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La Cina dà la scossa agli Usa per i sussidi alle auto

La Cina ha avviato un procedimento all'Omc contro gli Stati Uniti, accusandoli di penalizzare le auto elettriche cinesi (e non solo) con l'Inflation Reduction Act. In un certo senso, Pechino ha ragione. Tutti i dettagli.

La Cina ha avviato un procedimento di risoluzione delle controversie contro gli Stati Uniti presso l’Organizzazione mondiale del commercio con l’obiettivo di tutelare il proprio settore automobilistico. Pechino ha accusato Washington di aver implementato dei “sussidi discriminatori” con l’Inflation Reduction Act, perché la legge – che stanzia aiuti pubblici alla manifattura americana di tecnologie pulite, come i pannelli solari e i veicoli elettrici – non si applica ai prodotti provenienti dalla Cina e da altri paesi membri dell’Organizzazione.

L’Inflation Reduction, tra le altre cose, prevede dei crediti d’imposta per incentivare l’acquisto di automobili elettriche e favorire la riduzione delle emissioni di gas serra (quello dei trasporti è il primo settore per emissioni di CO2 negli Stati Uniti). Secondo la Cina, però, questi sussidi, “con il pretesto di rispondere ai cambiamenti climatici, ridurre le emissioni di carbonio e proteggere l’ambiente, sono in realtà condizionati all’acquisto e all’uso di beni provenienti dagli Stati Uniti o importati da alcune regioni particolari”.

LA CINA HA RAGIONE?

La Cina in un certo senso ha ragione, perché lo scopo ultimo dell’Inflation Reduction Act è proprio quello di contrastare il dominio cinese – oggi fortissimo – sulle filiere delle tecnologie per la transizione energetica attraverso la creazione di cicli industriali interni agli Stati Uniti o integrati nel resto del Nordamerica.

Nel 2023 la legge richiedeva che almeno la metà del valore dei componenti della batteria – il componente più critico di un’auto elettrica, sia per il valore sia per i metalli che contiene – venisse assemblata in Nordamerica, e che almeno il 40 per cento delle materie prime della batteria provenisse dagli Stati Uniti o da paesi con i quali esistono accordi di libero scambio, come il Messico e il Canada. I requisiti per il 2024 sono ancora più stringenti: almeno il 50 per cento delle materie prime della batteria deve provenire dagli Stati Uniti o da un partner nel libero scambio.

Henry Hao, professore di diritto alla Singapore Management University, ha spiegatoBloomberg che “dal punto di vista legale, la Cina ha ragione a dire che l’Inflation Reduction Act viola le regole dell’OMC, come ha detto anche l’Unione europea”. Anche la Cina, però, ha favorito lo sviluppo della propria filiera della mobilità estera attraverso l’esclusione dei soggetti stranieri: ad esempio, fino al 2019 le uniche aziende che potevano fornire batterie ai produttori di auto elettriche basati in Cina erano cinesi.

ANCORA RESTRIZIONI

Il dipartimento del Tesoro, inoltre, ha definito le restrizioni alle cosiddette foreign entities of concern, le entità straniere che destano preoccupazione: significa che le case automobilistiche non potranno più utilizzare componenti delle batterie realizzati in Cina; dal 2025 non potranno più utilizzare nemmeno materie prime estratte o raffinate nel paese.

L’amministrazione di Joe Biden considera foreign entities of concern tutte quelle società soggette alla giurisdizione del governo cinese, oppure controllate da quest’ultimo con una quota di almeno il 25 per cento. Sono escluse le sussidiarie all’estero di aziende private cinesi che hanno sede in nazioni non considerate rischiose, come l’Australia, a patto che non siano controllate dal Partito comunista.

COSA VUOLE LA CINA, COSA REPLICANO GLI STATI UNITI

La Cina ha spiegato di aver avviato la disputa “per salvaguardare i legittimi interessi dell’industria cinese dei veicoli elettrici e per mantenere un’equa concorrenza sul mercato globale”. Il ministero del Commercio ha invitato Washington a “correggere prontamente le politiche industriali discriminatorie e a mantenere la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali per i veicoli a nuove energie”. La Cina è sia la maggiore produttrice di batterie per veicoli elettrici al mondo, sia la maggiore raffinatrice dei minerali di base come il litio e il cobalto.

La rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai, ha replicato con un comunicato in difesa dell’Inflation Reduction Act, che starebbe contribuendo a un “futuro di energia pulita che stiamo cercando collettivamente con i nostri alleati e partner”. Ha poi accusato Pechino di fare ricorso a “politiche ingiuste e non di mercato” per favorire le proprie aziende.

Lo scorso settembre la Commissione europea ha annunciato l’apertura di un’inchiesta anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. “In questo momento i mercati globali”, aveva spiegato la presidente Ursula von der Leyen, “sono inondati da economiche auto elettriche cinesi. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali. Questo distorce il nostro mercato”.

I TEMPI ALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO

Le sentenze dell’Organizzazione mondiale del commercio sulle controversie commerciali dovrebbero in teoria arrivare dopo sei mesi dalla costituzione della commissione giudicante, ma di solito – come riporta Reuters – richiedono più tempo.

Se l’OMC dovesse esprimersi in favore della Cina, gli Stati Uniti potranno fare appello; tuttavia, il massimo organo d’appello dell’organizzazione non è più in funzione per via dell’opposizione americana alle nomine dei giudici che lo compongono. Washington sostiene che l’organo d’appello dell’OMC prenda decisioni che vanno molto al di là del suo ambito di competenza.

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