Nel primo trimestre del 2023 la Cina ha superato il Giappone ed è diventata la maggiore esportatrice di automobili al mondo. Il risultato è certamente influenzato dall’aumento dei flussi verso la Russia dopo il ritiro delle case occidentali, ma è anche la conseguenza della grande crescita dell’industria cinese dei veicoli elettrici, resa possibile da anni e anni di generosi sussidi pubblici che hanno stimolato contemporaneamente la manifattura e il mercato delle vetture a batteria.
Il passaggio all’alimentazione elettrica ha permesso alle aziende cinesi di “saltare” direttamente a una nuova tecnologia e aggirare il vantaggio delle società occidentali sui motori endotermici. Dopo essersi imposti in patria sulla concorrenza straniera, ora i marchi cinesi – come BYD, che ha sorpassato Volkswagen per vendite – stanno iniziando a rivolgersi ai mercati esteri.
LE AUTO CINESI E IL DILEMMA DELLA SICUREZZA
Chris Miller, storico dell’economia e autore di Chip War: The Fight for the World’s Most Critical Technology, ha scritto sul Financial Times che la diffusione delle auto cinesi all’estero “pone due dilemmi”. Il primo riguarda la sicurezza: le nuove automobili sono dotate di decine di sensori, di sistemi software avanzati e di capacità di guida semi-autonoma che raccolgono grosse quantità di dati e che pongono pertanto delle “implicazioni di sicurezza” se provenienti da nazioni autoritarie. Come la Cina, appunto.
IL GOLDEN POWER SUGLI PNEUMATICI PIRELLI
Miller menziona a questo proposito il “caso Pirelli“, ovvero la decisione del governo italiano di limitare l’influenza del socio di maggioranza cinese (il gruppo statale Sinochem) attraverso il golden power , anche con l’obiettivo di tutelare le tecnologie di sensori per gli pneumatici. Lo studioso precisa che l’intervento governativo “potrebbe essere parzialmente motivato dal protezionismo”, ma aggiunge che “ora anche i produttori di pneumatici sono delle società tecnologiche”, vista l’espansione della sensoristica e la raccolta di dati. A suo dire, “l’industria dell’auto non è pronta ad affrontare l’intensificarsi delle preoccupazioni sulla sicurezza delle auto cinesi”.
LE DIVERGENZE DI APPROCCIO TRA STATI UNITI E UNIONE EUROPEA
Il secondo dilemma posto dai veicoli elettrici cinesi ha a che vedere con l’intensificarsi della concorrenza – in particolare sui modelli di fascia media – per le case automobilistiche occidentali: le auto elettriche cinese non sono solo di buona qualità; hanno anche prezzi molto competitivi.
“La storia suggerisce” – scrive Miller, ricordando le tensioni tra Stati Uniti e Giappone negli anni Settanta e Ottanta – che difficilmente i governi occidentali lasceranno che le loro aziende automobilistiche perdano quote di mercato. E infatti gli americani hanno prima, sotto l’amministrazione di Donald Trump, imposto dazi del 27,5 per cento sulle importazioni di veicoli cinesi; mentre adesso, attraverso l’Inflation Reduction Act di Joe Biden, stanno offrendo sussidi alla manifattura locale di auto elettriche e componenti, escludendo esplicitamente i prodotti cinesi.
Il mercato automobilistico dell’Unione europea, tuttavia, non prevede barriere. Al punto che la presenza di incentivi ai veicoli elettrici sta favorendo i più economici modelli cinesi e causando un aumento delle importazioni (colpa anche, scrive Miller, della lentezza con la quale le case europee si sono riconvertite alla nuova tecnologia). La Francia vorrebbe tuttavia che Bruxelles adottasse un approccio più protezionistico, simile a quello statunitense. Ma la Germania è contraria, temendo che la Cina, per ritorsione, possa limitare l’accesso al suo mercato e danneggiare così gli affari delle aziende tedesche.
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TAGLIARE I PREZZI PER DOMINARE I MERCATI ESTERI
I timori che il mercato europeo possa venire inondato di auto elettriche cinesi sono amplificati dal rallentamento della domanda cinese di veicoli a batteria. Per stimolare gli acquisti, i produttori stanno allora tagliando – anche notevolmente – i prezzi dei loro modelli. È un approccio “tradizionale”, in un certo senso, dell’industria cinese: quando si verifica una situazione di sovraccapacità interna, si compensa con le esportazioni all’estero a prezzi ridotti.