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Giappone

Auto elettrica, il Giappone elettrizza Usa e Ue con un’alleanza anti Cina?

Tokyo propone a Bruxelles e Washington di unire le forze su mobilità alla spina e semiconduttori per arginare l'avanzata di Pechino, ma Berlino ha molti affari con la Cina e Biden non rinuncia alla sua Ira, l'alleanza che chiede il Giappone è possibile?

Mettere da parte protezionismi e sovranismi nel tentativo di unire le forze per recuperare il terreno perso nei confronti di Pechino. È questa la proposta inattesa recapitata dal governo nipponico alle cancellerie occidentali. Sulla carta una proposta a dir poco conveniente, win-win per tutte le parti in gioco, ma sono numerosi gli ostacoli sulla strada che porta all’alleanza auspicata dal Giappone.

COSA SAREBBE L’ALLEANZA TRA UE, USA E GIAPPONE

In un discorso molto pragmatico, il ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria, Yasutoshi Nishimura, ha elencato tutti i motivi per i quali il Giappone, l’Europa e gli Usa rischiano di perdere la battaglia sull’auto elettrica. Per questo ha invitato Washington e Bruxelles a fare squadra sulla mobilità alla spina, nei semiconduttori e in altri settori critici.

L’UNIONE DI TRE DEBOLEZZE PUO’ ESSERE UNA FORZA?

Nishimura naturalmente non è stato tanto esplicito, ma i problemi che riguardano le tre potenze economiche e commerciali sono i seguenti.

L’Europa, si sa, ha una industria frammentata, perciò indebolita, che non è riuscita a trovare una posizione comune per far fronte a una posizione del legislatore definita da più parti ideologizzata. Bruxelles esige che si corra verso l’auto elettrica, ma manca tutto: infrastrutture, gigafactory, investimenti e soprattutto una filiera delle materie prime, quei metalli critici che oggi arrivano da fuori e vengono pagati a caro prezzo. Se non si accorcia la filiera, sarà esposta alle turbolenze del mercato e, soprattutto, geopolitiche, come dimostrano i rincari a seguito della invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Gli Usa invece hanno deciso di giocare da soli, stracciando gli accordi del WTO e imponendo al mondo le proprie regole incluse nel pacchetto per la riduzione dell’Inflazione (Inflation Reduction Act), che tra le pieghe nascondeva norme dal forte sapore protezionistico.

Il Giappone, che ha dominato il mercato dell’auto per buona parte dell’ultimo periodo (il marchio più venduto al mondo è Toyota), ha il problema opposto a quello europeo: una classe politica in balia dei capricci del mondo dell’auto. Una lobby potentissima. E siccome la filiera dell’automotive nipponica è fortemente ostile all’elettrico (avendo investito sull’idrogeno), l’arcipelago finora non ha fatto granché per prepararsi alla sfida dell’immediato futuro.

L’ALLEANZA CHE VUOLE IL GIAPPONE È ANTI CINESE?

Nishimura, intervistato dalla testata economica Nikkei, ha sottolineato la necessità di stabilire standard comuni e condivisi con gli Stati Uniti e l’Europa sulle politiche di sostegno ai veicoli elettrici o ai microprocessori e di collaborare per promuovere un contesto competitivo equo. “Vogliamo lavorare con Paesi che la pensano allo stesso modo per stabilire catene e politiche di approvvigionamento senza cadere nel protezionismo”, ha spiegato alla stampa il ministro nipponico dell’Economia, del Commercio e dell’Industria.

Naturalmente, senza nominarla mai – e apparentemente col solo scopo di evitare misure protezionistiche sulla falsariga dell’Ira statunitense – Nishimura intende costituire una alleanza anti Pechino, in un periodo nel quale le case nipponiche si stanno ritirando alla chetichella dal vasto mercato cinese, divenuto ostile.

Non ultima Mitsubishi, che ha comunicato di aver deciso, alla luce degli “attuali e rapidi cambiamenti” del contesto operativo in Cina e delle difficoltà di mercato, di interrompere la produzione locale e di vendere il 100% della joint venture con Guangzhou Automobile Group al partner cinese,

L’alleanza che chiede il Giappone vorrebbe anche l’istituzione di un gruppo di lavoro a tre per “sincronizzare le politiche di incentivazione” per darsi vicendevolmente una mano sui temi dell’approvvigionamento di materiali critici per la transizione energetica, gli investimenti sulla riconversione industriale, gli standard ambientali e altro ancora.

COSA RISPONDERANNO USA E UE?

Come si anticipava, sulla carta è una misura win win, ma secondo gli osservatori al momento ci sono ben poche possibilità che passi. Gli Stati Uniti si sono arroccati dietro l’Ira che, nonostante le promesse fatte dalla Casa Bianca ai partner commerciali di mezzo mondo, non sarà smantellata tanto presto.

L’Ue, dal canto suo, deve vedersela con la Germania, che ha forti interessi economici in ogni campo, ma soprattutto nell’automotive, proprio in Cina. E certo non vuole indispettirla. Questo sebbene l’ostilità riscontrata nel Paese asiatico dal Giappone sia ben nota anche alle aziende tedesche se si pensa che il principale gruppo del Paese, Volkswagen, nonostante i fiumi di denaro fatti confluire in Oriente, in 10 anni è scesa dal 15 al 10% di quota di mercato. I marci cinesi avanzano, non solo in Cina dato che puntano all’Occidente. Che faranno Usa e Ue?

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