Non è certo un periodo facile per l’auto elettrica, tra presunte bolle e fallimenti a catena di startup nate come funghi attorno alla rivoluzione della transizione ecologica. Persino chi è già instradato, come Rivian, in cui avevano scommesso Ford e Amazon, ora deve fare da sé e affrontare un mercato che di colpo s’è fatto periglioso. Ma c’è anche chi ostenta sicurezza. È il caso del marchio semisconosciuto Fisker (aveva fatto notizia per aver vinto l’appalto per la realizzazione della Papamobile elettrica), fondato da Henrik Fisker (car designer danese naturalizzato statunitense con un passato in BMW e Aston Martin) e da sua moglie Geeta Gupta-Fisker sulle ceneri di un’altra società che non aveva avuto un bel destino: la Fisker Automotive.
FISKER UNA POSSIBILE ANTI TESLA?
Si tratta di una startup che, al pari di molte altre (come la stessa Rivian), avrebbe dovuto debuttare negli anni della pandemia e ha dovuto sopportare prima il blocco della circolazione e poi la lenta, lentissima ripresa del settore dell’automotive, acciaccato dalla guerra dei chip prima e dal conflitto russo in Ucraina nel momento immediatamente successivo.
La prima vettura di serie denominata Fisker Ocean, da qualche mese omologata anche per l’Europa, era stata presentata in anteprima al Consumer Electronics Show 2020 di Las Vegas e aveva inoltre un’anima tutta italiana, dato che il prototipo era stato costruito qui in Italia dalla torinese Italdesign Giugiaro.
I PIANI PER NON ACCARTOCCIARSI (DI NUOVO)
Nei piani di Fisker l’intenzione di fare concorrenza ai marchi cinesi anche con la seconda auto elettrica proposta: Pearl, un SUV low cost sui 30mila dollari, diecimila in meno del modello base del precedente.
Ma, soprattutto, il progetto di far costruire le proprie auto da altre Case. Fisker ha infatti comunicato di avere avviato trattative con “cinque aziende automobilistiche tradizionali” per assicurarsi una capacità produttiva supplementare in grado di sostenere il lancio di nuovi modelli. “Abbiamo due vetture che sono quasi pronte”. Questi i virgolettati che Reuters ha raccolto sentendo il fondatore e amministratore delegato Henrik Fisker. “Siamo in grado di portarle sul mercato velocemente, abbiamo solo bisogno della capacità”. E in effetti finora Fisker è piuttosto indietro con la Ocean, avendone prodotti appena cinquemila esemplari, con interruzioni alla catena di montaggio per via delle ben note difficoltà d’approvvigionamento che stanno interessando l’intero comparto automotive.
Interessante quindi la strategia del marchio, startup ma con un Ceo non di primo piano, di ‘delocalizzare’ la produzione a terze parti per non correre il rischio di fare la fine di tante altre Case appena nate, morte in culla per non essere riuscite a stare dietro alle commesse, sommerse dai debiti per aver speso tutto nell’acquisto e nell’affitto di capannoni e macchinari.