Corteggiata a lungo, per ammissione dello stesso ministro del made in Italy, Adolfo Urso (che ha incontrato il presidente Gu Yifeng ancora lo scorso luglio), dal governo italiano, e già presente da tempo nel nostro Paese sebbene “sotto mentite spoglie” dato che i suoi motori e le sue vetture percorrono le strade italiane sotto il marchio di dr Automobiles Groupe – nei cui stabilimenti si era recato l’onnipresente Matteo Salvini ad apporre l’imprimatur sovranista: “La dr Automobiles Groupe è un’azienda straordinaria perché già fare impresa in Italia è cosa notevole vista la burocrazia, farlo in Molise vale doppio” (non la pensa però così l’Antitrust che sul far dell’estate ha sanzionato per 6 milioni di euro il marchio reo di indicare come italiane auto made in China) -, Chery in un primo tempo sembrava aver preferito la Spagna anche se nelle ultime ore ha di fatto rivelato di non aver mai cessato il dialogo con l’esecutivo italiano.
CHERY APRIRÀ UN IMPIANTO IN ITALIA?
Le voci sono nuovamente rimbalzate questa volta a latitudini ben distanti dalle nostre, a Wuhu, dove il marchio cinese ha il suo quartier generale e ha appena tenuto la propria Chery Global Innovation Conference 2024, un evento in grande stile pensato per i clienti ma soprattutto per attrarre nuovi investitori.
Un evento, soprattutto, che rimarca le differenze rispetto all’industria dell’auto Occidentale: mentre Volkswagen e Stellantis si leccano infatti le ferite causate da una crisi che sembrano non essere riuscite né a prevedere né a interpretare e affilano le cesoie per la spending review, le cinesi parlano di investimenti e piani di espansione.
COSA HA DETTO IL CEO DI OMODA E JAECO
Shawn Xu, amministratore delegato dei marchi Omoda e Jaecoo, nati nel 2024 proprio con l’obbiettivo di aggredire il mercato europeo, ha ammesso che il gruppo Chery è in una fase attiva di negoziati per aprire un centro di progettazione in Italia.
Ai microfoni di Quattroruote ha infatti detto: “Vogliamo essere molto forti in Europa: abbiamo già una fabbrica in Spagna e lì, a fine anno, avvieremo la produzione locale della Omoda 5. Per la versione elettrica cominceremo nel 2025, perché avremo bisogno di fare anche le batterie in Europa per evitare i dazi, ma gli impianti per le batterie richiedono tempi lunghi per essere allestiti. Di sicuro – ha poi aggiunto -, quanto abbiamo fatto in Spagna non è abbastanza, quindi l’Italia è una delle candidate per una seconda fabbrica”.
Xu ha confermato le voci circa un centro di progettazione da aprire nel Bel Paese: “Puntiamo ad aprirlo molto presto. Abbiamo piani per una sede con un numero significativo di addetti, circa un centinaio all’inizio, ma poi saranno molti di più: in Italia ci sono molte competenze ingegneristiche, ma anche e soprattutto nel campo del design. Siamo attualmente in una fase di trattative e posso confermare che tra le alternative è in considerazione l’area di Torino”.
I PIANI DEL MARCHIO DI WUHU
Ma Chery ha piani ben più ambiziosi, a partire dalla messa in vendita della prima generazione di batterie allo stato solido con marchio proprietario, che arriverà sul mercato pare nel 2026 e sarà in grado di garantire – secondo le roboanti promesse – un’autonomia elettrica di 1.500 chilometri.
Nel mentre, già l’anno prossimo Chery è pronta a far debuttare una nuova cella sviluppata internamente, di formato cilindrico e dimensioni molto più grandi rispetto a quelle attualmente sul mercato che, grazie alla sua densità d’energia di 310 Wh/kg, secondo gli ingegneri cinesi garantirà percorrenze comunque di pregio, fino a 1.200 chilometri.
INVESTIMENTI IN TUTTI I CAMPI
Ma ciò che sorprende, specie avendo qua in Europa come esempio la sfortunatissima sinergia tra Volkswagen e la divisione software Cariad responsabile (almeno a detta della dirigenza di Wolfsburg) dei tanti rinvii del marchio nel settore della mobilità elettrica (tra cui l’altisonante progetto Trinity, vittima di continui rinvii), è la portata tecnologica delle auto cinesi.
Yin Tongyue, amministratore delegato del gruppo che in patria sforna 60mila vetture elettriche al mese (in Europa naturalmente si veleggia su tutt’altri numeri: Chery finora ha venduto 3mila auto e l’obiettivo per il 2024 è arrivare a cinquemila) e che a livello mondiale ha piazzato 1,75 milioni di macchine da gennaio a settembre, ha rivelato che una grossa parte degli investimenti destinati al reparto R&D è già dedicata a intelligenza artificiale, cloud computing, robotica e blockchain. I cinesi, insomma, non si limitano a proporre auto elettriche a buon mercato, ma vogliono puntare tutto sulla tecnologia.
LA PROFEZIA DI JEREMY CLARKSON
È con lo spettacolo fatto di luci, suoni, promesse roboanti e numeri soverchianti di Chery ancora negli occhi e nelle orecchie che le recenti parole di Jeremy Clarkson, uno dei più affermati giornalisti nel settore dell’auto, paiono pesanti come macigni.
L’istrionico giornalista del settore, reduce dalle fatiche dell’ultima puntata di The Grand Tour One For The Road, ha commentato la crisi dell’auto europea dalle colonne del Times. Naturalmente a modo suo: “Il problema – ha scritto – è iniziato quando tutti i politici in Europa hanno deciso che il cambiamento climatico sarebbe stato fermato solo se le classi medie fossero state convinte a guidare auto elettriche. Quindi hanno tutti annunciato che dal 2030 sarebbe stato illegale vendere auto con motori a benzina o diesel”.
“Comprensibilmente – ha proseguito Jeremy Clarkson – Volkswagen ha allora deciso che per capitalizzare questo cambiamento sismico che riguarda il modo in cui ci muoviamo tutti, avrebbe dovuto investire tutti i suoi soldi in una nuova gamma di auto elettriche arrivata però sul mercato più o meno nello stesso periodo in cui si sono resi conto che le vetture alla spina non fossero molto comode perché ci volevano ore per ricaricarle e comunque non c’erano abbastanza punti di ricarica dove poterlo fare”.
A quel punto, ha spiegato sempre l’ex volto di Top Gear e The Grand Tour, “VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. Ma questa sarebbe solo una parte del problema: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa. Ora potresti dire che tutti preferirebbero di gran lunga avere una Volkswagen piuttosto che una scatola alimentata a batteria di un’azienda chiamata BYD. Ma mi chiedo: se tu vuoi un’auto elettrica significa che non sei realmente interessato alle auto in senso storico. Tutto ciò che vuoi è un prezzo basso e una lunga autonomia. E BYD offre questo”.