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Musk tesla Cina taiwan

L’aria troppo elettrica tra Cina e Taiwan preoccupa Tesla

Le auto elettriche di Elon Musk potrebbero finire travolte dalle tensioni geopolitiche in Asia. E così Tesla chiede ai fornitori giapponesi e coreani di prevedere piani B rispetto alle loro filiere che passano per Cina e Taiwan.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato al mondo (soprattutto ai francesi di Renault, tra le aziende più esposte a Mosca, ma pure Stellantis ha dovuto leccarsi le ferite) che la filiera mondiale dell’auto ha sì i suoi pregi in tempo di pace, quando cioè permette agli imprenditori di localizzare dove la manodopera costa meno, ma ha notevoli svantaggi tutte le volte in cui aumentano le tensioni geopolitiche. Nei giorni in cui la Cina circonda militarmente Taiwan spedendo quattro navi della guardia costiera cinese nelle “acque limitate” di due isole taiwanesi (l’ottavo incidente simile nel mese, denunciano da Taipei), il patron di Tesla Elon Musk ha preso carta e penna per chiedere ai fornitori di trovarsi alternative nella propria filiera.

TUTTE LE FRIZIONI GEOPOLITICHE CHE AGITANO MUSK

Secondo quanto riporta la testata giapponese Nikkei, che in merito ha sentito persone che lavorano all’interno della supply chain della Casa texana, Tesla starebbe richiedendo ai propri fornitori di tecnologia (circuiti stampati, display e sistemi di controllo elettronici) e in particolare a quelli localizzati in quell’area del mondo (per esempio le aziende nipponiche, potenziali fonti della soffiata ricevuta dal quotidiano giapponese) di iniziare a produrre componenti fuori dai confini della Cina e di Taiwan a partire già dal prossimo anno.

PER TESLA LA CINA NON È PIÙ COSÌ VICINA (PER COLPA DI TAIWAN E USA)

Un vero e proprio dietrofront rispetto a quanto sembrava prospettare il recente viaggio di Musk in Cina motivato non solo dalle crescenti ambizioni territoriali di natura imperialistica della Cina (viene fatto notare dai commentatori che la lettera è stata scritta e inviata prima delle ultime manovre ai confini con Taiwan, tuttavia è comunque vero che non sono le prime dell’anno e la tensione tra i due Paesi si è progressivamente alzata negli ultimi anni), ma anche e soprattutto dai dazi voluti dal presidente americano Joe Biden contro la tecnologia cinese.

IL PRECEDENTE CHE HA COLPITO SOPRATTUTTO BMW

Se a tutto ciò si aggiunge il recente incidente amministrativo in cui sono incappate alcune Case automobilistiche europee che esportano negli Stati Uniti (le tedesche Porsche, Bmw e Audi e la britannica Bentley) che si sono viste bloccare alla dogana americana migliaia di modelli che montavano componenti cinesi vietati negli States, si capisce che il rischio per chi intrattiene esclusivamente rapporti commerciali con la Cina si fa sempre maggiore.

E potrebbe crescere ulteriormente dopo le elezioni americane di novembre. Il mondo che si sta plasmando, nuovamente diviso in blocchi, non favorisce più la globalizzazione come pure aveva fatto fino a ora e gli imprenditori devono correre ai ripari, accorciando dove è possibile le proprie linee di produzione.

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