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Perché il motore di Tesla tossisce

Gli Houthi nel Mar Rosso e l'incendio alla gigafactory alle porte di Berlino alla base della trimestrale luci e ombre di Tesla, che riesce a risorpassare Byd. Ma il rischio è che le cause siano più profonde e connesse a quella guerra dei prezzi scatenata da Musk ma che starebbe avvantaggiando solo i marchi cinesi

Un dato positivo, in una trimestrale altrimenti parecchio fosca, c’è: essere tornata a sfornare più auto elettriche della rivale cinese Byd, che aveva sorpassato la Casa di Elon Musk a fine anno. Ma si tratta solo di aver segnato il cosiddetto punto della bandiera che non contribuirà a far tornare il buonumore dalle parti di Austin, in Texas, dove Tesla ha sede o da quelle dell’azionariato, come prova il tonfo borsistico.

I TAGLI ALLA PRODUZIONE CINESE

Che il crollo della domanda che ha convinto la maggior parte dei grandi marchi, statunitensi ed europei, a rimangiarsi i propri ambiziosi piani industriali in fatto di mobilità elettrica avesse travolto anche la produzione di Tesla era ormai ben chiaro persino prima dei dati dell’ultima trimestrale.

Alcune settimane fa  indiscrezioni dell’agenzia di stampa Bloomberg riportavano di un inedito taglio dei turni nel maxi stabilimento di Shanghai, fiore all’occhiello della produzione del marchio statunitense (che Musk aveva fatto di tutto per non chiudere nemmeno durante i lockdown per Covid), passato da sei giorni a cinque.

LA TRIMESTRALE LUCI E OMBRE DI TESLA

La trimestrale con cui Tesla saluta il 2024 mette tutto nero su bianco. Tra gennaio e marzo sono state consegnate 386.810 vetture, vale a dire l’8,5% in meno rispetto alle 422.875 unità del medesimo periodo dello scorso anno che diventano oltre il 20% in meno se si prende in considerazione il quarto trimestre del 2023. Gli analisti stimavano consegne per circa 460 mila unità.

Quanto ai dati sulla produzione, anch’essi risultano leggermente affievoliti: Tesla ha sfornato 433.371 vetture, registrando un calo dell’1,7% sui primi tre mesi del 2023 (-12,45% sul quarto trimestre scorso), comunque più della rivale d’Oltreoceano Byd che ha assemblato 291.730 elettriche, (l’8,93% in più). Occorre dire che anche se Byd si è fermata a 300.114 vetture consegnate contro le oltre 386mila di Tesla, l’azienda cinese ha registrato una crescita del 13,4%.

DAGLI HOUTHI AGLI AMBIENTALISTI

Si intuisce insomma perché la Borsa, di fronte a una simile trimestrale, abbia immediatamente fatto virare il barometro di Tesla verso il maltempo, con un tonfo superiore al sei per cento. La presenza degli Houthi nel Mar Rosso e l’incendio alla gigafactory di Berlino spiegano solo fino a un certo punto – è il sospetto degli analisti – questi numeri ribassati rispetto alle attese.

LA GUERRA DEI PREZZI E LA DIETA IN BORSA

La trimestrale nera di Tesla potrebbe insomma dipendere anche da altre ragioni, a iniziare da quella guerra dei prezzi voluta a tutti i costi dallo stesso Elon Musk nel tentativo di distanziare di diverse lunghezze le rivali asiatiche.

Una guerra che, a giudicarne le conseguenze, ha finito però per indebolire soltanto il marchio texano. Ecco insomma perché il titolo dal primo gennaio a oggi ha subito una dieta dimagrante che lo ha portato a smagrirsi del 33%, lasciando sul terreno oltre 200 miliardi di dollari.

BYD INCHIODA (MA ARRIVA IN EUROPA)

E se le  Bev marchiate Byd sono crollate del 43% rispetto alle 526.409 unità vendute nel quarto trimestre del 2023, c’è da tenere in considerazione che la Casa di Shenzhen sta per colonizzare il Vecchio continente, dove la domanda di auto elettriche è modesta ma finora era un mercato in cui regnava solo Tesla. Inoltre, non è il solo avversario da cui Musk deve guardarsi, come dimostrerebbe l’ottimo debutto di Xiaomi, che ha appena fatto debuttare la sua prima quattro ruote.

POI C’È XIAOMI (E NON SOLO)

Speed Ultra 7 surclassa almeno su carta la rivale statunitense. La sua tecnologia a 800 Volt, almeno secondo quanto dichiarato dalla casa madre, consente di ricaricare 220 km in cinque minuti e 390 in soli 10 minuti (la Tesla Model S nello stesso lasso di tempo ne incamera 225). La batteria è prodotta dalla connazionale Catl e ha una capacità sfruttabile di 101 kWh, per un’autonomia dichiarata di ben 800 km, il 10% in più rispetto alla già citata Model S (715 km).

Non sappiamo se le prestazioni vantate corrispondano o meno al vero. Di certo però la nuova auto elettrica di Xiaomi è offerta a meno di 30.000 dollari per il modello base, più economico del Model 3 di Tesla in Cina.

Venerdì la società nota finora per i device hi-tech ha dichiarato di aver ricevuto circa 90mila preordini (per la precisione 88.898) per la sua prima auto elettrica in appena 24 ore di messa in vendita: una cifra che, considerando la capacità produttiva iniziale annua di 150.000 vetture, indica il sold out per l’anno in corso.

Se a tutto ciò si aggiunge che Xiaomi non è il solo marchio cinese che può impensierire Tesla si comprende perché per Musk le preoccupazioni siano appena iniziate e questa trimestrale ben rappresenta le incognite e gli interrogativi presenti nella sua testa. Ma anche in quelle degli innumerevoli azionisti.

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