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Corriere

Autoscontro fra Corriere e Repubblica su Stellantis e non solo

Repubblica del gruppo Gedi-Exor sottolinea i sostegni pubblici di Pechino ricevuti negli ultimi anni dalle case automobilistiche cinesi. Il Corriere della sera (editore Cairo) con Gabanelli spiattella gli aiuti statali ricevuti da Fiat e Stellantis. Tutti i dettagli

Le auto elettriche non hanno un serbatoio, eppure ingoiano denaro pubblico con la stessa voracità con la quale una fornace delle vecchie macchine a vapore ingoiava carbone. Soprattutto in Cina, dove il Partito comunista ha sì abbracciato il libero mercato rigettando però i principi liberali e conservando propaggini in ogni azienda privata.

LA QUERELLE TRA BRUXELLES E PECHINO

La questione è stata sfruttata da Bruxelles per imporre nuovi dazi sulle auto elettriche cinesi. Il principio è questo: i trattati Ue identificano tali sostegni pubblici alle aziende private quali aiuti di Stato e, in linea di massima, li vietano alle imprese nostrane (esistono comunque sussidi, incentivi e altri modi per aggirare il divieto, le cui maglie si allargano nei casi di asset industriali considerati strategici, come per esempio i chip).

Quindi se una azienda cinese, foraggiata da soldi pubblici, si ritrova a competere con una europea, che ha dovuto fare da sé, saremmo davanti a un caso di concorrenza sleale, perché la prima potrà applicare prezzi anti-economici mentre quella europea al più potrà provare a ridurre in margini (lo stanno facendo tutte licenziando).

I DAZI EUROPEI CASA PER CASA

Secondo quanto si apprende, l’Ue intende tassare alla frontiera le auto cinesi di Byd, che con l’americana Tesla si contende la palma d’oro di aziende che sforna annualmente più vetture alla spina, con un dazio supplementare del 17,4%.

Percentuale che con Geely sale al 20% fino ad arrivare al 38,1% di SAUIC. Xpeng, Nio, Leapmotors, Great Wall, Chery, Aiways, Voyah, Seres e le numerosissime joint venture tra aziende cinesi e le omologhe cinesi BMW Brilliance, Faw-Toyota, Faw-Volkswagen, Audi-Faw, Dongfeng Peugeot Citroën Automobile o Dongfeng Honda saranno gravate da un extra del 21%.

Queste percentuali sono state calcolate sulla base dei sussidi ricevuti ma, soprattutto, sulla collaborazione dimostrata quando i vari marchi sono stati interpellati dai funzionari dell’Unione europea. Molti hanno preferito ignorare mail e sollecitazioni, altre Case del Dragone (specie quelle che hanno già un piede in Europa) qualche dato l’hanno consegnato.

QUANTI SOLDI PUBBLICI HANNO PRESO LE AUTO ELETTRICHE CINESI?

Non è dato sapere quanti soldi pubblici siano finiti realmente in pancia alle auto elettriche cinesi. Esistono solo stime, ovviamente occidentali, che Pechino smentisce. Per il Center for Strategic and International Studies di Washington tra il 2009 e il 2023 il totale supererebbe i 215,7 miliardi di euro, cifra che, se espressa in dollari, è ancora più impressionante: 230,8 miliardi.

Per avere un secondo termine di paragone, annualmente lo Stato italiano vara manovre di circa 20 miliardi. Qui si parla di 215 miliardi che sono finiti solo nella ricerca e sviluppo dei gruppi automobilistici cinesi. E dato che solo poche decine di anni fa nel Paese ci si muoveva esclusivamente in bicicletta mentre adesso parliamo del principale mercato dell’automotive, tali stime potrebbero essere veritiere.

STIME FIN TROPPO PRUDENZIALI

Occorre tenere in considerazione che il Center for Strategic and International Studies nell’elaborare le sue stime ha lasciato fuori gli aiuti decisi a livello municipale, come i programmi varati da Shanghai o Shenzhen per combattere l’inquinamento che un tempo faceva sì che le due città fossero perennemente ammantate dalla fuliggine.

Allo stesso modo, non finiscono nel novero le misure per le concessioni dei terreni a basso costo per la realizzazione delle fabbriche, le tariffe energetiche agevolate, i bassi tassi di interesse sui prestiti bancari, l’acquisto di azioni dei costruttori da parte di enti pubblici e i numerosissimi aiuti a favore della catena di approvvigionamento, tra cui compagnie minerarie, società chimiche o produttori di batterie.

Al di qua dell’oceano i dati a disposizione del il Kiel Institute confermano le stime statunitensi: si parla di 220 milioni di euro solo nel 2020, saliti a mezzo miliardo nel 2022 e che hanno oltrepassato i 2 miliardi nel 2023. Anche in questo caso l’istituto avverte che le cifre “sottostimano chiaramente la reale portata dei sussidi per le tecnologie verdi in Cina”.

Mentre Repubblica dà ampio spazio alla ricerca statunitense (enfatizzando ulteriormente la portata della ricerca sparando a tutta pagina i sussidi in dollari, anziché in Euro) il Corriere della Sera punzecchia il quotidiano capitolino, ricordando i numerosi aiuti di Stato che si sono visti a latitudini e longitudini a noi più affini: ovvero tutti i soldi pubblici finiti nel serbatoio di Fiat, marchio oggi in Stellantis, controllato da Exor, che controlla anche Repubblica attraverso il gruppo Gedi.

COSA SCRIVONO SUL CORRIERE SUGLI AIUTI DI STATO A FIAT E STELLANTIS

“È noto – si legge nel DataRoom odierno curato da Milena Gabanelli – che nella fase Fiat il gruppo ha potuto contare su un’ingentissima quantità di fondi pubblici. Interi stabilimenti al Sud sono stati costruiti con risorse di Stato (Melfi, Termini Imerese). Impossibile ricostruire quanto è stato dato in valore assoluto, e tantomeno le contropartite. Presso i ministeri competenti le carte non si trovano”, viene annotato.

“Secondo un’indagine condotta da Davide Bubbico, docente di sociologia economica dell’università di Salerno, partendo dai contratti di programma siglati spesso con il Cipe, tra il 1990 e il 2019 (includendo anche Magneti Marelli, Iveco e Pwt) il complesso dei contributi ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro, a fronte di poco più di 10 miliardi di investimenti dichiarati.” Su Start è possibile trovare diversi dettagli aggiuntivi.

E STELLANTIS RICEVE ANCORA SOLDI PUBBLICI?

Ancora “nel 2020, nel pieno della pandemia, con il governo Conte II in carica, FCA riceve 6,3 miliardi di prestito coperto da garanzia pubblica.” Sempre Milena Gabanelli scrive che le cose sono rimaste invariante nonostante le trasformazioni societarie che hanno portato alla fusione con la francese PSA: “da ottobre 2016 a gennaio 2024 sono stati versati, prima a FCA e poi a Stellantis, aiuti per 100 milioni di euro. Inclusi i circa 7 milioni di incentivi per rinnovo macchinari con industria 4.0. C’è poi la cassa integrazione”.

Tra 2014 e 2020 – scrive il Corriere “FCA ha ricevuto contributi per 446 milioni (di cui 263 a carico dell’azienda). Dal 2021 ad aprile 2024 la cassa sale a 984 milioni (280 a carico dell’azienda). Tirando le somme: in nove anni fra cassa integrazione, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione, abbiamo sborsatodi tasca nostra – conclude Milena Gabanelli –  quasi 887 milioni”.

GLI AIUTI DEI GOVERNI DRAGHI E MELONI

Si arriva ai giorni nostri: “Il governo Meloni ha messo in campo 350 milioni per convertire lo stabilimento di Termoli in una gigafactory. Ma Acc, la joint venture partecipata da Stellantis, sta mettendo in dubbio il progetto per costruire batterie. C’è poi il fondo da 8,7 miliardi per l’automotive voluto dal governo Draghi nel 2022 e da spendere entro il 2030. A oggi ne sono stati assegnati 2,7. Ne restano altri 6, ma per ora non è ancora stato deciso come utilizzarli.”

Tutto questo nonostante un disimpegno industriale che si è fatto via via sempre più evidente: “A fronte di tutte queste elargizioni, come sta andando il gruppo Stellantis? – si chiedono retoricamente dalle colonne del quotidiano meneghino – Quando è nato (gennaio 2021) negli stabilimenti italiani lavoravano 52.740 addetti. A fine 2023 i dipendenti erano scesi a 42.700. Il perimetro del gruppo è rimasto invariato. Quindi persi in tre anni 10 mila posti di lavoro.”

LO SGARBO DELLE AUTO ELETTRICHE CINESI IMPORTATE DA STELLANTIS

E poi c’è il colpo di coda che il governo italiano deve ancora digerire: l’alleanza con Leapmotor per portare le auto cinesi in Europa proprio mentre Bruxelles, come s’è visto, prova a proteggere il mercato. Auto cinesi che in un primo tempo si sperava venissero fatte almeno a Mirafiori, invece saranno assemblate in Polonia.

LA REPLICA DELLA CINA

Infine, tornando alla querelle tra Bruxelles e Pechino sugli aiuti di Stato asiatici, urge segnalare l’aspetto più beffardo della vicenda. È stato infatti ricordato che i funzionari di Bruxelles, per raccapezzarsi, hanno chiesto direttamente ai marchi cinesi di fornire delucidazioni sugli aiuti di Stato ricevuti dalla Cina.

Ebbene, secondo la Cina la mole di dati richiesta dalle autorità del Vecchio continente su forniture, componenti e canali di vendita, ecc… non sarebbe stata finalizzata alle indagini anti-dumping ma incarnerebbe lo “spionaggio industriale”. “Il tipo, la portata e la quantità di informazioni raccolte dalla parte europea non hanno precedenti e vanno ben oltre quanto richiesto per un’indagine del genere”, sostiene He Yadong, portavoce del ministero del Commercio. E adesso tutti si attendono le ritorsioni cinesi che minacciano di indebolire ulteriormente le Case del Vecchio continente.

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