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Isis Economia

Breve guida all’Isis. L’economia del Califfato, con Gianluca Ansalone

Come si finanzia l’Isis? E come spende i suoi soldi? L’abbiamo chiesto a Gianluca Ansalone docente presso Sioi. L’avanzata di Isis non sarebbe mai stata possibile senza un’adeguata pianificazione economica. La realizzazione di un progetto ambizioso come quello del Califfato richiede infatti enormi risorse finanziarie, la cui origine non è sempre chiara. Gianluca Ansalone ci…

L’avanzata di Isis non sarebbe mai stata possibile senza un’adeguata pianificazione economica. La realizzazione di un progetto ambizioso come quello del Califfato richiede infatti enormi risorse finanziarie, la cui origine non è sempre chiara. Gianluca Ansalone ci spiega al netto di dietrologie, come vengono gestite le finanze del Califfo al-Baghdadi e quale impatto abbia avuto Isis sulle economie dei paesi direttamente interessati. Per chi si fosse perso la prima parte dell’intervista dedicata alla genesi dello Stato Islamico può trovarla qui.

Come si finanzia lo Stato Islamico?

Sono tre fonti di sostentamento principali. Anche se… c’è tanta dietrologia riguarda ai finanziatori occulti, su questo non mi esprimo. Un po’ perché non amo le dietrologie, un po’ perché bisognerebbe portare le evidenze. C’è invece l’evidenza di un gigantesco traffico sotterraneo di petrolio. Il fatto che l’azione di presidio territoriale di Isis si sia rivolta soprattutto nell’Iraq del nord, nell’area di Mosul e di Kirkuk è data dal fatto che serve un canale privilegiato di finanziamento. Esiste ovviamente anche un mercato parallelo, e in questo caso la rete di connivenze è molto importante. Tuttavia l’avvento di Isis ha avuto un effetto marginale sul prezzo del petrolio, non indifferente, ma non così importante.

Oltre al petrolio…

C’è una seconda fonte. L’avanzata militare, in maniera molto sofisticata, il che dà l’idea della pianificazione del progetto, è stata accompagnata dal letterale depredamento di tutte le cassaforti legittime dello stato iracheno, a maggior ragione quando le banche sono le filiali di quelle centrali. In un’azione militare tradizionale probabilmente questo non sarebbe il primo obiettivo da occupare. Si occupano generalmente i tribunali, la tv di Stato, le vie di comunicazione, si occupano i pozzi.

Siamo a due, ne resta una…

L’altra voce di finanziamento molto importante si riferisce al traffico di antichità. Questa è una storia vecchia, già narrata da alcuni film come “Monuments Man” dove i gerarchi nazisti si impegnavano a trovare canali sotterranei per rivendere antichità di ogni tipo. Questa opera ha avuto nella prima fase di costruzione dello stato islamico un momento di assoluta esasperazione. Esistono foto satellitari che l’Unesco ha pubblicato, sin dal primo momento sul suo sito, a sei mesi dall’avvicinamento dello stato islamico, in cui si vede che la spianata di Palmira, che tutti abbiamo imparato drammaticamente a conoscere, ridotta a un colabrodo ad opera di tombaroli. Scavi assolutamente artigianali. In un certo momento c’è stato una sorta di liberi tutti dovuto all’assenza di controllo del territorio. Oggi, l’opera di trafugamento e di vendita prosegue ed è diventato probabilmente la seconda voce di bilancio dello Stato Islamico.

Isis palmira
Il sito archeologico di Palmira in due foto satellitari, prima e dopo dell’opera dell’intervento dei predoni.

Dove vengono venduti i reperti?

I reperti più agevoli vengono venduti sull’internet sommerso, quelli più strutturati vengono immessi su mercato parallelo assolutamente globale, che esiste da sempre. Finiscono spesso nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, oppure nelle mani di amatori o altre organizzazioni.

Quindi le opere non vengono solo distrutte…

C’è un duplice aspetto, uno superficiale, non perché meno importante, qualitativo: una nuova iconoclastia. Pensavamo si fosse interrotta con i budda di Bamiyan. Dietro l’iconoclastia, c’è una vera e propria economia parallela in cui il piccolo o grande reperto, recuperato da scavi artigianali, porta risorse importanti e soprattutto perché…. in grande quantità.

Come funziona invece l’imposizione fiscale nello Stato Islamico ?

C’è un doppio sistema di imposizione fiscale. Quello che viene esatto per la costruzione dello stato – ospedali, strade, scuole – è una forma di tassazione bassa ma uguale per tutti, e poi c’è parallelamente il sistema della zakat, noi la definiremo “aliquota proporzionale” e si riferisce alla capacità ci ciascuno di spendere e investire. Il sistema di tassazione funziona in quei territori in maniera abbastanza capillare.

Dove spende i soldi lo Stato Islamico?

Una buona parte degli introiti di Isis se ne va via per sostenere i miliziani, pagare lo stipendio, provvedere al vettovagliamento e dargli le armi. I costi militari dello Stato Islamico costituiscono realisticamente la metà della spesa pubblica.

Isis

Dai video diffusi tempo fa sembra che si investa parecchio anche sulla comunicazione e sui media center…

Lo Stato Islamico sa usare la comunicazione in maniera molto sofisticata e disinvolta. Dove prende le risorse umane? Lo fa esattamente come lo fa per una grande multinazionale. Esiste una piccola cellula di cyber combattimento che oltre a fare propaganda costante sui social network si tiene in contatto con i possibili reclutatori in varie parti del mondo. Quando il reclutatore scrive alla casa madre dicendo di aver reclutato un profilo, specifica anche quale tipo di profilo è stato trovato: “è un ottimo combattente”, “è uno che ha già combattuto in altre aree del mondo”, oppure “è mingherlino ma è un genio informatico” e così via.

Non per forza bisogna combattere al fronte…

Quello che generalmente chiamiamo foreign fighter non è detto che vada a combattere, è possibile che si sieda dietro a una scrivania del paese di origine o traferendosi in un media center sul posto.

Serve professionalità per fare questo…

I comunicatori non vengono necessariamente da Siria e Iraq, spesso vengono da fuori. E’ esattamente il profilo che noi facciamo corrispondere al giovane educato, istruito, cresciuto in Occidente, particolarmente capace a utilizzare i mezzi di comunicazione.

Sui social network proliferano profili inneggianti al Califfato. Come ci comportiamo sul piano dell’intelligence?

Se ci mettiamo sul piano dell’intelligence i canali devono essere lasciati aperti. La profilazione e il monitoraggio di quello che passa sui social network è un elemento prezioso per capire tendenze, spinte e mosse militari concordate o pianificate. Ci sono su Twitter circa 1900 profili direttamente rapportabili alla disponibilità dello Stato Islamico, controllati direttamente con dei messaggi dall’alto. Non sono poi così tanti. Basti pensare che al Pentagono c’è un cyber commando di 9000 soldati

Su altri piani invece?

Sul piano “politico”, di carattere più generale, la mia opinione è che si può e si deve combattere sui social network. In che modo? Sicuramente non propaganda contro propaganda.

Isis ha una grande attrattiva, soprattutto sui giovani. Come ci riesce?

C’è da un lato una capacità attrattiva legata all’aspetto teologico apocalittico, è iniziato il grande scontro finale non dobbiamo ricostruire il Califfato e distruggere per sempre gli apostati sciiti. Dall’altro c’è una capacità attrattiva, dà una prospettiva di vita. Hai visto i video di propaganda? Sembrano dei trailer cinematografici, danno l’idea di una vita avventurosa. Se guardi un video prodotto dai Marines americani per il reclutamento, dove si prospetta una vita in cui giri il mondo, difendi la bandiera e l’onore della patria… i video dell’Isis giocano esattamente sul medesimo sentimento.

Da dove arrivano i combattenti di Isis?

Se prendi il numero assoluto dei foreign fighters, la stragrande maggioranza arriva dalla regione, soprattutto Siria e Iraq, ma anche Giordania, Tunisia, Egitto, Marocco. Se si dovessere fare la proporzione tra il numero di persone che sono andate a combattere extra-Medio Oriente e la consistenza della comunità islamica, su cento islamici presenti in una città come Oslo… i numeri sono mostruosi. Al primo posto come procacciatore di Foreign Fighters a livello mondiale c’è la Danimarca, al secondo l’Australia al terzo la Norvegia, al quarto il Belgio, al quinto la Francia. Il tasso medio è e circa lo 0,6% per ogni comunica islamica. Si tratta di un dato sconvolgente che spinge a riflettere su quel tema gigantesco che è l’integrazione.

Lo Stato Islamico ha un’attrattiva globale… diversi paesi del sud est asiatico sono a maggioranza musulmani…

Anche nel caso di paesi che non guardiamo l’Isis è avvertivo come una pericolo. Il caso più eclatante è quello del Balgladesh dove ci sono reti legate allo stato Islamico e al network globale salafita, legami particolarmente forti. C’è una galassia che spaventa moltissimo i paesi dell’area de sud est asiatico che hanno delle maggioranze musulmane.

Che ruolo giocano invece i singoli cittadini e organizzazioni di carità?

La grande difficoltà sta nella tracciabilità del grande flusso monetario, i versamenti possono avvenire anche in BitCoin. Il problema generale, presente già al momento di Al-Qaeda quando si è parlato delle fonti di finanziamento per l’attentato dell’11 settembre, è la grande opacità dei flussi finanziari e dell’impiego delle ONG. Il singolo cittadino decide di fare una donazione per una vera causa che egli stesso ignora, perché di superficie: aiutiamo i figli dei nostri fratelli nei Balcani.

A proposito dei Balcani…

I Balcani sono un alto punto ‘debole’ al quale guardare con grande attenzione. Si riaffaccia l’instabilità come dimostra la proliferazione di piccoli “narcostati”. E… l’affermarsi di un radicalismo fortissimo, in stati come Bosnia Erzegovina, Kossovo e Albania.

Il Caucaso è una grande terra di confine…

Anche il Caucaso. Putin percepisce l’Isis come un pericolo epocale, che minaccia la stabilità interna. Lo stesso Putin, citando fonti interne, ha dichiarato che sono circa 9000 i caucasici che combattono per lo stato islamico. Potrebbero a un certo punto tornare indietro. Il che potrebbe essere un grande problema.

E a breve ci saranno i mondiali…

In quell’anno Putin si giocherà la rielezione…

L’Italia che ruolo gioca?

Ci utilizzano come una piattaforma logistica per il reclutamento. Per quanto riguarda i rischi, non sono diversi da quelli che corrono altri paesi europei.

Il fenomeno del terrorismo è cambiato oppure no? Vedi i fatti di Parigi…

Il fenomeno dei lupi solitari abbiamo iniziato a scoprirlo con Al-Qaeda, il cane sciolto indottrinato e radicalizzato con lo stato Islamico si è esasperato perché si è rafforzata la componente che possiamo definire “apocalittica”. Ricordiamoci Londra e Madrid.

Che incidenza ha invece avuto Isis sui paesi coinvolti?

L’arrivo di Isis i questi paesi ha dato una spallata a un sistema economico già fragile, inefficiente e non sarà facile per lo Stato Islamico costruire un sistema produttivo degno di questo nome. Per quanto riguarda invece i paesi della regione qualcuno, come accade sempre, c’è chi ha perso e chi guadagnato.

Chi ci ha guadagnato?

Hanno guadagnato quei paesi che in maniera formale si sono posti a tutela e ad argine dello Stato Islamico. Non c’è dubbio che l’accordo epocale tra Usa e Iran sul nucleare è una conseguenza dell’avanzata dello Stato Islamico e costituisce un argine fondamentale e presto diventerà un grande beneficio economico.

E perso invece?

Perso hanno invece quei paesi che non sono riusciti a tenere sotto controllo la situazione. Questo è il caso dell’Arabia Saudita. Ha perso terreno, non necessariamente perché ha giocato di ambiguità. Gli si imputa, da Washington soprattutto, di non essere stata capace di saper tenere in ordine e sotto controllo il proprio “cortile di casa”. Preso atto di questo, è cambiata totalmente la strategia e si è cercato quell’argine ‘ideale’ che invece è stato naturalmente trovato nell’Iran. Rapporto tiepido, destinato però a riscaldarsi.

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