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Perché Confindustria e Sole 24 Ore tamponano Stellantis di Elkann

L'ex numero 1 di Confindustria Lombardia chiede l'ingresso di Cdp in Stellantis per arginare la visione francocentrica del gruppo. E il Sole 24 Ore di Confindustria in un'analisi svela che per la Casa presieduta da Elkann l'Italia è sempre più marginale

 

È una divergenza reciproca con radici lontane quelle tra Confindustria e Stellantis, che risale addirittura al 2011, ai tempi della Fca di Sergio Marchionne e del suo addio all’associazione degli industriali, prodromico poi ad altri addii: esattamente dieci anni dopo, difatti, il gruppo automobilistico ha lasciato Acea, che riunisce i costruttori d’auto del Vecchio continente. Come a dire che Stellantis fa i suoi interessi meglio da sé. E che di certo non è troppo interessata a fare sistema, a giocare in squadra con gli altri protagonisti del mondo dell’auto, italiani o europei.

È una divergenza tendente all’antipatia che ha avuto dei picchi e che oggi è ravvisabile, carsica, in alcune dichiarazioni. Come per esempio quelle che Marco Bonometti, presidente del Gruppo OMR, Officine Meccaniche Rezzatesi, realtà storica del comparto auto specializzata nella produzione di basamenti per motori, trasmissioni, telaio e sospensioni, ha appena rilasciato al Sole 24 Ore. Quotidiano non casuale, visto l’editore: appunto la confederazione degli industriali ora presieduta da Carlo Bonomi.

COSA DICEVA BONOMETTI DI STELLANTIS DA N1 DI CONFINDUSTRIA LOMBARDIA

E anche Bonometti non è un interlocutore casuale, dato il suo passato da presidente in Confindustria Lombardia nel quadriennio 2017-2021. E proprio in quel ruolo, a fine marzo ’21, esprimendo preoccupazione sul futuro degli stabilimenti italiani, disse: “Non vorremmo affrontare un’altra storia come quella dell’Ilva, dove emergono tutti i limiti di una parte importante della politica italiana. Il settore dell’auto a livello nazionale vale 400 miliardi di euro di fatturato e 27 di salari, pari al 20% del Pil, ma l’Italia non l’ha mai considerato strategico. Non discutiamo il libero mercato, un’impresa ha ragione di muoversi come vuole; la responsabilità è quella di non aver creato le condizioni affinché le aziende italiane dell’auto fossero competitive in modo strutturale. Bene gli incentivi, ma dobbiamo togliere burocrazia e rendere attrattiva l’Italia”.

QUELLA “VECCHIA” PROPOSTA DI CDP CHE BONOMETTI BEN RICORDA

L’aspetto più interessante è che l’allora numero 1 di Confindustria Lombardia disse quelle parole a un convegno di Fratelli d’Italia in cui il partito di Giorgia Meloni invocava l’intervento dello Stato italiano, tramite Cdp. Oggi, con Giorgia Meloni seduta sullo scranno di Palazzo Chigi, Bonometti al Sole dice: «È necessario portare la produzione italiana a quota 1 milione di autovetture e servono interventi strutturali, a cominciare dall’ingresso dello Stato italiano, attraverso Cdp, nel capitale sociale di Stellantis, esattamente com’è per la Francia».

Difficile per il governo a guida FdI restare sordi a simili sirene, non fosse altro che quelle proposte portano proprio la firma di chi oggi guida il Paese ed è responsabile della sua politica industriale.

stellantis confindustria meloni

“Presenteremo un progetto che preveda la predisposizione di un piano nazionale per l’automotive e la partecipazione di Cdp nell’azionariato della nuova azienda al pari della quota pubblica francese. Ormai è, infatti, chiaro come non si sia trattato affatto di una fusione paritetica tra Fca e Psa ma di una vendita che prefigura una governance francese, il cui azionista pubblico ha, peraltro, aumentato la propria quota dopo la fusione, contrariamente a quanto precedentemente affermato”, aveva detto infatti Adolfo Urso.

«Il Governo – chiede oggi Bonometti – deve porre le condizioni per nazionalizzare, e dunque garantire la produzione in Italia, di una quota fissa di componenti da montare a bordo delle auto prodotte nelle fabbriche Stellantis». Anche per l’imprenditore lombardo l’attuale assetto penalizza le produzioni italiane negli equilibri globali del Gruppo guidato da Carlos Tavares, specie a seguito della cessione di Magneti Marelli. E – riporta Il Sole – crea una serie d’incognite per i fornitori italiani in vista dello sviluppo dei nuovi modelli che saranno tutti basati su piattaforme che arrivano dal mondo industriale di Psa.

L’AMORE DI STELLANTIS PER LA FRANCIA BISTRATTATA SULLE PAGINE DEL SOLE

E proprio sul Sole oggi viene pubblicata anche una analisi che non lascia spazio a dubbi: “Il megagruppo franco-italo-americano, nato dalla fusione tra Psa e Fca, marcia a trazione francese. Il baricentro della produzione e dei nuovi progetti non è in Italia, ma in Polonia, a Tichy, o in impianti spagnoli come a Saragozza.”

Mario Cianflone, responsabile della sezione automotive del quotidiano di Confindustria, annota: “Ora [per l’Italia ndR] è quasi il deserto. Certo in programma ci sarebbe la gigafactory di Termoli, ma forse non basta per dissetare la fame di produzione del nostro Paese e l’esigenza di occupazione dell’automotive e del suo indotto che affrontano la transizione forzata all’elettrico e la fine del termico. C’è Mirafiori con la 500 elettrica e c’è Pomigliano con la Alfa Romeo Tonale e la gemella Dodge Hornet. Ma nonostante i buoni risultati del suv italiano che spinge i numeri del biscione (4.300 vetture ad aprile comprese Stelvio e Giulia) si resta nell’ambito della nicchia.”

E poi ricorda: “I grandi numeri Stellantis li fa fuori dell’Italia. A guardare la mappa del presente del gruppo, che va detto ha solo due anni e mezzo di vita, si nota l’inevitabile mancanza di uniformità a livello di piattaforme. Ci vuole tempo. Gli stabilimenti italiani assemblano vetture sulla base di architetture che erano già datate al momento della nascita di modelli come Jeep Renegade, Compass o Fiat 500X, mentre i modelli del gruppo nuovi utilizzano più moderne piattaforme che erano di Psa. Il futuro è nelle nuove architetture STLA. E a Melfi su questa base saranno costruite le future medie, anche elettriche, di Opel, Ds e Lancia. Modelli di nicchia è vero, ma è già un inizio, mentre all’orizzonte si vede l’avanzata impetuosa dei marchi cinesi.”

PALAZZO CHIGI TAMPONERA’ I FRANCESI?

In effetti, che Stellantis sia francocentrica lo suggerisce una serie di dati e non solo l‘azionariato, non ultima la recente inaugurazione della sua prima gigafactory supportata dalla jv Acc, guarda caso in Francia. Se ne prevedono altre due: la seconda aprirà in Germania. La terza, forse, in Italia. Ma è ancora tutto da definire e non ci sono certezze.

E forse Confindustria in questa partita può proprio sperare nell’intervento del governo, che con la Francia non è certo partito col piede giusto e potrebbe dunque essere tentato di mettere i bastoni tra le ruote di questo colosso dell’automotive telecomandato da Parigi.

Non dimentichiamo che, a matrimonio avvenuto tra Fca e Psa, Meloni su Facebook scrisse: “I francesi si sono presi pure la Fiat. Non c’è nessuna fusione tra Fca e Peugeot, ma un’acquisizione in piena regola: ora è ufficiale. Nell’indifferenza degli ultimi governi e nel silenzio dei grandi media, continua la sistematica e scientifica svendita del nostro sistema produttivo”. Adesso al volante del Paese c’è lei: proverà a scalzare i francesi dal sedile del conducente di Stellantis?

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