘stato’ ai sunniti presenti nell’area, Isis può essere visto come un fenomeno “positivo”?
Non lo considero positivo. L’Isis è piuttosto la rappresentazione evidente che in quell’area del mondo le frontiere geografiche com’erano state pensate al termine della prima guerra mondiale non reggono più. Difronte a questo processo di scomposizione e ricomposizione, lo Stato Islamico ha approfittato della mancanza di controllo sul territorio e di legittimità politica a cavallo tra Siria e Iraq per mettere la propria bandiera, stabilire la propria capitale, coniare la propria moneta. Il fenomeno Isis è destinato a cambiare, probabilmente a scomparire, ma è comunque il termometro di quanto sia iniziato un processo ben più ampio destinato, invece, a perdurare decenni. Se posso fare una previsione, quella carta geografica tra vent’anni non somiglierà minimamente a quella che vediamo oggi.
Quali scenari potremmo prevedere per il futuro?
Uno scenario di disgregazione e ricomposizione secondo delle faglie di carattere antropologico, confessionale e etnico. Quelle linee disegnate sulla sabbia alla fine della Prima Guerra Mondiale che hanno tenuto assieme realtà così diverse sono destinate a scomparire.
Quali saranno i nuovi equilibri?
Dipende da come gli attori in gioco in questo momento – Turchia, Arabia Saudita e Iran – modelleranno i loro rapporti nel prossimo futuro. Da lì capiremo quali nuovi stati si andranno a comporre e che tipo di alleanze si andranno a definire.
Ogni impero ha un baricentro politico. Qual è quello immaginato da Isis, La Mecca, Damasco, Gerusalemme?
Banalizzo. Non è stato ancora deciso. Non si capisce ancora dove si vuole arrivare. Ciò detto il progetto del Califfato è un progetto politico. E’ proprio la restaurazione del Califfato il punto di continuità con Al-Qaeda, differenze invece sono la forte la forte territorializzazione, la capacità attrattiva dei Foreign Fighters, la forte connotazione sunnita contro quella sciita che Al-Qaeda non mostrava in modo così marcato. Quello del califfato è progetto che può essere esteso a confini molto ampi. Nei proclami si estende da Roma all’Afghanistan, dove può arrivare questo è da testare.
Il fenomeno Isis sembra ribaltare la classica visione geopolitica immaginata dalla cultura islamica…
Il tentativo di trasformare la teologia in un processo di formazione statale è senza precedenti. Ci sono due aspetti da sottolineare, la divisione manichea del mondo e la capacità di essere attrattivi per i foreign fighters e dire “è qui la terra dell’Islam, è qui la terra della pace”. E’ qui che dovrete immigrare. Allo stesso tempo il progetto prevedere la destabilizzazione di quella che non è la terra d’Islam, e farlo da dentro. Dove c’è una comunità può essere lì il nucleo di qualcosa o qualcuno che si attiva. È stato significativo che nei giorni in cui è stato più alto il picco delle immigrazioni dalla Siria, lo Stato Islamico ha diffuso comunicati stampa ufficiali dicendo: attenzione commettete peccato se lasciate lo Stato Islamico e andate a cercare fortuna altrove. La perdita di manodopera per un progetto politico così ambizioso, e così fragile, è fondamentale. Fino a oggi il saldo è stato positivo, per ogni gerarca ucciso da un drone americano, vi sono stati migliaia di arrivi all’interno di quel territorio. L’emorragia in uscita delle scorse settimane sono iniziate le preoccupazione. Il tema del consenso resta un tema fondamentale. Bisogna sempre attrarre e mai portare fuori.
Prosegue: L’Economia del Califfato